92

Marco si era sposato. Quella bambina dalle lunghe trecce dorate era diventata sua moglie.

Gala piangeva in silenzio, mentre intorno a lei imperversava la tempesta. Lui non le aveva detto nulla. Quel giorno era uscito per incontrare Plozia, lei era rimasta con il fiato sospeso fino al pomeriggio, mentre lui se la spassava con un'altra senza averle detto niente.

Non voleva crederci. Quella notte era stata talmente splendida. Avevano fatto l'amore. Marco aveva detto che per lui era stato bellissimo, che ora che l'aveva trovata non voleva lasciarla mai più.

E invece l'aveva lasciata poche ore dopo. Aveva solamente giocato con lei, lei che era la sua schiava. Non sarebbe mai stata altro. Lei gli si era concessa in tutto e non aveva ricevuto nulla in cambio, se non un cuore trafitto, che spandeva le sue lacrime di sangue nella terra bagnata di tempesta.

Ma quella tempesta, che le inzuppava i capelli sciolti e li incollava alla nuca, che la faceva tremare di freddo insieme al vento che soffiava tutt'intorno, non era nulla in confronto a quella che si stava scatenando dentro di lei. Non era mai stata tanto male come in quel momento. E questo perché si era innamorata di un uomo con il quale non aveva futuro, con il quale sapeva fin dall'inizio di non avere futuro. Si era innamorata di un uomo che l'aveva tradita nel modo più crudele. Se le avesse conficcato una spada nel petto, non avrebbe patito le pene che in quel momento la tormentavano.

Udì dei passi dietro di sé, piedi pestare l'erba bagnata, producendo sonori ciaf ciaf che si avvicinavano a lei.

<<Gala?>>

Riconobbe la voce profonda e preoccupata, ma non si voltò. Rimase seduta sul muricciolo, lasciando che la pioggia le scorresse lungo il viso, mescolandosi alle lacrime che sgorgavano senza controllo.

<<Cosa fai qui fuori?>>

Piango, Marco, avrebbe voluto dirgli. Piango per me, per il dolore che sto provando. Piango per tua moglie, che non sa quale destino di infelicità l'aspetta al tuo fianco. E piango per te, Marco. Sì, anche per te. Perché sei un uomo insensibile ed egoista, che ottiene ogni cosa a suo piacimento senza dare nulla in cambio. Piango perché sei un essere senza cuore. Non sai cos'è il rispetto, non sai cos'è l'amore.

Nemmeno una sillaba uscì dalle sue labbra sigillate e tremanti. Per il freddo, per il dolore, per la paura del futuro.

Ciaf ciaf.

Marco si mise una mano sulla fronte per schermare gli occhi dalla furia della pioggia. Poi si tolse il pallium e si avvicinò per infilarlo alla ragazza. Ma non appena percepì il tocco delle sue dita, quella si dibatté e saltò dall'altra parte del muro. Poi si voltò verso Marco, furiosa e fradicia. <<Non toccatemi>> sibilò, in un singhiozzo.

<<Cosa ti succede?>>

Gala gli diede le spalle, incapace di aggiungere altro, e fece per tornare dentro casa, ma Marco la fermò, afferrandola per le spalle. <<Gala!>>

Quella si dibatté, scalciando e premendo le mani sul petto di lui, tenendo la testa voltata come per non farsi vedere in viso. O per non vedere quello di lui.

Marco la tenne stretta contro di sé, impedendole di fuggire ancora. Dovette stringerla per le braccia, dovette farle male per far sì che si arrendesse e scoppiasse in un pianto dirotto contro il petto di chi l'aveva causato. Marco rimase inizialmente immobile. Poi le accarezzò la testa, finché le sue spalle smisero di essere scosse da così violenti singhiozzi.

Gala tentò di nuovo di allontanarsi, ma Marco non glielo permise. <<Come l'hai saputo?>>

Lei sollevò lo sguardo su di lui, le labbra tremanti di pianto e di rabbia. <<Da voi stesso e dalla vostra gentile consorte.>> Era ancora più furiosa per il fatto di non essere stata in grado di controllarsi, e il suo tono di voce lasciava trasparire tutti i suoi sentimenti.

<<Non volevo che lo venissi a sapere così...>> mormorò Marco in un sospiro.

<<E come volevate che lo sapessi?>> lo aggredì la serva. <<Tramite una bella letterina con tante parole affettuose? O magari mi facevate l'onore di dirmelo di persona?>>

<<Questo sarebbe stato preferibile... saperlo dalla mia bocca.>>

<<La stessa bocca che ha baciato con passione una donna che non sono io?>>

Marco aggrottò la fronte. <<Cosa vuoi dire?>>

Gala lo guardò, sapendo di essersi spinta troppo in là. Di essere stata sul punto di rivelare il suo segreto. <<Lasciatemi andare.>>

<<Prima dimmi cosa intendevi con quella frase.>>

Gala riprese a dibattersi. <<Potrei ammalarmi.>>

<<Gala...>>

<<Per gli dei, lasciatemi!>> gridò, scalciando.

<<Sei forse gelosa di Nemia?>>

<<Che stupidaggine!>> Gala lottò con tutte le sue forze per liberarsi da quell'abbraccio. <<Lasciatemi ho detto!>>

Improvvisamente si ritrovò con la schiena premuta sul muro della domus. Marco le stava davanti, togliendole il respiro. <<Sei gelosa della ragazza che ho sposato?>>

Gala lo guardò negli occhi, provando un forte desiderio di sputargli addosso. Ma desisté. Non avrebbe mai potuto farlo. All'improvviso però non le importò più nulla. Voleva solo chiudere gli occhi e fingere che fosse tutto un brutto sogno. Fingere che nulla di quanto era accaduto fosse vero. Fingere che Marco tenesse davvero a lei.

Il padrone le mise un dito sotto il mento. <<Parlami, Gala.>>

<<Non ho nulla da dirvi>> mormorò con voce tremante la schiava, scostando il viso.

<<Io invece credo che abbiamo molte cose da dirci.>> Marco scosse la testa, sospirando. <<Perché non vuoi aprirti con me, Gala? Perché ti tieni sempre tutto dentro? Perché non ti fidi?>>

Gala si voltò di scatto verso di lui. <<Perché già una volta mi sono aperta con voi ed ora ho il cuore spezzato in due!>> gridò con tutto il fiato che aveva in gola, con tutta la rabbia che si era andata accumulando dentro di sé. <<Perché già una volta ho corso il rischio, mi sono fidata e sono stata ingannata! Perché già una volta ho scommesso a una partita che sapevo non sarei stata io a vincere, ma la posta in gioco era tanto seducente che non ho potuto rinunciare! Mi sono messa in gioco ed ho perso. E voi avete vinto. Eh sì, ve la ricordate la vostra scommessa? Ricordate cosa mi diceste quel giorno? Che sarei entrata volontaria nel vostro letto. Che voi non mi avreste forzato! Che mi avreste sedotta come non avevate fatto con nessun'altra donna. E io, da perfetta scema, ci sono cascata in pieno!>>

Lo spinse all'indietro, puntandogli contro un dito. <<Mi sono fatta incantare dalle vostre parole di miele, dall'interesse che sembravate provare per me, dai vostri interventi per salvarmi la vita! Mi sono detta che in fondo potevo provare, che non avrei perso nulla. Mi ero affrettata ad ingoiare l'orgoglio.>> Gli lanciò un'occhiata omicida. <<Ma invece ho perso qualcosa. Perché la vostra scommessa non finiva lì. Lo sapete benissimo che non finiva lì, non è vero? Sapete benissimo di cosa sto parlando. Avete detto che sareste riuscito a farmi innamorare di voi.>> Gala iniziò a battere le mani. <<Ebbene, complimenti, vi meritate un applauso, perché io ormai vi amo, vi amo come non ho mai amato nessun altro e come mai probabilmente farò!>> Rise, inchinandosi. <<Complimenti, domine Marco Cherea, ci siete riuscito! Mi avete sedotta. Ma sappiate che mi avete anche uccisa, in un modo molto più terribile di quanto non avrebbero fatto venti sicari di Plozia. E non ve lo perdonerò mai, domine. Quello che mi avete fatto è stato quanto di più orribile io abbia mai dovuto affrontare in vita mia e non ci sono scuse o spiegazione che possano addolcire la rabbia che provo verso un bugiardo, traditore, bastardo come voi!>>

Lo schiaffo giunse senza preavviso e risuonò nell'aria. Gala cadde per terra, nel fango, le gonne sozze che le avviluppavano le gambe, i capelli che spiovevano davanti al volto. Dopo qualche istante, la ragazza sollevò lo sguardo sul padrone livido.

Marco guardò la mano che l'aveva colpita come se non gli appartenesse. Gli occhi della sua schiava erano umidi e le lacrime si mescolavano alla pioggia.

<<Gala...>>

Tentò di dire qualcosa, di scusarsi, di giustificarsi, ma forse non riuscì nemmeno a pronunciare il suo nome. Rimase impietrito dall'orrore.

Lei si mise in piedi, affondando le mani nel fango per tirarsi su. I capelli nascondevano la guancia arrossata, appesantiti dall'acqua.

Dopo avergli rivolto un'occhiata che Marco non avrebbe mai scordato, si voltò e fuggì verso la pineta.

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