01.
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L'AVEVA SOGNATA ANCORA,
la stessa immagine che le divorava il sonno ormai mesi, i quali, Viserya arrivata alla nobile cifra di sessantasei notti, aveva smesso di contare.
Sapeva comunque che conoscere quel numero non le avrebbe giovato.
Con la fronte ancora perlata di sudore, la giovane si mise seduta sul letto, gambe incrociate.
Guardò alla sua destra dove, tramite la grande finestra, l'alba di un nuovo giorno sembrava prendersi, ancora una volta, gioco di lei.
Imprecò.
Colei che ormai considerava come una madre l'avrebbe guardata con disappunto, arresa dalle parole colorite che, quella che ormai aveva da tempo iniziato a definire come una figlia, usava ogni volta.
Viserya si morse il labbro ma comunque un'altra imprecazione sfiorò i suoi pensieri.
D'un tratto, la magra figura tranquilla di Braela si materializzò nella sua testa, con il suo fare gentile e la sua voce armoniosa.
Se la immaginò mentre, sedendosi a gambe incrociate sul letto e sistemandosi le lunghe gonne del vestito verde che le aveva visto addosso la sera precedente, le dava piccoli colpetti sulla coscia nuda, accompagnando il tutto con quella che sembrava voler essere una predica data in modo scherzoso.
-Andiamo, Viserya, sei una splendida ragazza... bella e leggiadra nei movimenti. Possibile che ogni volta che quella bocca si apre, diventi subito uno scaricatore di porto? -
Rise, portandosi una mano a coprire la bocca, per poi continuare.
-Perfino i marinai di Costa della Vergine potrebbero impallidire, nel sentire quanta delicatezza usi per esprimerti. -
Viserya dubitava che una famiglia importante e dalle regole ferree, come i Virtuelly, potesse veramente passare sopra il fatto che i loro sottoposti usassero tali espressioni.
Però ripensandoci bene, avrebbe potuto. Dopotutto si trattava di marinai, persone più abituate alle regole delle acque, dove la sopravvivenza veniva prima di ogni cosa, invece che alla terraferma.
Sbuffò e si buttò di nuovo tra i cuscini, i capelli argentei le incorniciavano il viso, completamente in contrasto con il giallo ocra che ricopriva il letto, mentre lo sguardo smeraldo di Braela la osservava con affetto.
Viserya, guardandola, pensò che se fosse stata veramente sua madre, ne sarebbe stata veramente felice.
Braela era tutto quello che l'argentea non era.
Il volto dai lineamenti eleganti, incorniciati da lunghi capelli mossi del colore dell'ebano, acconciati spesso in acconciature complicate a base di trecce, uniti agli occhi verdi, dava quel senso di eleganza e femminilità che, appunto, alla più giovane mancava.
La madre sorrise e accarezzò leggermente la guancia candida della ragazza che, invogliata dal tocco delicato, chiuse gli occhi e, sempre sotto lo sguardo di Braela, cominciò a canticchiare una canzone.
Una cantilena senza troppe pretese che pian piano si insediò nella sua mente, facendola addormentare.
Il risveglio venne quando la mano callosa di una serva la strattonò con forza, probabilmente spazientita.
Viserya aprì gli occhi e una piccola ruga di fastidio le increspò la fronte mentre i suoi occhi guardinghi bruciavano per lo stesso sentimento.
Non c'era da stupirsi, se la ragazza aveva reagito così bruscamente ad un gesto così semplice.
Viserya era una Valaryen, sangue del Drago e, come l'animale, fiera e parecchio incline ad arrabbiarsi facilmente, anche per le cose più futili.
L'ira che l'aveva pervasa per questo piccolo gesto scomparve, rimpiazzata da un dolce sorriso, quando davanti a sé vide la capigliatura nera e ribelle dell'unica serva che aveva imparato a riconoscere come un'amica fidata, nonostante avesse quindici anni in più di lei.
-Buongiorno anche a te, Serra. -
-Mia signora, dovreste essere già lavata e aver fatto colazione.... invece siete ancora nel letto! Vostro padre.... Dei, aiutatela! -
Pregò, con le mani unite davanti a sé.
Cominciò a riempire di acqua calda la vasca, con una velocità che a Viserya, ancora con un sorriso sciocco sul volto e gli occhi assonnati, parve quella di un colibrì.
La più anziana, si voltò verso la principessa, incredula di vedere che stava sul letto, completamente incurante di essere in ritardo per il banchetto che si sarebbe tenuto a mezzogiorno, e alla quale mancavano solo due ore.
-Mia signora, che fate ancora lì? Gli Dei possano darmi forza... dovete alzarvi da quel letto, è tardi! -
Viserya si stupiva di continuo, nel vedere quanto ardentemente Serra credesse negli Dei.
Li adorava ogni giorno, anche nei momenti più quotidiani.
La giovane fece una smorfia leggera.
-Non c'è bisogno di questa insistenza. Ho capito, mi alzo. -
la ragazza uscì dal letto di malavoglia, stiracchiandosi con non curanza davanti alla finestra.
Si sporse un pochino, giusto il tempo di vedere i residenti della città muoversi in tutte le direzioni, intenti a iniziare la giornata.
A Viserya parvero piccole formiche intente a procurarsi briciole di pane.
Doveva ammettere che era veramente grata, a quelle persone laboriose.
Era solo grazie a loro se la sua città era così ricca e la qualità della vita era ottima.
-Mia signora, santi siano i Sette! Venite via da lì-
Serra la strattonò, tirandola indietro e facendola dirigere verso la vasca, dove la strofinò per bene, ricoprendola di schiuma.
-Vostro padre vi vuole...- la serva cominciò a parlare ma Viserya non ascoltò nulla di ciò che disse, lasciando che le sue parole non fossero altro che un ovattato sottofondo.
La voce continuò.
-il Principe sta arrivando...-
Viserya si ritrovò a pensare come sarebbe stato se fosse nata maschio.
Coppe di vino, dame coperte da soffici sete che ti avrebbero danzato attorno...
-Mia signora...- ancora quella voce.
Uno strattone.
-mi state ascoltando??!-
Si notava così tanto che fosse assente?
Viserya si ridestò.
-Ovvio...-
Non era vero.
Entrambe lo sapevano.
Nessuno delle due ebbe il coraggio di ammetterlo.
Il suo pensiero era fisso su quello che non avrebbe mai potuto essere.
Un figlio amato dal proprio padre.
Un ragazzo che non avrebbe dovuto fare nessuna fatica, per ottenere quello che desiderava.
Quello, d'altronde era un mondo fatto per gli uomini e comandato da essi.
Se eri una donna o nascevi fortunata, o contavi poco o nulla.
Viserya non poté pensare a cosa dovessero fare certe donne, anche più giovani di lei, per poter avere un piatto caldo sulla tavola.
La giovane sentiva lo sguardo di Serra addosso.
Occhi che parlavano da soli.
Ti compatisco.
Viserya odiava essere compatita.
Ma ancora di più odiò la cappa bianca che entrò nelle sue stanze, portatrice di un annuncio non gradito.
Il principe minore era tornato a casa.
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