15

Più tardi, quella stessa notte, Gala usciva silenziosamente sul retro della casa, quello che dava verso la pineta. L'oscurità la intimorì e la indusse a rafforzare la presa sulla candela che aveva portato con sé. Quando si ritenne abbastanza lontana dall'abitazione, l'accese e la tenne riparata con la mano, camminando lenta lungo il sentiero tracciato battuto da molte paia di zoccoli. Forse era quello l'abituale percorso seguito dal dominus, pensò, avanzando con un braccio proteso per proteggere il volto.

Dove le parve che la natura si facesse meno selvaggia e meno intricata, svoltò a sinistra e scese il lieve pendio fino al fiume e all'erba soffice che ne faceva da sponda. Soffiò sulla candela e il fiume le apparve come una profonda linea di tenebra. Aveva ragione Nashima: la luna non c'era e il cielo appariva di uno spaventevole nero fumo, punteggiato com'era di nubi grigiastre.

Prese un grosso respiro e iniziò a spogliarsi. L'aria non era eccessivamente fredda, ma l'ansia e la paura che qualcuno potesse vederla le fece accapponare la pelle. Si strofinò le braccia per scaldarsi, prima di osare allungare un piede. L'acqua era fredda; il sole del pomeriggio l'aveva scaldata ma ora la notte la stava privando di ogni calore. Ma non aveva alternative, così iniziò a camminare, poggiando i piedi quasi timorosa e sussultando al contatto con sassolini più aguzzi di altri.

Quando il livello dell'acqua le raggiunge il ventre, si immerse. Naso, occhi e orecchie furono presto invase da un gelido torpore. Gala mosse le dita tra i capelli, frettolosamente, cercando di lavarli alla meno peggio. Emerse solo quando l'ossigeno stava per esaurirsi, gettando indietro la testa e inspirando a pieni polmoni.

...

Il bosco di notte era il luogo migliore per pensare, specie quando non si aveva voglia di riposare e la soffice brezza che faceva cantare le fronde, la luce lattiginosa di un cielo nuvoloso e l'atmosfera di pace e serenità che si respirava in ogni dove non esercitava alcun fascino, alcuna malinconica nenia.

Marco sedeva nella radura, sul trono che in un tempo lontano aveva intagliato per lei. In basso si poteva ancora intravedere il cuore inciso con le loro iniziali. Intorno a lui, i suoni della natura. Il bubolare dei gufi, un frullio d'ali ogni tanto, il calpestio dei roditori sui rametti secchi.

S'incamminò per tornare a casa. Era scoccata la terza vigilia.

Pensava a lei. La cosa che gli sfuggiva dalla punta del pennello, che si faceva beffe di lui sotto forma di una parete intonsa. Quel pomeriggio era stato un altro buco nell'acqua. Aveva spiegato ai suoi ragazzi cosa si aspettava da loro, aveva mostrato loro l'abbozzo. Mnesippo lo aveva addirittura applaudito. Marco pensava di lasciar fare a loro tutto il lavoro e di limitarsi a qualche indicazione. Il mosaico con cui Emilio intendeva impressionare il Patronus sarebbe stato comunque un disastro, e il suo cliente non se ne sarebbe mai accorto.

E poi ci si metteva anche Hermona, che ogni sera lo tentava con proposte talmente indecenti da far arrossire un lenone. Marco temeva che una sera gli si sarebbe presentata davanti completamente nuda e allora le parole sarebbero state inutili. Ma lui non intendeva cedere. Aveva giurato che non l'avrebbe più toccata, dopo aver capito che quella era la peggiore punizione che avrebbe potuto riservarle. Un'altra schiava innamorata, pensò con ribrezzo. Quante altre volte gli sarebbe toccato ripetere l'esperienza? Quante giovani ancelle avevano perso la testa per lui, quando ancora viveva ad Augusta Taurinorum con sua sorella e Flavio?

Hermona si era rivelata un'ottima paelex. L'aveva comprata dopo aver seppellito Agrippina, sperando che potesse aiutarlo a distrarsi. Allora era fresca di gioventù, brillante nei ragionamenti e sfrontata tra le lenzuola. Ora conservava solamente l'ultima virtù delle tre, e Marco non aveva bisogno di una donna ansiosa di vederlo tornare la sera, che lo tartassasse di domande sui motivi dei suoi ritardi, che si informasse sui guadagni di quella giornata e sulle proposte di commissione. Non aveva bisogno di un'altra moglie.

Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto dalla visione di una figura che stava attraversando la pineta poco davanti a lui. Si immobilizzò e la mano gli corse alla sica che portava sempre con sé. Ma la figura non pareva essersi accorta di lui. Stava litigando per liberare la gonna da un ramo aggressivo. Poi continuò a camminare, esitante, titubante. Senza pensare, Marco la seguì. Vide che si trattava di una donna dallo svolazzo della tunica e della paenula femminile.

La seguì fino al fiume. Lì la donna si fermò, soffiò sulla candela e rimase come incerta, di fronte al braccio di acqua nera. Quando si mise di profilo, per poggiare la candela, Marco la riconobbe. Era la nuova schiava, il regalo di Emilio. Si domandò se intendesse scappare. Ma, in tal caso, perché non fuggiva per la pineta, invece di tentare di guadare il Tevere? E poi, per quale motivo avrebbe dovuto fuggire da lui?

La vista della tunica da notte che scivolava lungo il suo corpo lo colse alla sprovvista. Bloccò il movimento di rabbia che aveva iniziato per fermarla e si ritirò dietro un pino. Vide la giovane stringersi l'abito al petto, e guardarsi furtiva intorno. Poi lo lasciò cadere a terra, dandogli le spalle, permettendogli di scorgere solo per un brevissimo attimo il profilo di un seno, piccolo e rotondo, il capezzolo scuro già inturgidito dal freddo. Non indossava la fascia pectoralis che le matrone di buon gusto erano tenute a portare. Rimirò con calma la vita stretta, i fianchi rotondi e le gambe affusolate, mentre si strofinava vigorosamente per scaldarsi. La vide immergere un piedino nell'acqua. Un brivido le percorse la schiena, ma la ragazza entrò coraggiosamente nel Tevere e camminò finché l'acqua le raggiunse la vita.

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