Il cinguettio del vento
Scritta per il COOL SUMMER SUN - Prima prova. Tema: aria.
Cover by HunterGirl
Theokotos Kilautis iniziò a fare manovra per attraccare nella cittadina portuale in cui intendeva fermarsi per fare provviste.
Nell'ultimo anno era cresciuto molto: la pelle abbronzata lo faceva sembrare più grande, aveva raggiunto la stazza imponente ma aggraziata tipica della sua famiglia e i lineamenti avevano perso la dolcezza dell'infanzia, facendosi più affilati e maturi. Theo ringraziava il Cielo per questo, perché dava meno nell'occhio quando chiedeva un lavoro per un paio di giornate, guadagnando così quello che gli serviva per riprendere il largo.
Erano ormai due anni e mezzo che il ragazzo vagava senza sosta per l'Oceano Atlantico, dal giorno in cui era stato costretto a scappare di casa per salvarsi la vita: quasi ogni notte sognava gli spari e le grida angosciate di sua madre mentre il nonno afferrava il fucile per andare incontro agli uomini in nero... Il ragazzo non aveva mai saputo dare un nome ai nemici che avevano braccato la sua famiglia per decenni e che continuavano a seguire le sue tracce lungo la costa americana.
Sapeva però che stavano cercando l'eredità dei Kilautis e a volte pensava che le spalle di un diciassettenne fossero troppo deboli per un tale peso.
"Ragazzo! Muoviti con quella cassa, non abbiamo tutto il giorno!"
Theo annuì, detergendosi il sudore dalla fronte: era una giornata caldissima per spostare le pesanti casse di pesce dal retro di quel furgone alla bancarella del mercato. Senza contare che il pesce, sebbene fosse stato pescato da poche ore, aveva già iniziato ad emanare un odore nauseante...
All'improvviso il ragazzo tese le orecchie, perché gli pareva di aver colto una risata familiare tra i numerosi suoni del vivace mercato; non apparteneva a sua madre, ne era certo, ma era una voce femminile. Anche scavando a fondo tra i ricordi, Theo non riuscì a stabilire dove avesse già sentito quella leggera melodia che in pochi istanti era svanita. La constatazione di quella perdita lo riempì di tristezza e se ne stupì, perché era stato costretto a crescere in fretta ed era diventato un giovane uomo pragmatico che badava poco ai sentimenti.
Pochi istanti dopo una violenta spinta alle spalle lo fece incespicare sui suoi piedi: Theo voltò la testa, ma non c'era nessuno.
Un refolo di vento lo investì di nuovo, quasi spingendolo verso un vicolo del porto.
"Non adesso!" sibilò a denti stretti, guadagnandosi le occhiate perplesse di due clienti.
Ma il vento insisteva, gli tirava i vestiti, gli schiaffeggiava le guance e si intrufolava tra i suoi capelli per buttarglieli davanti agli occhi. Alla fine fu costretto a chiedere una pausa al suo datore di lavoro e corse ad infilarsi nello stretto passaggio deserto che il vento gli aveva indicato.
Dopo essersi guardato intorno per accertarsi che nessuno lo stesse osservando, Theo tirò fuori da sotto la maglia il medaglione che portava appeso al collo, aprendolo e rivelando il tesoro che i Kilautis si erano tramandati di generazione in generazione.
La Rosa dei Venti più antica del mondo brillava tra le sue mani come se fosse stata dipinta il giorno prima: Theo non conosceva un rosso più acceso, un verde talmente brillante, un blu così profondo come quelli che decoravano il manufatto. Anche l'oro del quarto quadrante non recava i segni del tempo e la piccola rosa di diamanti che campeggiava sopra alle raffigurazioni dei quattro venti scintillava sotto la luce del sole d'estate.
I suoi bisnonni l'avevano portata con loro in America quando erano emigrati dalla Grecia quasi un secolo prima, ma la Rosa dei Venti non assomigliava a nessuno dei reperti archeologici scoperti nella sua terra d'origine; Theo aveva sempre immaginato che i suoi nemici la volessero per quello, oltre che per il suo potere nascosto.
Si bagnò la punta del dito indice con la saliva e lo alzò sopra la testa per capire da dove spirasse il vento; poi girò la piccola freccia di metallo fino a puntarla sul quadrante blu.
"Alla buon ora!" tuonò una voce baritonale dal fondo del vicolo.
Theo sospirò:
"Ciao, Borea!"
Il Vento del Nord non gli era mai piaciuto e per due motivi.
Il primo è che era stato proprio lui il vento che gli era apparso la prima volta che aveva giocato con la bussola e non l'aveva resa un'esperienza piacevole: Theo aveva passato la settimana seguente a chiedersi se stesse iniziando ad impazzire per la solitudine in mare, almeno finché non aveva incontrato i suoi tre fratelli, molto più amichevoli e propensi a dargli delle spiegazioni.
Il secondo motivo è che sebbene ormai lo conoscesse da alcuni anni non riusciva ad abituarsi al suo aspetto bizzarro: non tanto perché Borea sembrava un incrocio tra un vichingo e un vagabondo, con quei capelli biondi lunghi ed arruffati fino alla vita, quanto per le due facce che aveva attaccate al collo.
Erano una opposta all'altra, ma entrambe acconciate in un cipiglio aggressivo e scostante e mentre veniva trafitto dagli occhi chiarissimi del vento, Theo ricordò con una punta di apprensione tutte le volte in cui i suoi dispetti lo avevano mandato fuori rotta.
"Cosa ci fai qui?"
"La domanda giusta, ragazzo, è cosa ci fai tu qui! Non ti sei accorto che ti stanno seguendo?"
Un brivido gelato corse lungo la spina dorsale di Theo, che si sentì mancare il fiato nei polmoni; Borea emise uno sbuffo di disappunto e il suo soffio ghiacciò le erbacce che crescevano tra gli interstizi del marciapiede.
"No, a quanto pare no. Tutti vogliono la Rosa e tutti sanno che ce l'hai tu: non è saggio farsi vedere in giro con quella appesa al collo... Ma del resto non mi sei mai sembrato un ragazzo molto sveglio!"
Theo non rimase lì ad ascoltare il resto del discorso, ma si precipitò a ritirare il compenso dovuto per comprare tutto ciò che gli sarebbe servito per un viaggio di diversi mesi.
"Una cosa è sapere di avere dei nemici che ti stanno cercando da qualche parte nel mondo!" rifletté, inquieto "Un'altra è trovarseli alle calcagna quando meno te lo aspetti! Non si erano mai avvicinati tanto!"
Infine, mentre tornava verso lo skipper con le braccia cariche di acquisti, li vide: due uomini anonimi, vestiti di nero, lo tenevano d'occhio da un lato della strada.
"Pensa, Theo, pensa velocemente! Devi seminarli!"
Ma il terrore gli offuscava la mente e non riusciva a ragionare con lucidità, perciò iniziò a correre lungo il molo con quanto fiato aveva in corpo, cosciente dei passi alle sue spalle.
Saltò sulla prua della barca, che si inclinò con uno scricchiolio, per poi scivolare al posto di comando e mettere in moto; avvertì qualcosa fischiare sopra la sua testa mentre faceva manovra e capì che era una pallottola solo quando il sangue iniziò a colare dal graffio che gli aveva procurato sulla nuca. Imprecò, accelerando al massimo senza guardarsi indietro, chinandosi ancora di più sopra i comandi.
La seconda pallottola scalfì la tettoia di legno che conduceva sottocoperta e poi, con un sospiro di sollievo, Theo riuscì a guadagnare il largo, mentre le spie si facevano sempre più piccole e lontane sulla banchina del porto.
La mattina dopo fu svegliato da una brezza leggera. Aprendo gli occhi nella calda luce dell'alba, Theo si rese conto di essersi addormentato sul ponte e che i suoi vestiti erano bagnati per l'umidità della notte. Batté le palpebre, assonnato e quasi indifferente allo spettacolo del sole che sorgeva maestoso dalle acque mentre il venticello gli agitava i ricci con fare amichevole.
Theo sorrise e, desideroso di sapere di più sulla voce che aveva sentito il giorno prima - si era infatti convinto che fosse collegata all'improvvisa ricomparsa degli uomini in nero nella sua vita - aprì la Rosa dei Venti, luminosa come non mai nella prima luce del mattino.
Non appena ebbe puntato la freccia sul quadrante dorato, sull'altro lato della barca apparve una piccola figura avvolta da un gigantesco mantello bianco che copriva metà del ponte.
Euro, il Vento dell'Est, scostò il cappuccio dal capo, rivelando i tratti angelici del suo volto da bambino; i suoi capelli sembravano raggi del sole e gli occhi cangianti riflettevano la luce arancione dell'alba...
Non per niente era figlio dell'Aurora.
"Ehi, Theokotos!" esclamò il vento, mettendo in mostra una fila di denti bianchi e regolari come perle. "Che magnifica giornata, non è vero?"
Theo ridacchiò, perché ogni volta che Euro lo veniva a trovare sembrava essere una magnifica giornata; ma seguendo continuamente la madre nel suo giro attorno al mondo egli vedeva sempre e solo la parte più bella del giorno.
"Forse è per questo che rimane sempre bambino!"
"Senti, Euro, avrei una domanda da farti..." mormorò, lanciando un'occhiata al sole che ormai era quasi sorto del tutto: entro pochi minuti la brezza sarebbe calata ed Euro sarebbe dovuto ripartire.
"Per andare... Dovunque sia che i venti vadano a riposare!"
Il bambino sorrise, mentre gli occhi cangianti si illuminavano per l'eccitazione:
"Siamo amici, Theokotos! Chiedimi tutto ciò che vuoi!"
"Ho sentito una risata di donna, ieri. Una voce dolce come la brezza della sera, leggera come il canto di un uccello..."
Euro aggrottò la fronte:
"Ciò che dici... Suona familiare. Ma proprio non riesco... A ricordare..."
All'improvviso il ragazzo ricordò una cosa che Zefiro, il Vento dell'Ovest, gli aveva detto riguardo al fratellino: come l'Aurora rinasceva ogni mattina e non era raro che perdesse qualche pezzo di memoria nel frangente.
"Va bene, Euro, non fa niente" sospirò "chiederò a Noto."
Erano ormai tre giorni che aveva fatto rotta verso sud, ma ancora non c'era traccia del vento che andava cercando: la Rosa non gli dava alcuna indicazione e Theo stava pensando di rinunciare. In fondo quella risata poteva benissimo essersela immaginata... Una goccia di pioggia gli cadde sul naso, scivolando lungo la mascella. Quando alzò lo sguardo vide nubi grigie correre nel cielo che volgeva al tramonto, sospinte da un vento caldo e secco.
"Noto!" gridò il ragazzo, afferrando freneticamente la Rosa e puntando la freccia sul quadrante rosso. "Noto, sono io, Theokotos Kilautis! Sono quaggiù!"
Sulla linea dell'orizzonte si stagliava il profilo gigantesco del Vento del Sud: era molto vecchio, come testimoniavano le grandi mani rugose, e talmente alto che il suo viso era nascosto dalle nuvole.
"Theokotos!" sibilò la voce del vento, uno strano connubio di pacatezza e potenza, benevolente come le piogge che soffiava con il suo alito caldo e che irroravano i campi. "Cosa ti porta così lontano dalla tua solita rotta?"
"Una questione urgente. Qualche giorno fa ho udito una risata che mi pareva di aver già sentito, anche se non ricordo dove né quando. L'ho collegata alla Rosa dei Venti perché il cerchio attorno a me si sta chiudendo: mi cercano in molti, più di quanti abbiano tentato negli ultimi anni!"
"Descrivimi questa risata!" mormorò Noto, turbato.
"Era il suono più puro che abbia mai sentito. Sembrava che il vento cinguettasse come un usignolo! E sono sicuro che fosse una voce di donna ma... Siete solo voi quattro, vero? La Rosa dei Venti ha quattro quadranti, ci sono solo quattro direzioni..."
"No" sussurrò Noto dopo un lungo istante di silenzio. "Non siamo i soli. Ma è passato così tanto tempo... È normale che gli uomini abbiano dimenticato..."
"Cosa? Cosa abbiamo dimenticato?"
"Nostra sorella. Oh, la nostra sorellina perduta, che ha taciuto per intere epoche! Ed ora tu hai sentito la sua risata... Interessante. Sì, molto interessante!"
Theokotos capì che il Vento del Sud stava per oltrepassarlo e fu invaso dalla frustrazione, perché invece di risposte aveva ottenuto solo altre domande.
"Non è giusto!" gridò, arrabbiato "Mi danno la caccia per qualcosa che non ho mai chiesto! E voi continuate ad andarvene in giro per il mondo indifferenti alla mia sorte! Cosa accadrebbe se consegnassi la Rosa dei Venti agli uomini che la cercano, eh? Ve lo siete mai chiesto?"
Noto rise e la risata increspò la superficie del mare.
"Non lo farai!" disse con dolcezza e Theo avrebbe giurato che stesse sorridendo, anche se non poteva vederlo. "Sei un uomo buono, Theokotos Kilautis, come tuo padre e tuo nonno prima di te. E come i loro padri e i loro nonni, indietro lungo il corso della vostra Storia, fino all'uomo a cui fu affidata la Rosa... Un dono magnifico, un terribile fardello. Non è cosa da lasciare nelle mani del primo che capita, non credi?"
Noto riprese a muovere il suo immenso corpo verso Nord e le sue ultime parole si confusero con lo sciabordio del mare:
"Manderò Zefiro a prenderti, sì... Sì, è ora che la Rosa torni al suo posto!"
Zefiro lo investì dopo altre due interminabili settimane, passate ad imprecare contro la bonaccia che rendeva l'Oceano piatto come una tavola.
"Bella, bro!" urlò il Vento dell'Ovest, quando la freccia della Rosa dei Venti fu puntata sul quadrante verde.
Zefiro era l'unico che si era tenuto al passo coi tempi: indossava una colorata camicia hawaiana sopra a dei bermuda rossi, infradito di plastica e una lussureggiante collana di fiori tropicali.
Gli occhi, verdi come la primavera che portavano con sé, brillavano di eccitazione dietro le lenti degli occhiali da sole e non riusciva a tenere ferme le ali piumate che aveva sulla schiena.
Batté un pugno sul braccio di Theo, che si lasciò andare ad una sincera risata: Zefiro poteva essere impetuoso o leggero, delicato o rude, ma era sempre un autentico spasso. Era anche la cosa più vicina ad un amico che avesse.
"Allora, come butta? Il Grande Vecchio mi ha detto che hai sentito la voce di quella smorfiosa di nostra sorella!"
"Sì, è esatto."
Le labbra di Zefiro si piegarono in un sorriso malizioso:
"E adesso ti struggi per lei e vorresti raggiungerla!"
"Che cosa? No, io... Voglio dire, ho a malapena udito la sua risata!"
"Non ti devi preoccupare, va sempre così: la piccola Mela canta e gli uomini le cadono ai piedi!"
"Mela?"
Davanti al suo sguardo sconcertato Zefiro scoppiò a ridere:
"Il Vecchio non te l'ha detto? Melanemea, questo è il suo nome! Il quinto vento, l'unica figlia femmina di Eolo, la brezza perduta... Eccetera eccetera. Ma non disperare, io sono qui apposta per condurti dalla tua amata!"
Zefiro si esibì in un pomposo inchino e Theo decise che cercare di correggerlo sarebbe stato inutile.
"Grazie, mio salvatore!" borbottò quindi, con una buona dose di sarcasmo "Ma da quella parte c'è l'Africa: è lì si nasconde questa tua fantomatica sorella?"
"Aspetta e vedrai! Oh, sarà grandioso!"
Viaggiare con Zefiro era come salire sulle montagne russe: una pazza corsa a velocità insostenibile, che rischiava ad ogni secondo di terminare con uno schianto. Lo skipper scricchiolava e gemeva mentre scivolava sull'acqua come se stesse volando; Theo, per la prima volta da quando era salito su una barca, aveva il mal di mare.
Ma non era tanto la nausea a preoccuparlo, quanto le navi che si erano inserite nella sua stessa corrente e che più si avvicinavano, più gli sembravano minacciose.
"È solo la mia immaginazione!" provò a convincersi, ma temeva che i suoi nemici l'avessero raggiunto proprio quando stava per liberarsi della Rosa dei Venti.
Un pensiero lo colpì all'improvviso, lasciandolo turbato e confuso:
"Questo significa che non potrò più vedere nessuno di loro! Accidenti, anche quell'antipatico di Borea mi mancherà!"
Per quanto folle ed assurda fosse la sua situazione, quei quattro fratelli usciti dalle pagine di un mito erano diventati la sua famiglia: lo avevano trovato nel momento più triste della sua vita, quando credeva di aver perso tutto, e gli avevano regalato qualcosa di speciale.
"Se questo quinto vento è la chiave per mettere al sicuro la Rosa dei Venti, io rimarrò da solo!"
Zefiro stava volando in pigri cerchi sopra la barca, borbottando qualcosa all'indirizzo delle navi che lo seguivano, e non notò le lacrime che scendevano lungo le guance del ragazzo.
"Ehi, bro!" urlò ad un certo punto "Capolinea! Si scende!"
Theo si asciugò il viso e cercò di mantenere l'equilibrio mentre la barca rallentava bruscamente; attorno a loro c'era solo acqua... E le navi sempre più vicine. Il ragazzo ne contò almeno otto prima che una raffica di pallottole si schiantasse contro la fiancata dello skipper, costringendolo a mettersi al riparto.
"Mmm... Maleducati!" borbottò Zefiro, con gli occhi stretti in due fessure minacciose. Una delle navi fu sollevata dall'acqua, rotolò su se stessa a mezz'aria e ripiombò giù, affondando tra i flutti.
"Molto meglio!" commentò compiaciuto il Vento.
"Zefiro! Qui non c'è nulla! Hai sbagliato strada, idiota!" ringhiò Theo. Zefiro inarcò un sopracciglio.
"Sicuro?"
Il vento riprese a spirare, solo che questa volta non spinse lo skipper sulla superficie dell'Oceano, ma lo sollevò in alto, verso le nuvole. Theo di affacciò al parapetto per osservare le navi farsi sempre più piccole sotto di lui, quasi indistinguibili nel blu profondo del mare.
"Sto volando!" balbettò, incredulo "Oh mio Dio, sto volando!"
Zefiro, appollaiato sulla prua come un nume protettivo, ridacchiò soddisfatto, mentre le piume delle sue ali vibravano a contatto con l'aria sempre più fredda.
Theo avrebbe voluto esprimergli la sua meraviglia e riconoscenza, ma le parole gli morirono in gola: le nubi si erano diradate e davanti ai suoi occhi c'era un'isola, sospesa nell'infinita distesa del cielo ed illuminata dal sole.
Theokotos vide cascate di acqua limpida e rovine di un'antica città fare capolino tra la lussureggiante foresta... Poi l'emozione lo sopraffece:
"Bro, ti vedo un po' palliduccio!"
Ma Theokotos era già svenuto.
La prima cosa che vide quando rinvenne furono gli occhioni grigi e spalancati di una ragazza china su di lui.
Lei si rialzò in piedi con uno strillo divertito e Theokotos si guardò intorno: lo skipper era ormeggiato (o meglio, incastrato) tra due rocce a picco sull'abisso, mentre loro due si trovavano su una spiaggia delimitata da un basso muretto di pietra rovinato dal tempo.
"Ce ne hai messo di tempo, per svegliarti!"
Melanemea parlava una varietà di greco che lui faticava a comprendere.
"Pensavo fossi morto!" continuò lei, in tutta franchezza.
"Dov'è Zefiro?"
La ragazza assunse un'espressione esasperata:
"Il mio amabile fratello dice cose incomprensibili: ha chiesto 'come butta' e ha aggiunto che hai la sua totale benedizione per 'mandare la palla in buca' con - e cito testualmente - 'quella gran figa di mia sorella' ... È un complimento?"
Theokotos, rosso fino alle orecchie per l'imbarazzo, borbottò un sì a voce bassa. Poi la sua attenzione fu catturata dai segni di civiltà sparsi attorno a lui: frammenti di anfore, resti di abitazioni e colonne... Gli sembrava di essere inciampato in uno scavo archeologico.
"Dove... Dove siamo?"
Si voltò verso Melanemea, incrociando il suo sguardo attraverso le folte ciocche castane che le ricadevano sulla fronte: sembrava sorpresa dalla sua confusione.
"Davvero non lo sai? I miei fratelli non ti hanno detto nulla?"
D'improvviso la sua voce, frusciante e misteriosa come il vento che portava con sé, si fece triste:
"Beh, è probabile che anche loro, come gli uomini, abbiano dimenticato..."
"Ma no, guarda che si ricordavano di te! Solo, non riuscivano più a trovar..."
Theokotos si interruppe, aggrottando la fronte:
"Se Zefiro sapeva come farmi arrivare qui... Perché era convinto che tu fossi scomparsa?"
Lei annuì:
"Vedo che inizi a capire.Vieni, camminiamo!"
Lo condusse in silenzio lungo uno stretto sentiero lastricato di pietre bianche che si snodava lungo il fianco della collina; man mano che avanzavano le rovine aumentavano in grandezza ed imponenza.
"Chi abitava questo luogo?"
"Una stirpe di uomini intelligenti e superbi. Talmente intelligenti da creare meraviglie e talmente superbi da rovinarsi con le loro stesse mani!"
"Questa storia la conosco!"
"Vuoi dire che quest'isola è... Atlantide!?"
Mealenemea sorrise:
"Sì, la chiamavano così, sul continente."
"Ma dicono che Atlantide sprofondò nell'Oceano!"
"No. Come vedi, è stata innalzata tra le nuvole!"
"Pazzesco..." borbottò il ragazzo, sconcertato. "Ancora non hai risposto alla mia domanda!"
La ragazza sospirò, si sedette su una pietra che un tempo doveva essere stata parte del frontone di un tempio e gli fece cenno di accomodarsi accanto a lei.
"Cosa ti hanno raccontato i miei fratelli sulle loro origini?"
"Che sono figli di Eolo, il dio del vento, generati con altre creature divine e semi divine!"
"Beh, dimenticati questa storia. La verità è che furono gli Atlantidei a crearci."
"E come?"
"Ah, questo non lo sa nessuno, il segreto della loro tecnologia si è estinto con loro! Erano abili costruttori ed inventori visionari... Non c'è da sorprendersi se gli uomini sul continente li ritenevano i figli prediletti degli dei!"
Si guardò intorno con lo sguardo velato di nostalgia:
"Quando io e i miei fratelli venimmo alla luce questo posto brulicava di vita. Poi gli Atlantidei furono così pazzi da cercare di sovvertire le regole della Natura! Scavarono l'isola, resero fragili le sue fondamenta ed inventarono una macchina in grado di farla spostare sull'acqua come una nave. Ma al momento di azionarla si scatenarono violente lotte su chi avrebbe dovuto governare e guidare Atlantide... E così, per errore, l'isola fu strappata dalla terra."
"Che ne fu degli Atlantidei?"
"Per la maggior parte morirono. Pochi fortunati riuscirono a guadagnare il largo prima che l'isola esplodesse e portarono con sé il ricordo di una terra mitica... Insieme alla Rosa dei Venti che porti al collo!"
"Vuoi dire che da tre millenni a questa parte tu sei stata l'unica abitante di Atlantide!?"
Melanemea ridacchiò senza allegria:
"Una volta è arrivato uno strano trabiccolo, una specie di anfora di metallo con delle tavole attaccate ai lati. Ne scese un uomo che parlava in una lingua strana... Non poteva vedermi, ovviamente, ma sembrava aver capito che ci fosse qualcuno con lui e continuava a chiacchierare senza sosta! L'unica cosa che fui in grado di comprendere fu il suo nome, qualcosa come Jeims Baar-Ri."
Rise al buffo suono che aveva appena pronunciato e Theokotos si ritrovò a pensare che la sua risata era davvero meravigliosa, ma non era quella che aveva udito al mercato.
Allora le spiegò come e perché fosse giunto fin lì e poi le chiese, confuso:
"Quindi, secondo te, cosa mi ha condotto qui? E perché i tuoi fratelli avevano dimenticato la strada per Atlantide?"
"Siamo poco più che macchine e poco meno di esseri umani, Theokotos: i miei fratelli sono stati creati per aiutare gli Atlantidei nelle loro rotte commerciali, io per difendere le coste di Atlantide da navi indesiderate. Quando l'isola si sollevò i miei fratelli continuarono a fare ciò per cui erano stati programmati e piano piano nelle loro menti i racconti hanno assunto i contorni della verità. Si sono dimenticati di me, di Atlantide, del fatto che continuasse a vagare nel cielo... Poi tu hai udito una risata che ti sembrava di aver già sentito e l'improvvisa comparsa di Borea e degli uomini alla ricerca della Rosa ti hanno convinto che le due cose fossero collegate. Ma in realtà hai risvegliato per caso le memorie perdute dei miei fratelli."
Theokotos rimase in silenzio, sopraffatto dal peso di quelle rivelazioni: mentre giocherellava con la Rosa dei Venti ancora appesa attorno al collo, si accorse che la freccia era puntata sulla rosa di diamanti e capì che era per quello che riusciva a vedere e a parlare con Melanemea.
"Che civiltà doveva essere Atlantide, per aver scoperto una tecnologia così strabiliante!"
All'improvviso pensò ai draghi, agli ufo e a tutte le stranezze che gli uomini, nel corso dei secoli, si erano convinti di vedere nel cielo. Pensò a ciò che aveva lasciato sulla terra: numerosi nemici che continuavano a cercarlo in mezzo al mare, sicuramente incapaci di credere a quello che era appena accaduto davanti ai loro occhi.
E poi c'era Melanemea, così reale da poterla toccare, orfana dei suoi creatori, custode e prigioniera di un mondo in rovina...
Scoppiò a ridere, non poté farne a meno.
"Cosa c'è?" domandò la ragazza, perplessa. Theokotos si limitò a sorriderle e a stringerle la mano, calda e morbida al tatto esattamente come quella di un essere umano.
"C'è che non sei più sola."
Sulla terra lo avrebbero considerato un pazzo; ma se qualcuno lo avesse visto lassù avrebbe semplicemente detto che era felice.
3986 parole
QUALCHE SPIEGAZIONE:
• L'aspetto fisico dei quattro venti cardinali mi è stato suggerito dalla mitologia greca, che fa un po' da sfondo a tutta la storia.
• Melanemea è chiaramente un vento che invece ho inventato io: il nome deriva dall'unione di "melós" (canto) e "anemós" (vento/respiro).
È quanto di più simile a 'cinguettio del vento' ho trovato nel mio dizionario di greco ahahahah 😂😂😂
• "Jeims Bar-Ri" è la storpiatura di James Barrie, colui che ha inventato Peter Pan... E l'isola che non c'è.
Il contest chiedeva di inserire un elemento fantasy (nel nostro caso, l'aria) e di fornire una spiegazione adeguata per tale evento.
Non so se ho raggiunto lo scopo, dato che la tecnologia perduta di Atlantide rimane un mistero in sé e per sé 😝
Avevo anche in mente diversi altri dettagli (perché l'isola non è ancora precipitata? Chi possiede la Rosa dei Venti può dominarli a proprio piacimento? ... E una marea di altre domande) perché nonostante le difficoltà iniziali - e HunterGirl sa se ce ne sono state! 😅 - mi sono proprio divertita a scrivere questa storia.
Tutto questo per ringraziare ChiusaNellaMiaMente e _TheBlackRabbit_ di avermi dato il la di quest'idea e per dire che forse, quando il contest sarà finito, la riprenderò in mano per chiarire gli ultimi punti oscuri che non ho affrontato per non appesantire il racconto, già parecchio lungo.
Enjoy!
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