21. Walking down memory lane

Era cresciuta in montagna, ma non sull'Olimpo. Con le sue sorelle aveva sempre adorato andare a cantare la bellezza della natura sui vari monti della Grecia, per quanto non fossero altro che colline rocciose scaldate dal sole nella maggior parte dei casi. Poi l'idillio era finito, letteralmente. Dopo pochi versi di poesia, avevano fatto un grave errore. Erano giovani, inesperte divinità con talento da vendere, ma non da sfidare.

Si ricordava che Calliope aveva insistito a fare come faceva Atena, la figlia preferita di Zeus. Voleva sempre portare i capelli come li portava lei, aveva voluto a un certo punto anche uno scudo come l'aveva lei e insisteva perché se sue sorelle facessero lo stesso. D'altronde, erano tutte nate dalla mente di Zeus, perché dovevano essere trattate diversamente? Nove eterne "seconde figlie" di fronte all'immensa saggezza e lungimiranza della loro sorellastra maggiore. E tra quelle nove sorelle, molto tempo fa era andato tutto bene.

Ora, invece, Sue sentiva che avrebbe tranquillamente potuto fare come la peggiore delle Newyorchesi se ne avesse incontrata una in giro. Si sarebbe messa gli occhiali da sole e si sarebbe persa a fissare qualcosa d'altro. Gli dei non avevano idea di quanti trucchetti come questo si potessero imparare dagli esseri umani.

Erano nate in nove dalla mente di Zeus dopo le sue nove notti di passione con Mnemosine. Prima che tutto andasse in mona e lui decidesse di mangiarsi la madre incinta di nove gemelli. Clio aveva tentato più volte di far capire a tutti che il termine corretto era "inglobato" ma l'immagine del padre degli dei a cui, dopo un appuntamento, brontola lo stomaco e decide di addentare un cosciotto di Titanide, in fondo, faceva ridere e rabbrividire tutti quanti.

La metropolitana faceva i suoi soliti rumorini metallici mentre Susan Peak, per gli amici Sue, si avvicinava sempre di più alla sua temuta destinazione, circondata da masse di turisti europei rossi come aragoste, sudamericani già perfettamente abbronzati e un capannello di ragazzine asiatiche intente a scambiarsi dei numeri di telefono. Solo due fermate prima, dal vagone stracolmo di gente, erano scesi due uomini che avevano passato l'intero tragitto dal capolinea a lì a parlare fitto fitto in greco.

Uno di loro le aveva addirittura lasciato il posto quando era salita e, in una stretta al cuore di nostalgia, non aveva resistito a rispondere con un ευχαριστώ πολλί molto educato. Ma i due signori non ci avevano fatto caso e Sue era sprofondata di nuovo nel suo baratro di tristezza. Le avevano ceduto il posto perché era una bella ragazza altissima con una grossa borsa della palestra, non perché avevano riconosciuto in lei qualche tratto conterraneo. Eppure avrebbero dovuto! In lei tutto, a parte l'altezza ma quello era sempre stato un suo vizio personale, gridava "prodotto greco d'origine protetta". Non che il suo aspetto fosse cambiato dopo la guerra, anzi era la stessa di sempre. Era andata a tagliarsi i capelli come gli esseri umani in una delle sue escursioni fuori dal Campo l'anno prima, ma erano ricresciuti in fretta e si era arresa nel suo tentativo di domarli. New York era davvero una città affascinante in cui riusciva a perdersi come una foglia in un fiume carico d'acqua. Si poteva passare tutto il giorno semplicemente seguendo il sempiterno flusso di gente che la attraversava da un lato all'altro, fermandosi solo per attraversare la strada o per obliterare la tessera della metro.

Quando il nome della sua fermata venne annunciato si alzò in scatto dal posto e, stando attenta a non colpire nessuno con il borsone da palestra, uscì dal treno. Pochi minuti di pigia pigia tra le masse di turisti smarriti e i suoi occhi incrociarono la vetta dell'Empire State Building. Allo sguardo di una persona qualunque la maggior parte della gente subito fuori l'edificio più famoso della città sarebbe potuta sembrare normale gente sconosciuta, ma ai suoi di Dea (minore ma pur sempre Dea) le cose non stavano così. Qualche viso era noto e l'unica cosa che le permetteva di stare tranquilla era il fatto che il suo viso umano, invece, non era mai stato noto a loro. Uno potrebbe pensare che le Muse fossero riconosciute ovunque, ma essere la musa della danza non era garanzia di successo. Soprattutto se il complesso messo assieme dalle altre fosse prettamente canoro. Non si sarebbe stupita se avessero addirittura corretto il nome del gruppo da "Cloud9" a "Cloud8".

Sospirò, sentendosi profondamente sconfitta e sperando con tutta se stessa che tutte le facce che non voleva vedere fossero attualmente in vacanza dall'altra parte del globo.

Ma la fortuna non era evidentemente dalla sua dato che una voce, bassa e flautata la chiamò alle spalle.

"Tes?! Oddio Tes, sei tu!"

No. Non era il suo giorno fortunato. Si stampò in faccia un tiratissimo sorriso di cortesia, sperando per lo meno che la proprietaria della voce fosse da sola, e si voltò.

Davanti a lei stava una ragazza sui 27 anni, alta poco meno di lei. Tutta l'acrimonia e la stizza che aveva dentro si sciolsero come bicarbonato nell'acqua calda.

"Nina?" si sentì chiedere, come una perfetta idiota che non riconosce sua sorella.

"Oddio sei davvero tu!"

Fu investita da un abbraccio caldo, profumato di carta vecchia e disinfettante. Nina aveva sempre avuto quell'odore a causa della sua passione per i vecchi tomi. Poi, un paio di forti mani la allontanarono tenendola per le braccia e un paio di occhi di un blu innaturale si fissarono su di lei. Nina indossava dei pantaloni comodi a vita alta per coprire i fianchi larghi, delle spadrillas a fiorellini bianchi e azzurri e una canotta che lasciava di poco scoperta la pancia ma copriva a dovere il seno prosperoso. Non era mai stata la sorella atletica, ma era sempre stata quella più libera dal giudizio degli altri. Forse anche perché aveva letteralmente passato anni isolata da sola su una torre d'osservazione in Siberia. Ma quella era totalmente un'altra storia. Fosse stato per la voce, Sue avrebbe stentato a riconoscerla. Nina portava degli orecchini e un perfetto messy bun che avrebbe fatto invidia al popolo della rete. Dalla borsa le spuntava l'angolo di un cellulare di ultimissima generazione. Per un secondo temette che la trasformazione che le sue sorelle avevano tentato di operare su di lei per millenni avesse finalmente funzionato. Poi Urania aprì di nuovo bocca e Terpsichore capì che non era così.

"Mi sei mancata tantissimo, Tessi, davvero! Almeno una volta potevi rispondere ai miei messaggi!".

"Nina, non farmi gli occhi da cucciolo di pegaso" disse Sue riabbracciandola con forza. "Non ho ancora il potere di rispondere ai tuoi messaggi tra le stelle, ma sappi che li ho notati".

"come mai da queste parti? Hai ancora dei vestiti nel guardaroba di sgorbio?"

Sgorbio era sempre stato il nomignolo con cui Urania aveva definito Apollo dopo che ci aveva provato anche con lei, 400 anni dopo il divorzio da Sue e 50 anni dopo l'ultimo appuntamento con Clio. Inutile aggiungere che tutto ciò era stato considerato estremamente di cattivo gusto.

"No, ma cosa dici! Sono venuta perché volevo... vedere se andava tutto bene".

Per un secondo Sue lesse il dubbio negli occhi della sorella, ma un secondo dopo, come una stella cadente in cielo, questo non c'era già più sostituito dalla pura gioia di vederla. Era un animo buono, Urania, a differenza sua che aveva mollato tutta la famiglia in preda a una crisi creativa per andarsene ad allevare cuccioli di semidio. Urania non se l'era mai sentita di lasciare le Cloud9 e a quanto sapeva dalle ultime news divine si occupava ancora dell'illuminazione dei concerti delle sue sorelle "più talentuose". Come avrebbe detto Clio "non riusciva a fare scissione" ma Clio non diceva niente perché in fondo non ci riusciva nemmeno lei.

"Sicura sia solo per questo?" chiese un po' meno convinta.

"Davvero, devo solo accertarmi, per una rara volta, di avere torto" rispose sorridendo e dando una gomitata alla sorella. Questa si ritrasse di un passo. "Ehy, sei comunque rimasta cattiva".

"Un sacco. E poi da quando faccio aerobica la mattina lo sono ancora di più".

"Tu hai sempre fatto aerobica la mattina".

"Allora risponditi da sola, intelligentona".

Nina rise e la prese sotto braccio. Assieme si avviarono verso l'ingresso del grattacielo, dove la signora al banco le lasciò passare verso l'ascensore senza battere ciglio.

"Non hai idea di quanto mi renda felice vederti finalmente qui a casa".

"Lo sai che per me ormai casa è il campo".

"Lo so, ma anche qui. E poi avevo intenzione di chiamarti in questi giorni".

"Chiamarmi? Ma dai che gentile. Perché? Ci sono notizie?"

"In realtà s-" stava per rispondere timida Urania, ma lo scampanellio deciso dell'ascensore arrivato al più che ultimo piano distrasse Sue.

"Senti, Nina, ne possiamo parlare dopo? Io devo assolutamente recuperare della gente e sbrigare un paio di questioni. Poi ti giuro che passo da casa tua e ci beviamo una tazza di ambrosia fredda col limone. Va bene?"

La sorella si aprì in un sorriso tirato e alzò le spalle, come se non le stesse dicendo qualcosa. "Più o meno".

"Come più o meno?"

Le porte dell'ascensore si aprirono e un chiasso immenso quasi rispedì indietro Sue nella cabina. Sul suo viso si dipinse il più completo orrore quando uno sbuffo di coriandoli metallizzati dorati e argentei fu sbalzata dentro da due spiriti della natura che svolazzavano in giro. Da lontano giungeva rumore di folle urlanti e anche, era certa, della musica pop sparata a tutto volume.

"Dimmi che è un incubo".

Urania sospirò e bloccò con una mano le porte che stavano per richiudersi. "Più o meno".

"Era questo che intendevi con 'ti volevo chiamare'?".

"Più o meno" disse di nuovo lei precedendo la sorella fuori dall'ascensore. Alla prima colonna che incontrarono (di molte) sul loro tragitto di salita verso la vera e propria dimora degli dei, Sue notò un coloratissimo volantino in formato A4. Con rabbia lo staccò e lo guardò, sentendo la palpebra che vibrava sempre di più sotto forma di tic nervoso osservando le sagome delle altre 7 sorelle che rimanevano all'appello sorridenti dalla carta patinata.

CLOUD9 – grande reunion per il lancio del nuovo album

Nell'immagine indossavano dei pepli in bruttissima rivisitazione moderna e scarpe col tacco alto tutte quante, pigiate una contro l'altra per riuscire a stare in un volantino così piccolo senza diventare grandi un pixel ciascuna. "Come mai più o meno?"

"Ci sarà tempo di spiegare tutto Sue, ma tranquilla. Ne parliamo dopo che avrai fatto tutto quello che devi – procedette a parlare il più tranquilla possibile – Avevi molte cose da fare, no?"

Il suo tono era incoraggiante e Sue appallottolò con rabbia il volantino per poi tornare a guardare in faccia sua sorella. Lo diceva sul serio, le stava ricordando che aveva qualcosa di più importante da fare rispetto a criticare la sua famiglia. I suoi ragazzi erano la priorità.

"Passo dopo per un'ambrosia, lo prometto. Ora vado a cercare Zeus... e se la trovo anche quella spanata di Atena. Mi servirebbe anche Apollo, ma non sono così eccitata all'idea di parlargli, proprio per niente".

"E chi lo sarebbe, sis? La risposta è nessuno".

Un'ultima risata. Un ultimo abbraccio e un ultimo sorriso. Sue procedette su per le scale verso la cima mentre dopo alcuni passi, invece, Urania girò a destra verso una delle casette secondarie dove le varie divinità conducevano la loro normalissima vita divina tra una visita sulla terra e l'altra.

La cima era tutta un'altra storia. Un trionfo di archi, arte moderna e antica fuse assieme in un abbraccio morbido di marmo levigato e statue in stile classico, inframmezzate da antiche decorazioni arcaiche. Sorrisi arcaici dall'aria ebete la seguirono quando entrò in uno dei cortili centrali che fungevano da anticamera alla sala dei consigli. Tutto sarebbe stato perfetto se il portico non fosse stato ingombro da palloncini e coriandoli e tavolini con mazzi di fiori già pronti ad accogliere le star della serata. Perché ogni volta che andava sull'Olimpo ci doveva essere una celebrazione di qualche tipo in corso?

Da dietro le colonne si mosse però qualcosa. Sue lasciò a terra la sua borsa da ginnastica e, ancora perfettamente nel suo abbigliamento umano, si diresse verso l'ombra. "Chi è?". L'ombra si limitò a spostarsi un po' più in là sfuggendo dietro un'altra colonna. Era qualcuno di piccolo, di certo, se no non sarebbe riuscito a nascondersi. Stava per scappare di nuovo ma Sue fu più veloce e con uno scatto da velocista la raggiunse.

Hestia le sorrise semplicemente. "Bentornata, Terpsichore".

"Hestia!" rispose Sue. "Che piacere vederti".

"Anche per me, carissima. Come mai sei tornata? L'altra casa sta stretta?".

"Oh no no, al contrario. Sto bene, ma siccome sono preoccupare per il Campo sono venuta a chiedere consiglio a qualcuno. Sai dov'è Zeus?"

"Il Padre è impegnato, ma gli altri sono riuniti nella sala conciliare".

"Dici che è opportuno se li disturbo?"

La divinità rise argentina facendo crescere d'intensità il fuoco che ardeva al centro del portico, tra tutti i palloncini trash.

"Sei una dea, Terpsichore. È solo opportuno che tu ti sieda nel concilio. Non serve avere una poltrona designata per farne parte".

"Nemmeno l'Ospitale ha una poltrona assegnata".

"Vedi? Ti sei risposta da sola".

La musa ringraziò la più schiva tra le dee e la guardò sparire da un ingresso secondario, diretta verso chissà dove a far sentire qualcuno a casa. Hestia era fatta così, spuntava dal nulla per dire una parola saggia al momento giusto sull'argomento giusto, poi, una volta esaurito quello che riteneva il suo compito, spariva. Ma l'effetto era sempre lo stesso: farti sentire a casa.

Forte del sostegno che non aveva pensato di necessitare, bruciò gli ultimi metri che la separavano dalla porta della sala ed entrò spalancando i battenti. Alcuni seggi erano vuoti, come quelli di Zeus e Poseidone, mentre tutti gli altri principali erano occupati dai loro rispettivi proprietari. Soprattutto quello di Apollo. Era molto occupato dall'ego del suo proprietario vestito con un tuxedo oro.

Gli occhi di tutti furono immediatamente rivolti verso di lei, che incamerò tutta l'attenzione assorbendola come una specie di sostanza nutritiva.

La usò per crescere fino all'altezza giusta per poter guardare tutti negli occhi. E solo quando all'ingresso della sala stava una musa di sei metri vestita con un giubbino in jeans vintage, shorts in jeans a vita alta e canottiera rossa a stelline bianche, orecchini di anello e occhiali da sole vecchio stile, solo allora fu soddisfatta degli sguardi di tutti.

"Ora che potete apprezzare il mio stile a dimensioni naturali, salve anche a voi".

"Terspichore... non ci avevi avvertiti" disse Afrodite alzandosi dal suo seggio per andarle incontro, facendo attenzione a non inciampare nel suo lunghissimo peplo con strascico color cipria.

"E perdermi le vostre bellissime facce stupite? Per nulla al mondo!".

Afrodite non sembrò cogliere subito la frecciatina ma quando lo fece i suoi occhi divennero freddi.

"A cosa dobbiamo la tua presenza, nipote?" chiese Efesto che, a una lato della sala, stava discutendo fitto fitto con Dioniso. "Spero vada tutto bene al campo. Come stanno i miei ragazzi?"

"I tuoi figli stanno bene, Efesto. Così come Shoshanah, si sta comportando bene".

Dioniso sorrise, o ghignò era impossibile da decidere, in risposta chinando leggermente il capo in segno di apprezzamento per l'informazione. "Però sono venuta qui perché sono preoccupata per le sorti del campo" disse a voce più alta per farsi sentire da tutti. E immediatamente l'attenzione fu di nuovo tutta sua.

"Ho fatto un sogno che penso sia premonitore di grandi sventure per il campo e per i ragazz-"

"Stop stop stop, tesoro. Noi in realtà stavamo parlando d'altro" si intromise Apollo alzando entrambe le mani, sparando raggi di luce arcobalenati si tutte le superfici disponibili con i suoi gemelli in cristallo.

"La mia sarà una questione molto molto veloce. Volevo solo chiedere a tutti i presenti se la discussione può quindi considerarsi conclusa e che la reunion delle Cloud9 potrà quindi avere definitivamente luogo".

"Non posso credere che tu stia interrompendo qualcosa di urgente per questo, Apollo. Seriamente".

"Io sono serissimo. E ti sto aiutando: concludo il mio intervento in modo che tu possa avere il suo spazio".

Sue sospirò e osservò mentre tutti gli dei presenti, chi volente e chi nolente, assentiva.

"Ottimo. Manca solo un voto" rispose arzillo il dio della poesia battendo le mani con fare soddisfatto. "Tu cosa ne pensi, zuccherino?"

"Io?" chiese la musa, mentre gli sguardi, come in un gioco di ping pong, seguivano la conversazione che si era di nuovo arenata su di lei. "Io non ho nemmeno sentito di cosa avete parlato. Non posso votare per qualcosa che non so".

"Molto semplice, zuccherino, ti piacerà un sacco!".

Dioniso in un angolo faceva segno di fingere di impiccarsi con la cravatta unticcia che aveva al collo mentre Efesto da parte a lui si era piantato una mano disperata in faccia. Prima che Sue potesse dirgli che non le interessava un fico secco di quel che aveva proposto al resto dell'assemblea, Apollo si alzò in piedi e disse qualcosa che cambiò la sua intera esistenza. In peggio.

"La reunion delle Cloud9 si terrà AL CAMPO MEZZOSANGUE!"

Una tempesta stava per arrivare a distruggere casa sua. Ed era una delle peggiori indomabili catastrofi climatiche di cui fosse a conoscenza: una riunione di famiglia. Della sua famiglia.

Con orrore si rese conto che improvvisamente, tutto il sogno aveva senso. 


Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top