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Settembre, 32 a.C; Roma

Il pavimento dell'atrium era splendido. Lucidato a dovere, ancora leggermente umido, veniva colpito dalla luce che entrava dall'apertura obliqua del soffitto sopra l'impluvium e ne rifletteva i raggi, assolvendo la stessa funzione di uno specchio. Nonostante gli egregi risultati, Gala non si fermò. Immerse lo straccio nel secchio al suo fianco e lo stese nuovamente sul marmo. Le mani erano diventate rugose a causa delle continue immersioni e l'acqua fredda le aveva intirizzite, tanto che la poveretta non sapeva se soffrire per il freddo o per le vesciche che le sfregiavano i palmi.

Una risatina dietro di lei la indusse a mettersi in ginocchio e ad attendere. Dopo qualche secondo, la figlia maggiore della padrona, Emiliana, le sfilò davanti agli occhi, camminando sul pavimento appena lavato, indirizzandole un sorrisetto. Proseguì di qualche passo e si accostò alla parete del triclinio, per origliare. Gala si rimise al lavoro.

Intingere, estrarre, strofinare. Intingere, estrarre, strofinare.

Era quella la sua vita, da tre anni a questa parte. Eppure non era ancora riuscita ad abituarsi. Forse perché, in fondo, non voleva abituarsi. In fondo, non credeva ancora di essere caduta così in basso.

Gala sollevò per un attimo lo sguardo, spostandolo da Emiliana alla tenda di bisso marrone sterpaglia che occultava l'arco del triclinio. Lì dentro, da più di qualche ora, si stava intrattenendo un signore. Non era nuovo a simili visite, data la sua stretta amicizia con il dominus, ma lei non aveva idea di chi fosse. Sapeva solo che era un artista, come Emilio Macro, e che si guadagnava da vivere facendo il pittore. Non aveva mai avuto occasione di guardarlo in faccia. Qualche ora prima, quando le era passato accanto per entrare nella sala, era stata in grado solo di vedergli gli svolazzi della dalmatica che sfioravano le piastrelle di cotto, e le crepidae che gli fasciavano i piedi. Di cuoio, aveva notato. Robuste, non il massimo dell'eleganza, e consunte sulla punta. Non si era lasciato dietro una scia di profumo, come facevano tanti altri compagni del dominus, come Valgio Rufo o Quintilio Varo, ma solo un lieve sentore di resina, sudore e cavallo.

Mentre grattava con l'unghia mangiucchiata un'incrostazione di terra particolarmente dispettosa, avvertì altri passi alle sue spalle, che la costrinsero ad interrompere il lavoro. Celia, però, non era come la sorella.

Camminando accanto all'impluvium, dietro il colonnato, raggiunse Emiliana che l'agguantò per un braccio, attirandola vicino a sé. «Guai a te se fiati, ma dai un po' un'occhiata a papà. Guarda con chi sta.»

Celia ubbidì e, senza farsi notare, sbirciò nel triclinio. «Oh!» fece poi, arrossendo fino alla punta delle orecchie.

«Mmmh, già. Non ho mai conosciuto un uomo più scontroso e affascinante insieme.»

«Per me il fascino ha la priorità su tutto. È per uomini come lui che sono disposta a venir meno agli alti progetti matrimoniali di nostra madre.»

«Non ti permetterebbe mai di sposare Cherea: è uno squattrinato.»

«Ma è bello!» sospirò Celia, con sguardo sognante, portandosi una mano al petto. «Ci pensi, passeggiare al suo fianco in città? Sarei più felice della regina di Saba!»

«Di chi? Bah, non importa. Guarda, sta mostrando di nuovo quei suoi scarabocchi.»

«I suoi mosaici sono meravigliosi, Emiliana, e quello in salotto sta venendo molto bene.»

«Così tata potrà vantarsi con Mecenate di spendere bene i soldi facili che lui gli procura.» Celia la fissò contrariata, ed Emiliana si strinse nelle spalle. «Non fare quella faccia, sappiamo bene che quelle che scrive sono porcherie allo stato puro.»

La sorella minore si umettò le labbra, tossicchiando. «A me sono parsi testi ben calibrati e...»

«Noiosi. Anche tu sei molto noiosa. Ecco perché ti piacciono quelle schifezze.»

«Non hai altro da fare che stare ad origliare?» la rimbrottò Celia, punta sul vivo.

«Sono qui per te, sorellina. Volevo vedere se tutti quei vestiti all'ultima moda che indossi quando c'è lui fossero riusciti a far colpo e se Cherea si fosse deciso a chiedere la tua mano. La tua patetica esibizione canora della scorsa volta l'ha lasciato molto meno scosso di quanto mi aspettassi.»

«Ma se mi ha persino fatto i complimenti! Sei solo invidiosa, Emiliana.»

«Per nulla, tanto so che i tuoi sogni si infrangeranno prima ancora di prendere forma.»

Celia si imbronciò. «Come sei cattiva.»

Gala stava ascoltando con interesse - l'unico diversivo nella sua monotona giornata era assistere ai bisticci delle due sorelle - quando il secchio al suo fianco si rovesciò improvvisamente. La ragazza sobbalzò e sollevò lo sguardo.

La padrona ricambiò, e con asprezza le ingiunse: «Muoviti, schiava. Non siamo qui a perdere tempo in attesa dei tuoi comodi.» Strofinando ben bene i sandali sul pavimento, raggiunse le figlie. «Ragazze, andate subito via da lì. Sapete che non è buona educazione origliare.»

Ma lo è rovinare il lavoro degli altri, pensò stizzita Gala, gettando i grumi di terra più consistenti nel secchio.

«Ci stavamo chiedendo, mamma» iniziò Emiliana, con un sorriso perfido, «quale fosse la possibilità che Cherea, in questo momento, stia chiedendo la mano della minore delle tue figlie.»

Plozia non batté ciglio, e le labbra sottilissime si schiusero il necessario per rispondere: «Assolutamente nulla, ve lo posso garantire. Stanno discutendo del mosaico. Non hanno tempo per simili frivolezze.»

Gala aveva sempre pensato a Plozia come ad una statua di pietra. Non che fosse bella, al contrario, ma della pietra aveva la gelida presenza, l'immobilità pressoché assoluta del volto mentre conversava, gli occhi abbastanza chiari da sembrare vuoti, funerei, i capelli grigio topo raccolti in una severa crocchia sulla nuca, con la scriminatura nel centro, che mostravano ancora qualche ciocca color ruggine. Vestiva sempre in modo sobrio, con colori luttuosi che variavano dal grigio cenere al nero profondo, e aveva una perenne smorfia di insoddisfazione che le aveva scavato due profondi solchi ai lati delle labbra.

«Ma se lui...» tentò di protestare Celia, azzardando un movimento verso la madre.

«Toglitelo dalla testa» la freddò Plozia immediatamente, incamminandosi verso le sue stanze. «Abbiamo già discusso al riguardo. Ad ogni modo, non permetterei mai che qualcuno ti sposasse prima di tua sorella. È contro ogni decenza. Come quell'uomo.» La sua voce grondava disprezzo e veniva amplificata dall'eco. «Gli dei mi scampino se un pictor entrerà a far parte della mia famiglia.»

La matrona scomparve, inghiottita dalle ombre di quella casa buia e fredda, coerente alla personalità della padrona, seguita come un fedele cagnolino dalla figlia maggiore, che iniziò a disquisire sulla stupida cotta di Celia e sul patetismo dell'amore a prima vista.

La quattordicenne rimase sola, accanto alla tenda di bisso ma senza azzardarsi a sbirciare dentro la stanza. Aveva quell'espressione vacua e sconsolata che Gala ben conosceva. Si teneva il gomito con una mano, le spalle curve, e il capo inclinato come sotto un peso invisibile. La fissava, ma sembrava non vederla. Gala le sorrise e lei parve riscuotersi, perché sospiro e si fece avanti, strascicando le morbide solae. «È quasi un'ora che te ne stai china lì. Se non stai attenta ti ritroverai con una brutta gobba.»

Gala non replicò, limitandosi a gettare dentro il secchio lo straccio e ad alzarsi in piedi. Le ossa scricchiolarono come quelle di un vecchio e le ginocchia emisero sonore proteste. Ma lei ci era ormai abituata e riusciva ad ammansirle.

Celia la osservò per qualche istante, poi tentò un sorriso. «Vieni a farmi bella, Gala?»

Lei non poté impedirsi di sorridere. Celia era tutta suo padre: adorabile, rispettosa, cortese, aveva sempre la bontà di formulare un ordine come una domanda. Dopo una deviazione nel piccolo hortus dietro casa, dove ripose i suoi quotidiani attrezzi, si incamminò dietro di lei. Celia rallentò quasi immediatamente perché Gala la raggiungesse, ma la serva rimase più indietro di un passo. Non aveva dimenticato la punizione che Plozia le aveva inflitto quando aveva scoperto la figlia passeggiare fianco a fianco con una schiava. Il suo corpo ne recava ancora i segni.

Celia aprì la porta del suo cubiculum e andò a sistemarsi di fronte alla specchiera. Gala spalancò le tende, permettendo alla luce del tardo pomeriggio di penetrare. Poi si avvicinò alla giovane, che attendeva immersa nei suoi pensieri. Si armò di spazzola e forcine e iniziò a darsi da fare. Sistemare i capelli di seta delle due sorelle era davvero un incubo. Erano talmente sottili da sfuggire alle sue dita e lisci abbastanza da non rimanere mai a lungo in una determinata acconciatura.

La ragazzina rimase a lungo in silenzio, ma Gala sapeva che non sarebbe durato. Dopo qualche minuto, infatti, sbottò: «Io non capisco. Credo di comportarmi esattamente come lei si aspetta, eppure sembra che ogni cosa che faccio serva solo ad innervosirla. Forse dovrei essere di più come Emiliana...» Una basta e avanza, pensò Gala. Non disse nulla, ma un irrigidimento delle dita rivelò i suoi sentimenti alla giovane, che sorrise. «Ma io non voglio diventare come lei. Voglio dire, è troppo altezzosa, e non mi stupisco se si ritrova a non andare d'accordo con nessuno. Persino Paride le sta alla larga.»

Si riferiva all'enorme gatto della famiglia, il cui unico obiettivo era riuscire a rimanere acciambellato su sé stesso per il maggior tempo possibile, il più delle volte accasciato sulle soglie delle porte o dietro gli angoli.

Celia tamburellò le dita sul ripiano in legno della specchiera. «A volte mi domando come faccia mamma a preferire lei... Si assomigliano, questo è vero, ma perché si ostini a volere che diventi uguale a lei, rimane un mistero. Tata mi dice sempre di essere me stessa, e io sono così. Dovrei forse cambiare? Avrò la mia occasione una volta che sarà sposata. Allora sì che dovrò sforzarmi di essere una brava moglie. Ma ora vorrei semplicemente vivere la mia vita. Non potrebbe lasciarmi più libertà? Io mi sono sempre sforzata di compiacerla ma è come se con lei facessi sempre la cosa sbagliata. Emiliana non si è mai sforzata di fare alcunché per lei, però è sempre stata la preferita, solo perché è la maggiore. Non ha senso! E non ha senso nemmeno che debba aspettare che si sposi lei per prima. Insomma, se un uomo mi volesse ora? Sarei costretta a dirgli: ripassa tra qualche anno, quando qualche sciocco si deciderà a portare mia sorella davanti al flamine di Giove? Cosa dovrei fare secondo te, Gala?»

La serva incrociò lo sguardo di Celia sullo specchio e sospirò leggermente. Andava sempre a finire così. Era diventata una specie di confessore per quella ragazzina e ogni volta era chiamata a dire la sua. «Io la penso come vostro padre» esordì, dopo essersi schiarita la voce. «Siate voi stessa e verrete certamente premiata. Avete un bellissimo carattere e non dovete cambiarlo per compiacere vostra madre. Vostro padre vi adora proprio perché siete diversa da vostra sorella. Come moglie, ve la caverete molto meglio di lei.»

Pensò di essere stata troppo schietta - se Plozia l'avesse udita avrebbe dato disposizioni che venisse subito frustata - ma il viso di Celia si illuminò. «Lo pensi davvero, Gala? O lo dici solo per farmi contenta? Sai bene che con me puoi parlare apertamente.»

«Lo so, domina, ed è quello che ho fatto. Sono assolutamente certa che vostra sorella non può nulla al vostro confronto. Assomiglia troppo a vostra madre per poter piacere a...»

Si interruppe di colpo, lo sguardo fisso sul riflesso della porta nello specchio. Si voltò, lentamente. Sulla soglia c'era Plozia, e la guardava. Le mascelle serrate, teneva le braccia incrociate sul petto, le unghie conficcate nella carne. Gala chinò il capo. Sapeva cosa sarebbe successo e lo sapeva anche Celia, che si alzò immediatamente e rimase in piedi a guardare la madre con un'espressione colpevole.

La padrona avanzò nel cubiculum e agguantò Gala per un braccio. La schiava non aspettò che Celia prendesse le sue difese. Temeva troppo le mani della madre per raccontarle di essere stata lei a permetterle di parlare. E comunque Plozia non le avrebbe dato ascolto. Ricavava un piacere malsano nel punire gli schiavi, lei in particolare.

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Salve a tutti/e! Se siete arrivati per la prima volta su questa storia spero di avervi intrigati abbastanza da proseguire nella lettura.
Se invece la conoscete già vi starete chiedendo: cosa succede?? "Odi et amo" è ritornato? Beh, più o meno.
A pochi giorni dalla pubblicazione cartacea e digitale della trilogia che vi ha appassionato tanto, volevo farvi un piccolo regalo. Uno sguardo a dove tutto è iniziato.
E perché no, è anche un modo per far venire l'acquolina a chi sta per incontrare per la prima volta Marco e Gala ;)





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