30. Quel giorno sull'autostrada
Quel giorno sull'autostrada nevicava ancora e le goccioline facevano a gara sul finestrino assieme al nevischio che, dopo qualche centimetro, finiva per sciogliersi inesorabilmente e andare a far parte della piccola alluvione accumulata nell'intercapedine del doppio vetro. I sedili erano larghi e anche abbastanza comodi, ma in generale il numero dei presenti era tale da permettere a tutti, o quasi tutti, di avere un posto libero accanto. Molti ci avevano steso le gambe e ora pisolavano tranquilli con il cappuccio alzato e gli auricolari nelle orecchie. Un paio di ragazze guardavano le ultime novità sui loro smartphone mentre una ragazza dall'aria asiatica leggeva un libriccino scritto fitto fitto in una lingua incomprensibile.
La stoffa dei sedili puzzava di vecchio e qualche sedile più in là la moquette dell'autobus era tutta sollevata, creando una vera e propria trappola mortale. In generale tutto scricchiolava in modo alquanto sospetto ma a un'ora dalla partenza il motore non era ancora esploso, i vetri non si erano staccati e, altrettanto miracolosamente, nessuno si era sentito male. O meglio, per quanto ne sapesse lei. Tutti gli altri passeggeri sembravano molto concentrati su se stessi, solo un paio aveva salutato e la gran parte di loro sembrava molto confusa sul perché si fosse imbarcata in quel viaggio della speranza. Solo una cosa li accomunava tutti: gli opuscoli dello United College. Avrebbe tanto voluto avere un telefonino per messaggiare come tutti gli altri o per chiamare sua mamma ma, da brava semidea, non possedeva niente del genere. Le aveva promesso che l'avrebbe chiamata con un messaggio iride appena possibile. Nonostante l'IAM, indice di decessi per attacchi da mostro, come veniva definito alle presentazioni del college di New Rome, si era abbassato drasticamente negli ultimi due anni, la madre di MyKayla non si era ancora convinta a farla andare in giro con un apparecchio che avrebbe garantito il suo essere trovata da quei pochi mostri in circolazione.
Da un lato tutto ciò le pareva strano, dall'altro la ragazza doveva ammettere a se stessa che non aveva mai passato in vita sua delle vacanze così meravigliose e tranquille. Era andata a Miami con sua madre e si era abbronzata tantissimo, aveva mangiato il granchio con uno di quei bavaglioni imbarazzanti con stampato sopra a lettere rosse il nome del ristorante e aveva nuotato talmente tanto da farsi venire un paio di bicipiti da invidia. Una cosa che non succedeva da secoli! A quanto aveva sentito da Tomika anche la sua estate era stata delle più tranquille e anche Oliver aveva smesso di vedere il proprio psicologo per far fronte agli attacchi di panico ogni volta che vedeva un redivivo del tartaro. Non ne aveva visto nemmeno uno.
La cosa più strana di tutte era stata la sensazione di normalità di cui ci si era resi conto solo a posteriori, non nel momento in cui avevano potuto usufruirne.
MyKayla si arrotolò le maniche del maglione e l'occhio le sfuggì sul tatuaggio di Campo Giove che le segnava il braccio. Quelle linee sottili e precise erano uno dei suoi grandissimi motivi di orgoglio. Lo spazio chiuso del bus non le apparteneva, avrebbe preferito essere fuori a correre nel vento, forse anche solo per la curiosità di sapere se i figli di Aquilone possono prendersi qualche brutta malattia da freddo. L'aria all'interno del veicolo era meno claustrofobica di quanto si aspettasse, ma il rumore era insopportabile. Stava velocemente diventando insofferente alla nullafacenza. Leggere era fuori discussione.
"Non ti sei portata un libro da leggere?" chiese una voce scocciata alle sue spalle.
MyKayla si girò di scatto e incontrò il visetto occhialuto del ragazzo coi tratti marcati seduto dietro di lei. Non aveva una faccia amichevole. Gli occhi erano distanti di un colore azzurro ghiacciato, la pelle giallastra come di chi passa molto tempo al chiuso. Del maglione abbottonato spuntava un collo magro e nervoso su cui si piazzava una testa coperta da una corta zazzera di spessi capelli biondi come paglia. Le sopracciglia erano vicine agli occhi.
"Cosa, scusa?" chiese MyKayla fissandolo interrogativa.
"Hai passato l'ultima mezz'ora a sbuffare. Potevi portarti un libro, o della musica da ascoltare" ripeté con tanto pathos quanto prima il nuovo arrivato, sventolando lievemente il cellulare da cui stava ascoltando la musica.
"Se ti metti entrambi gli auricolari non mi sentirai sbuffare" rispose serafica lei facendo spallucce. "Magari mi diverto così".
"È un modo di divertirsi che dà fastidio" rispose lui senza minimamente sorridere. Poi si mise a cercare qualcosa nello zaino che aveva accanto a sé sul sedile. Per un secondo MyKayla pensò stesse per tirare fuori un pacchetto di biscotti o del cibo, magari delle caramelle da condividere per suggellare la loro nuova bizzarra amicizia nata sul bus. E invece no. Tirò fuori un libretto piccolo e stropicciato.
"L'avevo portato da leggere, ma puoi leggerlo tu mentre io faccio un pisolino".
La ragazza rimase interdetta con quel libro di un autore sconosciuto in mano mentre il ragazzo accomodava la giacca, incastrandola tra il finestrino e il sedile per mettersi a dormire.
"Ehi, no, non lo voglio il libro".
"E io non voglio sentire te che sbuffi. Mancano ore di viaggio. Leggilo".
MyKayla rimase congelata al suo posto con quel libro in mano che non poteva leggere. Già solo il titolo le faceva male agli occhi tanto le lettere erano confuse. Per disperazione lo aprì. Le pagine erano stampate in un carattere al limite dell'illegalità, consumate agli angoli e giallastre. Di sicuro era stato letto molte volte, ma non avrebbe avuto l'onore di essere letto da lei.
Era appena passata mezz'ora quando i freni dell'autobus fischiarono e MyKayla si svegliò dal pisolino in cui era irrimediabilmente caduta dopo aver rilanciato il libretto nello zaino aperto del ragazzo. Anche lui cadde dal sedile, sbalzato dalla frenata. Fuori dal finestrino si vedeva la sagoma di una stazione di servizio con un benzinaio coperto da un grosso piumino impermeabile che dava indicazioni. Un brusio confuso si sollevò da tutto il pullman.
"Ma cosa succede?" chiese biondino, intontito.
"Non ne ho idea. Aspetta che vado a chiedere".
Con un movimento fluido MyKayla superò la trappola mortale e si diresse verso l'autista che stava già per scendere. L'aria fredda la colpì in faccia come uno schiaffo.
"Scusi, ci fermiamo di già?".
"Giusto una breve sosta, non ti preoccupare".
"È possibile andare in bag-" ma la porticina si era già richiusa. Tornò scornata al proprio posto, evitando un paio di altri passeggeri che si erano alzati per vedere dai finestrini appannati cosa stesse succedendo.
"È solo una sosta temporanea, ha detto. Poi non mi ha risposto più niente..."
Passarono due minuti e arrivò il primo scossone. Il cervello di MyKayla reagì in minima parte, stavano solo facendo benzina o controllando le gomme. Poi un secondo scossone. Avranno controllato i bagagli nel baule. Quindi ora dovrebbe arrivare un terzo scoss-
Fu così forte che le borse caddero dalle cappelliere. Il quarto fece ballare l'intero mezzo. Il panico si sparse nel giro di pochi secondi. La ragazza asiatica che leggeva iniziò a urlare e corse verso la porta, unica via di salvezza secondo lei, ma cadde prima di arrivarci scivolando sulla trappola mortale. La testa picchiò forte contro l'angolo di un trolley. Il ragazzo biondo si alzò e stava anche lui per correre all'uscita assieme a tutti gli altri ma MyKayla lo fermò buttandolo a terra mentre un nuovo scossone quasi rovesciava il mezzo.
"Vogliono rovesciare il mezzo, stai giù PORCA MISERIA!" lo afferrò di nuovo per una gamba impedendogli di arrivare all'uscita tanto agognata.
"Ci prenderanno comunque" sussurrò con il panico che le saliva alla gola. Le bruciavano gli occhi e le prudevano le mani, il suo corpo faticava a gestire l'adrenalina. Era forse improvvisamente diventata... debole?
Con un ennesimo scossone il mezzo smise di ballare e si iniziarono a sentire rumori dal tetto. Erano li sopra, poteva contare i loro passi. Se si fosse buttata contro un finestrino si sarebbe fatta troppo male e non avrebbe mai fatto in tempo a fuggire. Doveva aspettare.
Caracollò verso il sedile e recuperò dalla giacca il pugnare d'oro imperiale. Il biondino si scostò immediatamente. "Senti pazzoide, non siamo in un film di Lara Croft".
Lei si mise un dito sulle labbra e lo zittì. Tutti ora fissavano il soffitto, seguendo il tump tump delle scarpe di qualcuno. Poi il tettuccio di sicurezza si aprì di qualche centimetro e un lungo tubicino nero fu fatto scivolare all'interno. MyKayla capì subito quello che stava per succedere. Si alzò in mezzo al pullman e urlò "Tutti fuori! Rompete i finestrini!" ma le sue parole furono inghiottite da un getto di fumo biancastro dall'odore nauseante che si riversò fuori dal tubo dentro l'autobus. Tutti iniziarono a tossire ma nessuno seppe cosa successe poi. Tutti chiusero gli occhi.
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