Dopo il naufragio
"Mare grosso, forte vento di bora, si procede lungo la costa a velocità 10-12 nodi"
— ultima comunicazione del motopeschereccio Rodi,
martedì 22/12/1970, ore 17:15
La barca rovesciata sembra un enorme pescecane appostato alla foce del fiume. Imbarca sabbia ogni volta che un'onda s'infrange contro i suoi fianchi.
Non ci si può sbagliare, pensa il capitano della nave che sta girando attorno al relitto. È il Rodi, è proprio lui.
Il suo equipaggio si è ammutolito, non ha più la voce neanche per chiamare i superstiti.
Magari c'è una bolla d'aria. Magari stanno intrappolati lì sotto.
Ma osservando il Rodi che lentamente scivola verso sud, spinto dalla corrente, il capitano non riesce a tener viva quella speranza.
Di questo passo entrerà nel porto da solo, prima che arrivino gli uomini dell'armatore.
Rientra in cabina e accende la radio, ma comunicare il ritrovamento del relitto non allevia l'amarezza.
Uno s'imbarca per dar da mangiare ai figli, passa mesi in mare, affronta l'oceano e poi crepa così, sulla soglia di casa. E due giorni prima di Natale, per di più.
Che destino infame.
"Cancellata da onde furiose ogni traccia dei naufraghi"
— La Stampa,
24-25/12/1970
Il telefono negli uffici dell'Arethusa squilla da almeno un minuto. Il suono ha già oltrepassato le pareti del suo ufficio, ha invaso il corridoio, ha sceso le scale. Forse è già arrivato al mare, lì dove un peschereccio affondato sta andando alla deriva.
L'impiegato ha caldo, anche se è il 23 di Dicembre; tira fuori il fazzoletto dal taschino e lo stropiccia qualche istante tra le dita prima di passarselo sulla fronte. Quel gesto sembra dargli il coraggio necessario per afferrare la cornetta e portarsela all'orecchio.
«Pronto.»
«È una storia di merda, ragioniere, proprio una storia di merda!»
«Me l'hanno detto.»
«Ma si sa dove sta adesso?»
«Oggi a mezzodì era arrivato a Pescara.»
Dall'altra parte del filo arriva un sospiro lungo quanto un secolo.
«Parliamoci chiaro, ragioniere: quei ragazzi sono tutti morti. E a me dispiace, perché erano bravi ragazzi... avevano dei figli... però ormai è andata così. Non è colpa di nessuno. Di certo non è colpa mia. Giusto?»
«Giusto, signore.»
«E allora io dico: ha senso che adesso andiamo a spendere milioni — ma che dico, miliardi! — per raccattare una bagnarola rovesciata? Due giorni prima di Natale, poi, ma che si pensa la gente? Che sono fatto d'oro? L'assicurazione ci spellerà vivi!
Ci fosse stato qualcuno da salvare, si capisce, avrei smosso mari e monti. Ma adesso, lei mi capisce, è solo uno spreco di soldi per recuperare due corpi mangiati dai pesci.»
«La capisco, certo.»
«Ecco, bravo, allora lo faccia capire anche a quella gente che da stamattina se ne sta sul molo ad aspettare lo Spirito Santo... o forse il Bambin Gesù, visto che è periodo.»
L'impiegato si chiede se sia il caso di ridere della battuta.
Però poi pensa al collega che si è imbarcato sul Rodi al posto suo per andare a controllare i lavori di restauro a Venezia, per conto dell'armatore che ora sta all'altro capo del telefono. E pensa all'albero di Natale infiocchettato che lo aspetta a casa, al presepe illuminato, al baccalà che mangerà al cenone della vigilia.
Pensa che forse sta condividendo gli ultimi pensieri dei dieci uomini del Rodi, dispersi sul fondale adriatico, e la risata gli si incastra in gola.
"Si attende che il mare restituisca le salme"
—Il messaggero,
26/12/1970
La donna cammina sulla spiaggia da ore, da quando le hanno detto che hanno trovato il Rodi e lei si è precipitata per strada con la fotografia in mano.
Non sa come è arrivata al mare, se a sospingerla sia stata la sua volontà o la folla che fin dalla mattina si aggira per il porto, in attesa di un segno — una telefonata, o magari la sirena di una nave da traino. Qualcosa che rompa il silenzio e fermi il Rodi, che naviga anche ribaltato e col motore spento e porta con sé i suoi morti.
Il mare di Dicembre è grigio e riottoso e le schiaffeggia i polpacci mentre percorre la spiaggia avanti e indietro, dalla Sentina al Molo sud.
«Si chiamava Silvano» dice a chi incontra, mostrando la foto. Ci sono diversi curiosi, che scrutano il mare e a lei rivolgono occhiate pietose. «Si chiamava Silvano, ha sedici anni, l'avete trovato?»
Non sa più cosa vuole: teme il momento in cui le indicheranno il suo corpo riverso sulla sabbia, ma allo stesso tempo lo cerca con insistenza, perché solo quello può darle un poco di pace. Si rifiuta di credere che il mare, che ogni giorno porta a terra rami e detriti, sia così crudele da tenersi il corpo di suo figlio.
Si ferma solo quando incontra le mogli degli uomini dell'equipaggio: alcune sono venute in treno, altre a piedi, portandosi dietro i bambini ancora piccoli. Piangono tutte, ma più di rabbia che di dolore.
«Non ce li riporteranno» le dicono. «Nessuno andrà a prenderli.»
Le pare impossibile:
«E che fanno, lasciano lì anche la nave?»
«Sì. Dicono che non vale la pena, che costa troppo, che è quasi Natale. Ma che Natale è? Che Natale è?»
"Nella Rodi divenuta loro bara all'alba del 23 Dicembre, sono passati per l'ultima volta, senza un saluto, davanti al porto di S. Benedetto [...]
Persa ogni speranza l'Arethusa ne annuncia la tragica scomparsa e li piange come figli migliori"
— manifesto funebre dell'Arethusa,
27/12/1970
I pescatori sono inquieti, e così gli operai, e così gli studenti.
Il Natale è venuto e passato, ma sulla città continua ad aleggiare una coltre di malcontento che cresce e rumoreggia come il mare grosso che ha affondato il Rodi.
Dopo una settimana di vagabondaggi il relitto si è incagliato da solo davanti al porto di Ortona; ma anche adesso che servirebbe giusto un pontone per trarlo nel porto, la compagnia tace.
«È una vergogna.»
«Una tragedia.»
«No, un'ingiustizia.»
La rabbia nasce per strada, s'informa nei bar, s'incarna nei passanti che passeggiano lungo la riva.
«Ancora nulla?» chiede un ragazzo ai pescatori che fumano al porto.
«Nisba» borbotta uno, rassegnato. È abbastanza vecchio per ricordarsi di quando le navi gettavano le reti nell'Adriatico e non si avventuravano al largo delle coste d'Africa.
«Non gliene frega nulla, sono affondati gli uomini, mica il carico. Anzi, se c'era il carico forse il Rodi manco si ribaltava. Torna a casa, ragazzo, che qua non ci viene nessuno.»
«Verranno» ribatte quello, ficcandosi le mani nelle tasche dell'eskimo. «Perché se non vengono, noi gli occupiamo la città.»
Il capostazione sta per bere il caffè quando vede decine di ragazzi avventurarsi sui binari.
«Fermi! Oh, fermi, ma che fate?»
Studenti, pensa, inviperito, mentre quelli ostruiscono i binari con pietre e sacchi pieni di sabbia.
All'inizio gli sembra solo una ragazzata, di quelle che passano il segno, ma i ragazzi hanno facce così scure e arrabbiate che il capostazione esita ad avvicinarsi; e prima che possa decidersi a chiamare la polizia, la folla inizia a moltiplicarsi sotto i suoi occhi esterrefatti.
Non sono solo studenti: pescatori, operai e decine di donne si affollano sulle rotaie, infagottati nei cappotti per far fronte al gelo pungente.
Nel giro di una manciata d'istanti non riesce neanche più a farsi largo tra i protestanti: sono ovunque, hanno preso d'assalto la stazione per appendere un grande striscione bianco su cui si legge «i nostri morti valgono più delle navi».
Qualcuno lo spinge giù dalla banchina, ma altre mani lo sostengono per le spalle e lo rimettono in piedi.
Il capostazione borbotta un grazie impacciato. Non sa cosa fare, perché quei morti in fondo sono anche un po' suoi e nella sua divisa si sente a disagio. La sua indecisione si protrae finché la folla non decide per lui e si apre per lasciar passare degli uomini che portano a spalla giganteschi tronchi d'albero.
Li poggiano di traverso sulle rotaie: dove li abbiano trovati per il capostazione è un mistero.
Fatto sta che oggi non passa nessun treno. Hanno bloccato la città, Cristo, l'hanno fatto davvero!
Piero non comprende subito cos'è stato a svegliarlo: è ancora notte, anche se dalla finestra inizia a penetrare il grigio chiarore delle albe invernali.
I suoi occhi impiegano qualche istante per mettere a fuoco la figura imponente e quadrata di suo padre sulla porta.
«Vieni» gli sussurra, concitato. Suo padre è brusco di natura, ma ha nella voce un'urgenza insolita.
Il bambino barcolla verso la cucina, butta un'occhiata all'orologio: sono le cinque del mattino.
Suo padre è uscito, pare che gli abbiano acceso un fuoco sotto ai piedi; quando Piero lo raggiunge in strada ha messo già in moto la cinquecento.
«Babbo, ma dove andiamo?»
«Sali, dai. Ti porto a vedere una cosa.»
Scendono la collina senza parlare, con il rumore degli pneumatici che slittano sul ghiaccio come unica compagnia; attorno a loro, la campagna dorme sotto una coperta di neve.
Imboccano la Salaria in direzione del mare e a ogni incrocio nuove macchine s'incolonnano dietro di loro, finché non diventano una carovana strombazzante che spicca sul paesaggio innevato come i papaveri sui campi.
Finché non arrivano a San Benedetto e tutto si ferma: le automobili, i guidatori, i passanti.
Ma che ci fa la gente in strada a quest'ora?
Lo chiede a suo padre, che spegne la macchina anche se è in mezzo alla strada e gli fa cenno di uscire. Poi se lo mette sulle spalle, perché possa vedere meglio la folla che ha bloccato ogni via d'accesso alla città.
«Che stanno facendo, ba'?»
«Protestano.»
«E perché?»
«Perché c'è chi pensa che non siamo tutti uguali... Non da vivi, e manco da morti.»
Suo padre s'interrompe e quando Piero si china a spiare la sua espressione ha l'impressione che stia lottando contro pensieri più grandi di lui. E la cosa lo spaventa un poco, perché suo padre è grande e grosso e non gli fa paura nulla.
«Il lavoro pò esse' di tanti tipi; per quelli come noi di solito significa faticare per due lire. Però ricordati che il lavoro ti dà una cosa che non ti puoi comprare coi soldi.
Ti dà dignità. Ti dà la dignità di guardare tutti negli occhi e dire: la legge vale per me e per te.
La giustizia è una, per me e per te.
Incontrerai tanta gente, con tanti soldi in saccoccia, che a 'sta cosa non ci crede: ti diranno che l'operaio non è come il dottore e non lo sarà mai. Ti diranno che non ti serve un contratto, non ti serve uno stipendio equo... Arriveranno a dirti che alla fin fine non ti serve neanche un funerale.
Ma tu ricordatelo, che siamo tutti uguali.
E ricordalo pure a loro, sempre: non smettere mai di lottare per ciò che ti spetta.»
"Una folla immensa ai solenni funerali delle vittime del motopesca Rodi"
— Il messaggero,
3/1/1971
Chi ha visto l'interno del Rodi racconta che lì dentro sembra passato un uragano: ogni cosa sottosopra, carte nautiche fradicie, porte sventrate. E quattro corpi, sui dieci che si andava cercando. Gli altri se li è presi il mare e non è dato sapere se e quando li restituirà.
Lungo le strade della città sfilano familiari e colleghi, amici, ragazzi, autorità civili e militari: dopo giorni di proteste e di scontri, il silenzio che è sceso su San Benedetto pare irreale.
Ma dal tetto della stazione sventola ancora lo striscione accusatorio e quando l'armatore arriva, con il suo cappotto scuro e la faccia greve, i pescatori lo prendono da parte — senza più rabbia, ma con una nuova consapevolezza.
«Se pensate che sia finita qui, con queste quattro bare e senza manco due spicci di consolazione, vi sbagliate di grosso» gli dicono.
«Questa non è la fine, lo tenga bene a mente. Questo è solo l'inizio.»
(1995 parole)
Nota storica:
A partire dagli anni '20 la pesca italiana si spostò nelle acque al largo delle coste africane, più redditizie perché non c'erano legislazioni a proteggerle dallo sfruttamento. Il porto di San Benedetto del Tronto divenne il punto di partenza di questa tratta, che teneva i pescatori in mare e lontano per la maggior parte dell'anno, spesso con un unico scalo (a Las Palmas, nelle Canarie).
Il 22 Dicembre 1970 il «Rodi», uno di questi motopescherecci di ritorno dalle acque oceaniche, parte da Venezia (dove era andato per un controllo tecnico) alla volta di San Benedetto; ma si ribalta a poche miglia dalla riva per la forte burrasca che si era scatenata durante la notte.
Nonostante i continui avvistamenti del relitto, che finisce per incagliarsi al largo delle coste abruzzesi, i preparativi per il recupero si prolungano — a detta dei più, è perché l'armatore nel frattempo sta tentando di abbassare il conto dell'assicurazione.
Il malcontento sfocia in tre giorni di blocco totale della città di San Benedetto, che terminano solo con l'arrivo della nave nel porto di Ortona: dei dieci uomini presenti a bordo, verranno recuperate in tutto solo sei salme (quattro vennero tirate fuori dal relitto e due vennero portate a riva dalle onde nel febbraio del '71).
Questa vicenda sembra una piccola nota a margine dei tumultuosi anni '60/'70, ma ebbe un forte impatto psicologico sui pescatori italiani: otterranno il primo Contratto nazionale solo nel 1984, dopo tredici anni di lotte.
Contemporaneamente, gli Stati africani iniziarono a promulgare le prime leggi a protezione delle loro acque e anche il fenomeno della "pesca oceanica" si avviò al tramonto.
Volevo raccontare questa storia da così tanto tempo che ogni veste che provavo a darle non mi convinceva. Alla fine ho optato per una cronaca, perché le storie di rivolte corali come questa a mio parere non hanno veri e propri protagonisti: hanno tanto volti e tante voci che solo insieme riescono a farsi sentire.
Ringrazio ciambella198 per il prompt che alla fine mi ha convinto a mettere la tragedia del Rodi su carta e per il premio ottenuto nel contest "Personaggi in cerca di autore"
Enjoy ❤️
Crilu
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