III
Il vento trascinò la lettera per molto, molto tempo, anche dopo che Naria era ormai stata sepolta dalle acque del lago.
La trascinò sopra boschi, colline, montagne e valli, fino a raggiungere un cielo aperto e immerso nella notte. L'aria salmastra del mare si era unita al profumo di gelsomino della fata, stringendola come in un abbraccio.
Qualche foglia era stata intrappolata nel turbinio dolce, e quando l'oggetto fu lasciato finalmente libero e cadde sul legno di una prua, anche le foglie lo seguirono.
Una giovane donna sedeva lì a terra con gli occhi fissi sull'orizzonte, nella direzione da cui era partita. Non sarebbe più potuta tornare indietro, lo sapeva, e la consapevolezza le strozzava i battiti del cuore.
Quando la lettera toccò terra vicino a lei, la ragazza rimase a fissarla con gli occhi spalancati.
Il respiro che le usciva dalle narici sembrava ora pesante, perché sapeva di cosa si trattava, sarebbe stata sciocca a non immaginarlo. Quella carta giallognola sigillata con della cera nera, però, la spaventava. No, non era vero, era l'idea di cosa vi avrebbe trovato all'interno a spaventarla.
Tremante allungò la mano e, dopo aver sfiorato la carta con delicatezza, come potesse disfarsi davanti ai suoi occhi, la afferrò, portandola velocemente al petto. Sapeva che tutti sulla nave stavano dormendo, a parte lei e il mozzo, e che nessuno l'avrebbe importunata – a parte il capitano Navid – ma non voleva rischiare.
Dando le spalle alla sottocoperta studiò la lettera in vibrante silenzio, solo lo sciabordio delle onde di sottofondo.
Un sorriso triste tirò l'angolo delle sue labbra, mentre i soffi di vento marino sollevavano le sue ciocche castane. Sentiva gli occhi pizzicare.
Era soltanto colpa sua se le cose erano finite così.
Con il cuore sprofondato nello stomaco, Ofelia ruppe il sigillo nero e iniziò a leggere la lettera.
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