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Afferrata la synthesis che un'ancella, molto probabilmente appostata come il resto della servitù dietro la porta del triclinio, si era affrettata a consegnargli, Marco andò a recuperare Aliseo senza scomodare gli stallieri e lo condusse in strada. Prima di salire, si voltò verso Gala. <<Stai bene?>> domandò, in tono burbero.
Gala annuì, a testa bassa, massaggiandosi l'avambraccio. Quando il suo padrone era esploso, aveva temuto anche per sé stessa, e la soggezione non l'aveva ancora lasciata. Non aveva mai sentito nessuno zittire un'assemblea con un solo urlo, né parlare a voce tanto bassa eppure così paurosamente minacciosa.
Marco le prese con fare rude un polso e le sollevò il braccio. Poi controllò l'altro. Le toccò la mandibola e le mosse il mento. Infine abbassò lo sguardo e serrò i pugni quando vide lo strappo alla tunica.
Temendo che fosse adirato per la stoffa, Gala si affrettò a balbettare: <<L...la riparerò, domine, state tranquillo! D...domani sarà come nuova, p...prometto.>>
Marco le rivolse uno sguardo indecifrabile. Poi si voltò e salì sul pomellato, che sembrava aver percepito la tensione e si muoveva su sé stesso, a disagio, le narici frementi e gli zoccoli scalpitanti. Chinandosi sulla ragazza, Marco disse, in un tono che non ammetteva repliche: <<La strada non è lunga, ma tu sei sconvolta. Sali.>>
Gala tentennò. Non ci teneva particolarmente, soprattutto dopo la figuraccia che aveva fatto l'ultima volta, però capiva che il padrone aveva ragione. Era stanca e tremante. E poi non voleva irritarlo ulteriormente. Marco la sollevò con lo stesso sforzo con cui avrebbe sollevato un calice e se la sistemò tra le braccia. La posizione era scomoda e Gala rimase rigida, imbarazzata oltre ogni dire.
Cavalcarono in silenzio, mentre il cielo andava scurendosi. Fu Marco a rompere il ghiaccio. <<Perché diavolo sei venuta?>>
Gala sospirò piano. <<Hermona mi ha consigliato di portarvi un amictus e una torcia per il ritorno, domine. Lei stava ancora male, e così ha chiesto a me di raggiungervi, dato che i ragazzi erano impegnati con...>>
<<E dove sono mantello e torcia?>>
<<Temo di averli lasciati nella domus...>> mormorò sconsolata la ragazza. <<Devono essermi caduti quando...>> Si interruppe, mentre la pelle veniva solcata da un brivido.
<<Stai tremando, e non credo che sia per il freddo. Come sei arrivata a quella situazione? Hai detto o fatto qualcosa di provocante?>>
<<No, domine! Ho subito detto di essere la vostra serva.>>
<<E nonostante lo sapessero, hanno approfittato della mia assenza.>>
<<Forse credevano che non vi sareste arrabbiato. Dopotutto, sono una schiava.>>
Marco accentuò la presa e strinse a sé la ragazza. <<Sbagliato. Tu sei la mia schiava. E nessuno può permettersi di usare ciò che mi appartiene. Credo che lo abbiano capito, ora. Ma in futuro non commetterò più l'errore di partecipare a un banchetto insieme a bestie del genere. Fortunatamente sono arrivato in tempo. Non ti hanno fatto violenza, vero?>> Gli giunse in risposta una specie di rantolo, e Marco abbassò lo sguardo. <<Cosa c'è?>>
<<Mi togliete il respiro...>> biascicò Gala in un soffio.
Marco allentò immediatamente la presa. <<Per Giove, ragazza, non potevi dirmelo prima che ti soffocassi?>>
<<Credevo lo faceste di proposito. Come punizione per avervi disobbedito>> mormorò la serva, cercando di recuperare il fiato e massaggiandosi il braccio. Non credeva che un abbraccio potesse essere doloroso prima di sperimentare quello del suo padrone.
<<Non mi hai disobbedito>> borbottò Marco, facendo avanzare più velocemente il cavallo. <<Hai dato retta a quella scriteriata di una greca.>>
Diede un'occhiata alla ragazza, e solo allora sembrò rendersi conto di stringere tra le braccia la stessa giovane che quella notte aveva spiato in riva al Tevere. Sebbene avesse il viso arrossato e i capelli spettinati sciolti sulle spalle, sfuggiti alla rete che lui dava da indossare a tutte le sue ragazze, Marco la trovava sempre incantevole. Le ciglia nere erano abbassate, come si conveniva, e le mani strette in grembo tenevano tirata la tunica stracciata. Erano mani piccole, affusolate, con le unghie corte e mangiucchiate, ma bianche come gigli e davano l'impressione di essere morbide come seta.
<<Sì, a volte faccio quest'effetto>> mormorò, per un istante spaesato, impensierito.
Gala sollevò uno sguardo interrogativo. <<Come?>>
Lui la osservò in quegli occhi scuri, profondi, in cui la pupilla era un tutt'uno con l'iride. Occhi intelligenti, miti, aperti al mondo in un modo tutto dolce e pacato. <<A volte tolgo il respiro alle donne.>>
Non seppe spiegarsi da dove fosse scaturita una così improvvisa voglia di alleggerire l'aria con una simile, pessima battuta, ma la ricompensa valse ogni disappunto.
Qualche istante di smarrimento, e poi la ragazza rise. Una risata bassa e melodiosa, così diversa da quella argentina e squillante di Agrippina. Il pensiero valse a farlo tornare coi piedi per terra, e i dentini bianchi di Gala, le sue guance prive di fossette, gli occhi ristretti dal divertimento scomparvero, per lasciarlo con un grande vuoto, una tristezza che lo accompagnava da cinque anni e che nessun paio di belle labbra rosee, nessun fresco viso di vergine poteva cancellare.
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