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Mentre i compagni esultavano, l'uomo le strappò dalle mani paenula e torcia e le sollevò la tunica, scoprendole le gambe fino alla vita. Gala divenne rossa e trattenne il fiato, chinandosi per cercare di coprirsi. L'uomo le fu subito sopra, ma lei sgusciò lontano finché una mano non le si serrò attorno all'esile caviglia, strattonandola. Gala cadde a terra, con un grido, sbattendo duramente con il ginocchio sul mosaico pavimentale.

Gli uomini ridevano. Uno di loro le afferrò un braccio e la fece alzare. Era l'anfitrione. Guardandola con un misto di desiderio e ferocia, si passò la lingua sulle labbra. <<Bene bene bene. Abbiamo una micetta da domare. Chi pensa di esserne in grado?>>

Un uomo si fece largo. Gala sgranò gli occhi. Era grande il triplo di lei e pesava almeno il quadruplo. Quando la stretta sulle braccia si allentò, Gala scartò di lato ma venne subito acciuffata per la tunica, che si stracciò, scoprendole buona parte della coscia. La ragazza cadde di nuovo a terra, rotolando tra i triclini e i resti di chiocciole ingrassate e focaccine alle olive disseminate tutt'intorno, ma fu subito in piedi. Si fiondò verso l'arco, che venne prontamente sbarrato da tre uomini. Uno di loro la afferrò e, piegandole indietro la testa, le versò in bocca un boccale di vino, prima di sostituire al nappo le labbra.

Senza fiato, Gala tossì ma non ebbe tempo di reagire che venne gettata sul tavolo delle vivande. Qualcuno parve intenzionato a rialzarla, perché le posò una mano dietro la nuca, e Gala riuscì a scorgere un viso familiare. Era appena riuscita a ricollegarlo al suo vecchio padrone, che il gigante di prima la fece nuovamente sdraiare sul tavolo; schiacciandole la schiena su vassoi e frutta, iniziò a palparle duramente il seno. Gala si dimenò come una selvaggia, e alla fine riuscì a sollevare una gamba quel tanto che bastava da calciarlo dritto in faccia. Con un grugnito, il gigante si scostò, permettendole di strisciare lontano. Gala corse ansimando, guardandosi alle spalle, e non vide il muro umano finché non ci sbatté contro.

L'impatto fu talmente violento da respingerla indietro. Due mani grandi e forti la sostennero per i gomiti, mentre lei si dimenava, furiosa e in lacrime. L'uomo allora le afferrò con sgarbo il mento, costringendola ad alzare lo sguardo.

Il sollievo di trovarsi tra le braccia di un uomo che non le avrebbe fatto del male fu pari solo alla vergogna che l'assalì nel presentarsi a lui conciata in quel modo.

I suoi occhi ambrati la fissarono sorpresi. Poi la loro espressione si indurì, il volto divenne di granito. Scrutò la sala dei banchetti. <<Che succede qui?>> tuonò, mentre nella sala le risate e i fischi si smorzavano.

Domizio si fece largo, con un sorriso sghembo. <<Quello che succede ad una festa e che tu non puoi capire, Cherea. Ci divertiamo! Ora, se vuoi restituircela, possiamo riprendere da dove avevamo interrotto. Poi verrà anche il tuo turno, non temere.>>

Quando si sentì toccare nuovamente da quelle mani umide e fredde, Gala non riuscì a trattenere un ansito e, istintivamente, si aggrappò al suo padrone. Marco respinse Domizio con uno spintone e mise Gala dietro di sé. <<Quello che fai con i tuoi schiavi non mi interessa>> ringhiò, i muscoli tesi. Una mano stringeva l'avambraccio della sua schiava, e le stava facendo male. Gala si morse forte un labbro per non gemere. <<Ma se sono i miei ad andarci di mezzo, allora le cose sono diverse. Non credere che abbia dimenticato quello che avete fatto alla mia schiava greca l'ultima volta. Se gli dei me l'avessero permesso, l'avrei portata qui, questa sera, e l'avrei sistemata vicina a me, lontana dalle vostre mani animalesche e dalle vostre maniere brutali. Le avrei fatto vivere con serenità questa festa, perché è così che si dovrebbero affrontare occasioni simili. Non vi sareste potuti avvicinare a lei. Non ve lo avrei permesso.>> Il tono di voce si ridusse a un sibilo, un basso rombo di tuono. <<E tantomeno lo permetto con questa mia serva. Nessuno ti da il diritto di spadroneggiare sulle cose di mia appartenenza e di farla franca. Azzardati ancora a toccarla e sei finito, Domizio. Se solo le troverò un livido addosso, ti rovinerò. È una promessa. Io ti rovino, Domizio.>>

Detto questo, uscì dalla stanza con la schiava, lasciandosi dietro un silenzio tanto palpabile da poter essere tagliato da un coltello.

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