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Il profondo ronfare della cuoca era l'unico rumore che Gala potesse percepire. La domus era immersa nel silenzio, non un uccello emetteva il suo verso basso e prolungato. La chiara luce lunare penetrava dentro il cubiculum.

Gala osservava la pallida faccia bianca dell'astro, lassù nel cielo color inchiostro, senza riuscire a prendere sonno. Si era seduta spalle al muro, con le braccia si abbracciava le gambe coperte dalla tunica che Marzia le aveva procurato, i lunghi capelli erano sciolti sulle spalle e l'avvolgevano tutta, sfiorando il torus. Per la centesima volta nell'arco di pochi minuti, Gala spostò lo sguardo sulla porta. Per la centesima volta si alzò sulle gambe tremanti e vi appoggiò l'orecchio. Solo il silenzio rispose alla sua implicita domanda.

Tornò al proprio giaciglio, avvolgendosi nelle coperte ma senza sdraiarsi. Tornò a guardare la luna, sperando in un effetto calmante. Aveva i nervi a fior di pelle, perché non sapeva che cosa aspettarsi. Si strofinò gli occhi e portò una mano alla bocca. Se fosse stata meno spaventata, avrebbe avuto modo di ragionare che, se lui non si era ancora presentato, voleva dire che non aveva intenzione di usarla, per quella notte. Altrimenti, se davvero l'avesse voluto, non avrebbe atteso così tanto per venirla a chiamare.

Sbadigliò di nuovo. Era stanca morta. Il cammino dal Vicus Patricius, dove sorgeva la domus di Emilio Macro, l'aveva stremata. I piedi erano ancora doloranti, i muscoli del collo contratti. Eppure lei non dormiva. Si rifiutava di chiudere gli occhi, per paura di doversi svegliare nel caso lui fosse arrivato.

Appoggiò la fronte sulle ginocchia. Non ricordava da quanto tempo non trascorreva una notte agitata come quella. Non era solo colpa di Marco Cherea, bensì dell'insieme delle emozioni di quella giornata. Da un anno si era rassegnata a pensare che la sua vita non sarebbe stata diversa da quella che stava conducendo, al servizio di Emilio e Plozia. Quel giorno, però, le aveva fatto capire quanto poco lei fosse padrona della sua vita. Sarebbe sempre andata dove fosse richiesta la sua presenza, e non avrebbe mai potuto ribellarsi, protestare o mettere il broncio come faceva da bambina. Neanche allora poteva decidere della sua vita, ed era libera.

Si mise in piedi, cercò a tentoni la candela mezza consunta e silenziosamente uscì dal cubiculum. Dopo aver acceso il lume, si incamminò per i corridoi bui e deserti, senza avere idea di dove stesse andando. Come guidati da volontà propria, i suoi piedi la condussero nel salottino, davanti al ritratto di Venere. Ne ammirò la perfezione insita nei dettagli, la stupefacente beltà erotica del volto, l'attenzione per particolari che ad una prima occhiata le erano sfuggiti.

Proseguì accostata alla parete, stringendo gli occhi per vincere l'oscurità. Sui muri erano dipinte scene mitologiche, animali straordinari, episodi tutti legati alla sfera della passione. Osservò con magico rapimento una Leda che si avvicinava al cigno-Zeus, ritrosa ma affascinata, e una Pasifae stravolta dal piacere mentre si lasciava possedere dal toro che le avrebbe messo in grembo il Minotauro.

Arrivò all'arco che introduceva nella piccola biblioteca, le pupille dilatate che danzavano repentine per cogliere tutte le meraviglie nascoste. Un luccichio attrasse la sua attenzione, ma quando guardò in quella direzione vide solo un piccolo arazzo oblungo, ricamato a motivo floreali. Avvicinò la fiamma tremolante e si rese conto di stare trattenendo il respiro. Il cuore le batteva forte, spaventato dal buio opprimente e totale, da tutti quegli oggetti misteriosi e sconosciuti che la circondavano e dalla consapevolezza che non avrebbe dovuto essere lì, a ficcare il naso nelle cose del suo nuovo dominus.

Con due dita scostò piano l'arazzo e quello che vide fu un altro mosaico, l'ennesimo, ma di un tale splendore che le levò il fiato. Una donna sedeva su uno scranno, le mani intente a lavorare un arazzo e lo sguardo perduto in lontananza. Era vestita da giovane sposa, con la recta bianca che scendeva in morbide pieghe, la chioma coperta dal flammeum rosso arancio che rifletteva in bagliori i raggi del sole che scendevano dall'alto. Gala riconobbe l'ambiente dalla fresca erba e dalle piante di glicine e viola diffuse tutt'intorno alla donna. Era il peristilio di quella stessa casa, in un'epoca più colorata di quella attuale, più viva, più refrigerante. Gala intuì che dovesse essere stata quella donna, quella ragazza, dato che non dimostrava più di venti, ventidue anni, a portare la vita in quelle stanze.

Le mani erano piegate, intente, sulla stoffa ricamata. Erano mani molto belle, pallide, delicate. Gala poteva quasi intuirne la morbidezza. La donna era leggermente curva in avanti, come se qualcosa, mentre stava lavorando, avesse richiamato la sua attenzione. Gli occhi sognanti, lontani dal presente, ignari delle intenzioni del suo ritrattista, si volgevano ad un mondo che solo lei conosceva, le labbra si piegavano in un sorriso misterioso, ineffabile, ma carico di una dolcezza innaturale, quasi sovrumana. I suoi capelli brillavano per effetto della polvere d'oro, che l'aveva abbellita il giorno delle sue nozze e che il dominus aveva riprodotto con fedeltà sulla pasta dura.

Solo in ultimo, Gala notò il diamante che le luccicava al collo. Era piuttosto piccolo, intagliato a forma di cuore, ma la sua purezza, il suo candido splendore ne facevano il gioiello più bello che lei avesse mai visto. Si domandò chi fosse, quella giovane donna dall'aspetto soave e dal sorriso ancestrale, e si domandò che ne fosse stato di lei.

Tolse la mano, l'arazzo ricadde velando quella meraviglia. Gala si volse, nell'oscurità della biblioteca, che dopo quell'esplosione di colori le parve più grottesca e minacciosa che mai e pensò che, chiunque ella fosse stata, andandosene aveva portato via qualcosa da quella dimora. Qualcosa che nessuno era riuscito a resuscitare.

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E a questo punto finisce ufficialmente quello che nel romanzo cartaceo corrisponde al primo capitolo. Un po' lunghetto per gli standard di Wattpad ma mi hanno detto che fila via che è un piacere e molti non riescono a staccarsene. Volete cominciare bene il 2019? Regalatevi un viaggio nell'antica Roma con "Odi et amo"! 🤗
E ora vi lascio dei ricordi della mia prima presentazione di Odi et amo, dove sono riuscita a fare sold out di tutte le copie che avevo a disposizione! La partecipazione è stata immensa e sorprendente, il pubblico si è entusiasmato e ha fatto domande pertinenti e interessate e la mia soddisfazione è stata unica 😍

Le due signore sedute accanto a me sono il sindaco e l'ex sindaco del mio paese. A organizzare la presentazione mi hanno aiutato anche le signore del CIF (Comitato Italiano Femminile). Il mio esordio come scrittrice non poteva andare meglio!

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