CSS - Finale (1/2)
Storia scritta per il Cool Summer Sun - Prova Finale (1/2)
Cover:
Queste sono le immagini iniziali, dopo di che:
E infine, acquerellato e sistemato 😝:
Di giganti e di formiche
Tutto, in quel luogo, era una sfida lanciata al vuoto.
La Natura aveva posto delle leggi e l'Uomo aveva disobbedito, scavando nella dura roccia gradini umili, levigati dal vento ed erosi dal sole. Viste da una certa distanza quelle scale — abbarbicate alla pietra come piante rampicanti — sembravano un serpente squamoso che seguiva ondeggiando il profilo delle rocce; le pietre che le componevano avevano gli stessi colori arsi e ruvidi di un mattino d'inverno e brillavano debolmente sotto la spietata luce di mezzogiorno. Segnavano un sentiero di ghiaia che portava fin sulla cima della scogliera più alta, dove un pino marittimo, solitaria vedetta stagliata contro il cielo, aveva piegato i suoi rami secondo la direzione dei venti più forti.
Tutt'attorno ad esse immensi spezzoni di roccia facevano pensare alle antiche leggende di giganti: osservando i massi che giacevano scomposti attorno allo specchio d'acqua era facile immaginare che una mano disumana li avesse sbriciolati tra le dita, spezzettandoli come farebbe un bambino con un rametto di legno. Quelle scogliere irregolari erano l'orologio del mondo: lì erano passate ere e migliaia di vite, regni e palazzi erano sorti e caduti in rovina, ma loro non avevano mai ceduto di un palmo sotto l'insistente spinta delle onde. Erano ancora — e sempre sarebbero state — le sentinelle di quel tratto di mare, quiete guardiane di un rifugio nascosto e silenzioso, fatta eccezione per il placido sciabordio dell'acqua e l'occasionale canto degli uccelli. Venate d'ombra e spruzzate di verde — un verde scuro e vivido come l'occhio di un animale, dato che il muschio cresceva alla svelta e ricopriva tutto ciò che poteva — assistevano impassibili all'alternarsi della notte e del giorno.
Sotto le scale la ghiaia mutava velocemente in sabbia, dura e tagliente come le pietre da cui aveva preso origine. La spiaggia era larga pochi passi, dato che il mare un tempo si era fatto strada con forza tra le pieghe della terra, arrivando a sfiorare la vegetazione che lì era cresciuta rigogliosa. L'acqua assumeva i toni del verde o del blu a seconda della luce e dell'altezza delle rocce ed offriva un fresco ristoro a chiunque vi immergesse la pelle; spesso si poteva avvertire il richiamo vibrante di qualche corrente sotterranea, che era in grado di sedurre un uomo con spinte giocose o strapparlo crudelmente alla riva e trascinarlo senza scampo in mare aperto. Sì, la cala era così, imprevedibile e sorniona come un grande felino addormentato: bisognava imparare a conoscerla per non temerla. E anche allora, l'Uomo poteva solo illudersi di aver domato la Natura.
Ciò che la Natura aveva separato l'Uomo univa, innalzando un ponte sospeso sopra quella piccola gola nascosta. Non aveva niente di umile, quel ponte: era una costruzione arrogante, grigia, blasfema quasi, mentre torreggiava con tanta cattiveria sopra un luogo così puro. Le sue ardite campate sembravano talvolta strane bocche ghignanti che si facevano beffe dell'osservatore, talvolta buchi neri che inghiottivano la luce senza rifletterla. Non tentava neanche di imitare i massi che le tempeste e il mare avevano scolpito: fiero della sua natura artificiale, il ponte sorgeva dal fianco di una scogliera con un balzo curvo verso il cielo. Le sue stesse fondamenta, quindi, erano saldamente aggrappate alla parete rocciosa come parassiti.
Era anche elegante, a suo modo, con quelle arcate leggere che correvano l'una verso l'altra fino ad incontrarsi in un angolo perfetto.
Elegante, ma estraneo.
Nonostante la sua possente armatura in cemento, un giorno le scogliere avrebbero visto anche la sua fine. I segnali di usura, dal guardrail ammaccato — forse dalle auto, forse da gente disperata che aveva tentato di scavalcarlo — alle incrostazioni salmastre sui piloni, facevano di quel ponte una creatura debole e fragile quasi quanto le due figurine nere affacciate al di sopra di esso.
Gli uomini sono come formiche, si infilano dappertutto. Anche in quel luogo la loro presenza si poteva fiutare nell'aria prima ancora di vederli, stesi sulla spiaggia stretta e lunga o in bilico sull'abisso.
C'era una tale sproporzione, tra quegli esseri e il resto, che pareva impossibile fossero stati loro a gettare il ponte e a costruire le scale; forse perché la vita degli uomini era breve ed incerta come il riflesso del sole sulle acque della cala, mentre le rocce e i gradini e il mare avevano in sé il seme dell'eternità.
Ecco cos'era quel posto. Un connubio di istinto e ragione, uno strano incontro tra effimero e sempiterno, in cui le vertigini dell'abisso si scontravano con il desiderio di salire a toccare il cielo, in quel momento tinto di rosa e celeste.
Un luogo plasmato dalle formiche e dai giganti.
760 parole
Ho scelto la seconda immagine, quella che mi aveva colpito maggiormente per il miscuglio di lavoro umano ed erosione naturale — miscuglio a volte omogeneo, a volte no. Mi ha preso così tanto che ho dato addirittura un titolo a questo brano ahahahah 😂😂😂
Va da sé che mi sono presa qualche licenza per riuscire a buttar giù una descrizione di 760 parole! 😝
Ad esempio, i gradini non sono stati scavati e non penso siano di tanto anteriori alla costruzione del ponte, le correnti sono solo nella mia testa e così via... Ma dopotutto è questo il bello di trascrivere su carta un'immagine: ti dà la possibilità di far trasparire anche le impressioni che quel paesaggio ti suscita.
Detto questo, per conteggiare meglio le parole e anche per questione di ordine ho diviso la prova finale in due parti: la poesia si trova nel prossimo capitolo. Enjoy!
Crilu
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