12. Tutti okay (più o meno)
Shoshanah si chiedeva, spesso e volentieri, perché fosse una semidea così problematica. Sì, perché in confronto ai più problematici tra i semidei, come i figli di Ares o di Ecate, lei appariva come un caso veramente speciale. Più di una volta aveva tentato di far risalire quel disagio al suo divino genitore, un po' perché era facile dare la colpa a lui dal momento che era figlia unica, un po' perché, in effetti, Dioniso aveva dimostrato più di una volta di avere qualche problema, ma la cosa non l'aveva mai veramente soddisfatta.
In quel momento in particolare non riusciva a fare a meno di pensare che la questione annosa fosse solo e solamente sua. Incastrata con un braccio infilato nella sottile bretella e l'altro nello scollo del suo nuovo prendisole, non riusciva a capacitarsi di quanto fosse impedita. La persona riflessa nello specchio del suo armadio, con una massa di ricci in piedi e quella strana posa picassiana non poteva essere lei. Non poteva.
La pubertà era stato un duro colpo per Shoshanah. Nel giro di pochi mesi da quando la guerra di New Troy era finita, il suo corpo era mutato in maniera brusca. Ogni tanto temeva che quella violenta virata verso l'età adulta fosse derivata dal primo bacio che aveva dato a Rob, quasi due agosti prima, ma le due cose non potevano essere scientificamente dimostrate e collegate. Molto più semplicemente, era giunto il momento di crescere. Traumatico sì, ma normale.
La morbida ciccetta che per tanti anni l'aveva accompagnata si era condensata sui fianchi, il seno aveva quadruplicato le sue dimensioni, i crampi da ciclo avevano cominciato ad arrivare puntualmente ogni mese e piano piano si erano svegliati anche quei subdoli impulsi che mettevano tanto in imbarazzo Rob, quando nel cervello di Sho sussurravano alle sue mani di allungarsi sotto la maglietta del ragazzo.
Ora, che di anni ne aveva quasi diciassette, si era più o meno abituata alle sue nuove forme. Ma a volte erano le sue stesse forme a dimenticarsi di armonizzare tra loro, proprio come in quel momento.
"Dannato reggiseno" ringhiò tra sé, cosa che aveva iniziato a fare quando era completamente sola e perdeva la pazienza con sé stessa. Cercò di sfilare il braccio dal collo, ma nel movimento si sentì il drammatico rumore di qualcosa in via di strappo, così fu costretta a fermarsi, controllare tempestivamente che il danno non fosse ingente e ricominciare. Al terzo tentativo - compreso di ennesimo punto di cucitura saltato - decise che ne aveva abbastanza. Si sedette sul suo lettino dal piede di vite e cercò di sfilarsi quella trappola di cotone dalla testa. Ci mise più di due minuti per capire che si era sistemata sopra il bordo del prendisole e mai, secondo nessuna logica fisica, quel dannato straccetto avrebbe seguito i suoi movimenti.
Con un sospiro rabbioso si rialzò e, agitandosi come un tonno all'amo, riuscì a lanciare per terra il suo nuovo vestito. Lo guardò infastidita e il suo umore peggiorò quando si rese conto dello strappo ormai riconoscibile sulla schiena. Si agitò il reggiseno con le mani, rimise al suo posto ciò che stava disperatamente tentando di sfuggire alla coppa ormai troppo stretta e si guardò attorno con le braccia sui fianchi. In quel momento le avrebbe dato fastidio qualsiasi cosa. Il braccio di mare quieto che risultava essere la sua normale espressione, quel giorno era smosso da un ciclone. E tutto per uno stupido vestito troppo stretto! Cosa mai sarebbe potuto succedere ancora?
"Sho?"
Soshanah si voltò lentamente verso la porta della sua cabina e si limitò ad alzare un sopracciglio scuro quando riconobbe la silhouette di Sia contro il cielo in cui il sole stava sorgendo.
"Ciao" disse atona, indifferente all'espressione perplessa della ragazza, che fissava il suo atipico abbigliamento intimo - un reggiseno viola e delle mutande leopardate - e poi posava lo sguardo sul prendisole a terra, ciclicamente.
"Cosa è...?".
"Niente".
Sia riprese la propria concentrazione, ricordandosi improvvisamente perché fosse lì.
"Rob è tornato".
"Cosa?".
Shoshanah parve leggermente sorpresa e Sia sembrò contenta del suo lasciar trasparire sentimenti. Sorrise contenta e rispose: "Appena arrivato. È nella nostra cabina, tra poco va a parlare con Sue e Scar...".
La ragazza si zittì quando Sho, con uno dei suoi scatti impensabilmente rapidi, si abbassò ad artigliare il prendisole nuovo - che Sia trovava davvero strano, viola e arancione e verde lime, sicuramente non un abito da cerimonia - e con una mossa elegante riuscì a infilarselo impeccabile al primo colpo.
"Va bene. Pronta. Andiamo". Le disse, ficcandosi le dita tira le ciocche per un millesimo di secondo e ritenendo i propri capelli sufficientemente in ordine. Sia non poté fare a meno di sorridere, perché da quando Sho era diventata la ragazza di Rob anche lei aveva iniziato a conoscerla meglio e aveva scoperto, con sua sorpresa, che era una persona in grado di volerle bene, anche se con il suo solito modo piatto. Non si aspettò che la prendesse a braccetto o che le desse un bacio, ma fu contenta di farsi sfiorare una mano, quando Sho la sorpassò per uscire di casa. Era il suo modo di dire grazie e per Sia valeva davvero tanto.
Robert era quasi arrivato alla Casa Grande quando qualcosa d'altro rispetto a Sue o Scarlett entrò nel suo campo ridotto visivo. Qualcosa di troppo colorato e poco filiforme, violaceo. Ovviamente, se ne rese conto in tempo, in base al principio su cui si basava il suo intero stile di combattimento, tanto efficiente da tenerlo in vita oltre i sedici anni.
Se puoi vederlo, è già troppo vicino.
E così fu. Si girò completamente giusto prima che Shoshanah arrivasse trafelata. Lui aveva già messo una mano alla cintura per cercare il martello, ma quando sentì il vuoto sotto le dita, era già troppo tardi e la ragazza gli aveva buttato per quanto riuscisse le braccia al collo. L'unica cosa a colpirlo però fu l'odore dolce di uva matura e la massa di ricci che gli solleticarono la faccia quando si chinò per sollevare la ragazza in tenero abbraccio. Gli era mancata tantissimo ed era certo che la cosa fosse reciproca. Per i semidei c'erano tante cose che non si potevano dare per scontate, oltre al fatto di rimanere nella stessa scuola per più di un anno... come per esempio il rivedersi. Il semplice dirsi "ci vediamo" implicava la certezza che si sarebbe rivisti davvero, ma un semidio sapeva che avrebbero potuto esserci milioni di motivi per cui no, non era vero che ci si sarebbe rivisti, proprio per niente. Le manticore, le gorgoni, le manie... tutti i mostri da lì al Tartaro andata e ritorno avrebbero potuto decidere che si doveva morire. E allora si sarebbe morti come tutti gli altri mezzosangue prima di allora in quel duro mondo che nessuno vedeva. Forse era proprio per questo che i semidei correvano tanto nella vita. Correvano alla morte quanto correvano verso tante altre cose. Forse era proprio per questo che Rob aveva baciato Shoshanah sui gradini della cabina di Dioniso, due estati prima, in una delle loro serate passate a osservare il resto del campo fare baccano: perché sapeva che alla prima occasione fuori dal campo tutto sarebbe potuto finire. E allora perché morire con dei conti in sospeso? Così si correva all'amore, si correva all'avventura e si correva scappando dai mostri. Ma era così infinitamente più bello e più dolce correre con qualcuno al fianco, nonostante non sembrasse a prima vista così atletica.
"Ehy, Sho" la salutò piano cercando di mettere a fuoco il suo viso tra le macchie di colore poco saturo che componevano il suo mondo. Sapeva che la sua faccia era lì, ma non sapeva molto di più che il colore che probabilmente aveva (nemmeno di quello era certo).
"Non mi avevi detto che saresti tornato" ribatté lei, stirando la faccia nella sua solita smorfia piatta e indefessa.
Sia da lontano non poté che sogghignare tra sé e sé. Erano strani da guardare e non solo per l'effetto dolce metà creato dal divario delle due altezze, ma anche dal loro strano modo di comunicare. Sembrava di vedere due statue di cera al museo che dialogano animatamente. Ferme, impassibili. Eppure sapeva che dentro entrambi c'erano un sacco di emozioni, anche molto contrastanti, e che anche loro erano fatti di carne e sangue come lei. Ma non ce la faceva a non sorridere ripensando a tutti gli altri incontri che c'erano stati al campo. Gabriel e Marissa, Jazlynn e Jasper, Jack e Iris. Scornati e scontrosi, amorevoli, affettuosi ma espressivi. E quei due si fissavano invece con fastidio, improvvisamente silenziosi. Non poteva nemmeno dire che si stessero guardando negli occhi perché Rob non ci vedeva. Poteva solo sorridere e chiedersi come avessero fatto a trovarsi solamente due anni e non prima ancora, dato che evidentemente erano fatti l'uno per l'altra. C'era voluta New Troy, c'era voluta quella fuga nella foresta di Panama.
"Fallo un'altra volta e ti mollo" disse Shoshanah mentre agitava le gambette a mezz'aria come segno inequivocabile del voler essere messa giù. Rob seguì le indicazioni e la rimise a terra con delicatezza, rimettendosi poi dritto davanti a lei.
"Okay".
"Okay" rispose di nuovo lei.
"Okay" disse Scarlett dalla finestra al primo piano della Casa Grande. "Ora che avete finito di scrutarvi le profondità dell'anima alla ricerca della vita su Marte potete anche entrare, eh!".
"Okay" rispose Rob e tendendo una mano per prendere quella di Sho salì i gradini mentre Sia lo seguiva con gli occhi.
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