Ⅰ. Arazzi di memoria


La Biblioteca di Vetro non era mai stata un porto.

Per questo la nave che intravedeva dalla fessura tra le tende pareva così innaturale: la sua sagoma scura si stagliava sulle case color pastello come una creatura mostruosa pronta a fagocitarle intere qualora avesse avuto il minimo appetito. Contrastava in modo grottesco il timido cielo del mattino, le stradine di pietra, le piccole sagome scalze che si accalcavano a osservarla con inquieto stupore.

Quella nave, malgrado il suo aspetto, non era una minaccia per la Biblioteca, né si sarebbe cibata di ciò che la circondava e di chi la abitava.

Nel suo ventre, pensò Nurey con una stretta allo stomaco, ci sarebbe finita solo lei.

Fino al momento appena precedente si era illusa di essere pronta; non aveva forse vissuto solo per salire su quella nave? Ogni secondo, ogni respiro, ogni scelta anche secondaria non mirava ad altro che a condurla su quella nave, che le piacesse o meno, e giunto il tempo lei esitava.

Non voleva pensarci. Richiuse il tendaggio su quella visione desolante e cercò conforto nell'ambiente familiare della sua stanza. Tuttavia, quella offriva uno scenario ancora più soffocante: era spoglia, salvo le tende color malva che la riparavano dall'esterno solo per tre lati. Dalla quarta parete della stanza la luce irrompeva violenta e insolita. Lì, fino a poche ore prima, campeggiava il pesante arazzo che Magister Ismael aveva tessuto per lei quando ancora era piccola. Appena arrivata dall'orfanotrofio, non aveva mai visto un arazzo in vita sua, tantomeno uno peculiare come i suoi, e ne era rimasta affascinata all'estremo.

Dunque, dopo settimane passate a guardarlo con occhi spalancati come se tra le sue dita reggesse le fila dell'universo, lui le aveva annunciato che il prossimo sarebbe stato suo. Le aveva chiesto che soggetto desiderasse e subito Nurey aveva risposto di volere delle anatre.

Poi però aveva esitato.

«Ti ricordi come sono fatte?»

«Sì,» aveva detto, assumendo un'aria allo stesso tempo buffa e solenne, «Nuotano tutte in fila.»

Aveva provato a farlo entrare nel baule. L'aveva arrotolato, piegato, a malincuore ci aveva camminato sopra, per appiattirlo. L'unico risultato ottenuto era stato quello di tirare qualche filo, o allentare la maglia: gli anatroccoli, ora, nuotavano dietro la madre con meno vigore di prima.

Strinse le labbra. Era persino riuscita a rovinarlo. Cosa ne sarebbe stato di quell'arazzo, se non poteva portarlo con sé? E cosa ne sarebbe stato di lei, senza un ricordo di casa?

Era più opportuno non portarlo, si costrinse a pensare. Sapeva poco sul posto in cui sarebbe dovuta andare, e certo non la presenza dello spazio necessario per appendere un arazzo. Inoltre, non sarebbe stata sola: meglio evitare di causare problemi inutili con troppi effetti personali.

Però era suo, ed era stato Magister Ismael a intrecciarlo per lei, rievocando dalla sua mente un ricordo vecchio centinaia di anni solo per farle piacere. Non l'avrebbe mai più rivisto. Sentì per la prima volta affondare nello stomaco la consapevolezza che quelli sarebbero stati i suoi ultimi momenti a casa. I ritorni non erano previsti, salvo circostanze particolari. Mai più.

Mai più la luce pallida del perpetuo mattino, mai più l'erba a solleticarle i piedi scalzi, mai più il tentare di accodarsi agli antichi canti di Magister Ismael inventandosi le parole, la voce stonata e macchiata da una risata a malapena trattenuta.

Quasi non si rese conto che i suoi occhi avevano iniziato a liberarsi delle lacrime che nei giorni precedenti non aveva versato. Di ciò che conosceva non le era concesso nemmeno portare un semplice arazzo, che ora era rovinato per sempre, e chissà dove sarebbe finito. Magister Ismael ne avrebbe tessuto un altro per l'alumnus dopo di lei, forse buttando o sbarazzandosi del suo. Dopo qualche decennio avrebbe dimenticato il suo nome, che pure avevano scelto assieme.

Lui l'aveva cresciuta, e finché erano stati uniti Nurey aveva pensato di essere essenziale per lui tanto quanto valeva per lei. Ma l'eternità era un periodo di tempo troppo lungo perché lei potesse avergli insegnato qualcosa, o essere degna di memoria, ora se ne rendeva conto.

Andandosene firmava il suo contratto con l'oblio, la perdita dell'unica famiglia che aveva, e forse l'unica che avrebbe mai avuto.

«Nurey, è aperto?»

La voce di Magister Ismael, seppure soffocata dalla porta che li separava, le strappò un improvviso singhiozzo. Come eco perfetta seguì la risposta di lui, venata di preoccupazione.

«Stai piangendo?»

Le sembrò abbastanza stupido rispondere, perciò tese una mano verso la porta. Tentò di spostare la magia attorno ad essa, ma non aveva la giusta concentrazione: non realizzò che un leggero tremolio della maniglia. Non riusciva a controllarsi, maledizione.

Con un sospiro frustrato andò ad aprire. Era in piedi a pochi centimetri dall'uscio, per poco non gli sbatté la porta in faccia. Non sarebbe certo stata la prima volta, ma di certo non voleva che avesse un livido come ultimo ricordo di lei.

«Sei qui davanti?» lo chiese in un sussurro, strizzando le palpebre.

«Sì, Magister,» sospirò «Sono venuta ad aprirti.»

«Attento,» mormorò mentre seguiva i suoi passi nella stanza, «C'è... c'è un baule in mezzo alla stanza, e l'arazzo steso vicino al letto.»

Lui sorrise. Allungò la gamba, urtò con la punta del piede l'angolo del baule, la ritrasse con una smorfia quasi comica. Poi, però, non ebbe alcun problema ad aggirarlo e a sedersi sul letto sfatto.

«Come mai l'arazzo è per terra, Nureje?»

Il vezzeggiativo Eistre scivolò con grazia sul suo nome e le riportò alla mente quanto l'avesse usato quando ancora era piccola. Quei momenti erano lontani, per lei, ma forse per Magister Ismael era passato poco più che un battito di ciglia.

«Io...» la voce le tremava, scoprì, «volevo portarlo sulla nave, ma non ci sta nel baule... e- e ho provato a, insomma, a piegarlo, ma adesso non nuotano più come prima.» Terminò la frase con un singhiozzo. Si vergognava del suo eloquio piagnucolante; tentò di asciugarsi le lacrime con il dorso della mano, salvo poi rendersi conto troppo tardi di aver macchiato i suoi immacolati guanti nuovi. Strinse il labbro inferiore tra i denti per evitare di scoppiare a piangere ancora più forte.

«Ho fatto un disastro, Magister, io... mi dispiace.»

Magister Ismael sospirò. Stiracchiò per un attimo le lunghe gambe, dunque si alzò. Si chinò sull'arazzo non appena lo raggiunse, chiuse gli occhi e lo sfiorò con le dita con espressione assorta. Stava valutando il danno, e Nurey sperò con tutto il suo cuore che non fosse troppo grave.

«Non mi sembra che ci sia un danno grave, » disse Magister Ismael, il tono tranquillo, forse persino veritiero. « Forse si è allentata un po' la maglia in un punto, ma non è nulla che non si possa sistemare in qualche giorno. Non preoccuparti. »

Nurey, però, non riuscì comunque a smettere di piangere. Anche se l'avesse messo a posto, lei sarebbe già partita per allora, sarebbe stato inutile ripararlo solo per poi buttarlo via, e allora era sicura che glielo stesse dicendo solo per farla sentire meglio.

Tacque, e in qualche modo quella fu la sua risposta.

« Nureje, perché piangi?»

« Te l'ho detto, » rispose lei, e sarebbe certo risultata più convincente se i suoi singhiozzi non fossero stati così evidenti, «È l'arazzo. Mi dispiace di averlo rovinato e che... che verrà buttato quando io...» non terminò la frase, colta di sorpresa da uno spezzarsi della voce.

Magister Ismael si alzò in piedi. «

Perché ho l'impressione che le tue lacrime c'entrino poco con l'arazzo, Nureje?»

Lei strinse le labbra. Non voleva dirgli la verità; dopotutto, l'avesse fatto, lui avrebbe di sicuro negato un simile avvenire. Non potrei mai dimenticarti, le avrebbe detto, e forse l'avrebbe convinta, almeno per qualche mese. Ma la verità era impossibile da bloccare a lungo, e le uniche cose rimaste sarebbero state l'oblio e un'ultima bugia raccontata per non farla piangere. Perciò scosse la testa.

«Si tratta dell'arazzo, Magister. Non riesco a pensare a come finirà quando io me ne sarò andata.» Si asciugò gli occhi bruscamente - ormai aveva deciso che non avrebbe indossato i guanti alla partenza - giusto per sottolineare le sue parole.

« Dunque è l'arazzo che ti preoccupa », disse lui, con un tono che la fece diventare purpurea dalla vergogna. Era chiaro che non le credesse, e anche abbastanza scontato. Dopotutto, ricordò lei con amarezza, doveva avere una certa esperienza in questo tipo di addii. Tuttavia non lo smentì, decisa quantomeno ad affondare con le sue bugie.

« Allora sapere che non finirà i suoi giorni buttato in un angolo ad ammuffire ti calmerà?»

Magister Ismael sembrò darsi una risposta da solo, perché non le lasciò nemmeno il tempo di aprir bocca. «Vieni con me,» aggiunse, gentile.

Si avviarono fuori dalla stanza – Nurey si rese conto che non la lasciava dalla sera prima – inoltrandosi tra gli stretti corridoi della Biblioteca. Erano vuoti, constatò con stupore. Per qualche motivo a lei ignoto, Magister Ismael aveva deciso di mettere le sue illusioni a dormire, e l'edificio appariva enorme e spettrale come non l'aveva mai visto prima.

Faticava a orientarsi, e in un primo momento pensò che fosse per la mancanza dei soliti riferimenti: la bambina che inseguiva una farfalla avanti e indietro, il vecchio curvo sul suo bastone, la giovane donna che con un viso stupefatto indicava qualcosa che solo lei vedeva – dovette ritrovarsi sulla cima di una rampa di piccolissimi scalini a chiocciola per rendersi conto di trovarsi in un angolo della Biblioteca a cui non aveva mai avuto accesso. Pesanti tende di un grazioso blu pavone nascondevano l'ambiente interno.

Ci fu bisogno di scostare la tenda a mano, e Nurey pensò che doveva essere incantata per rendere più difficile accedere alla stanza.

Guardandola da fuori, aveva immaginato che fosse buia, eppure, nonostante non ci fosse alcuna fonte di illuminazione che potesse notare, una volta all'interno scoprì di vederci meglio che alla luce del sole, ed era anche molto più grande di quanto sembrava. Non che facesse tanta differenza: c'era in ogni caso pochissimo spazio libero per muoversi.

La stanza, era un labirinto di arazzi. Appesi alle pareti, pendenti dal soffitto, stesi a terra, appoggiati su dei pannelli di legno, assurdi e colorati e in preda a movimenti diversi e vorticosi che quasi le diedero il mal di mare.

Si voltò verso Magister Ismael, chiedendosi se avesse una minima idea dell'effetto che quella visione poteva avere su chi entrava, ma lui era rivolto verso un'opera in particolare, appesa appena a sinistra della porta.

Era un paesaggio marittimo, ma uno che faceva apparire il placido mare della Biblioteca nient'altro che uno stagnante acquitrino. Onde limpide mastodontiche si abbattevano gravide di schiuma su una spiaggia pallida e coperta di conchiglie, in un ritmo che, nella sua frenesia, trovò per assurdo tranquillizzante.

«Niles veniva da Ikigash,» cominciò Magister Ismael, con la stessa voce cantilenante di quando da bambina non si voleva addormentare senza sentire una storia, «E malgrado non sia troppo lontano da qui, non è certo la stessa cosa. Gli mancava alzarsi la mattina e vedere il mare di casa sua. Ho chiesto di descrivermelo, lui l'ha fatto, più o meno duecentodieci anni fa – appena dopo il Concordato di Ronqaali. Il mio primo alumnus voluto dal Consiglio delle Nazioni, quindi puoi immaginare...»

La sua voce si perse per un attimo, come fosse assorbita dal mare sulla trama.

«Era un bravo ragazzo, e dopo aver lavorato alla Zona Nulla si è fatto una bellissima famiglia. Ma aveva chiuso con la magia, e posso immaginare perché.»

Il rimpianto era evidente nella sua voce, e Nurey non sapeva se per quello studente perduto o per un futuro che non gli era stato concesso. Una famiglia. Soffriva per il non poter averne una sua? Magister Ismael la trascinò più avanti, davanti a un cortile di campagna in cui razzolavano allegre delle grasse gallinelle brune.

« Questo l'ho fatto per Aoife. Veniva da Raenica, e molto prevedibilmente ci è voluto molto tempo perché si abituasse alla luce. Ma era un'ottima studentessa, e mi ha fornito consigli ancora validi nonostante siano passati... Centocinquant'anni, o giù di lì.»

Raccontava, Magister Ismael, forse più per sé che per lei, si perdeva in un saliscendi di voce e aneddoti sconnessi, sorridendo, perso tra i ricordi. Nurey non capiva molto, se non il motivo per cui l'aveva portata lì; mostrarle che nemmeno dopo duecento anni aveva dimenticato un singolo nome, e che quindi lei non avrebbe subito una sorte simile.

Sfiorava le maglie intrecciate strette e sentiva la magia che pulsava in esse, ma soprattutto riusciva a immaginare la dedizione, l'attenzione, l'amore per ognuno di loro che doveva averlo spinto a realizzarli e a conservarli per tutto quel tempo – era più facile da percepire, se si trattava degli altri.

Nurey non sapeva come Magister Ismael passasse il suo tempo quando non era con lei o assente per i suoi viaggi, ma sospettò che lo facesse lì, a osservare e ricordare e rimpiangere ogni persona mai venuta prima. Come poteva aver dubitato di lui?

Si chiese, mentre procedeva per i corridoi d'arazzi, che cosa avrebbe detto riguardo lei, qualora qualcuno l'avesse chiesto. Non le sembrava di aver mai avuto alcuna caratteristica degna di essere raccontata, ed era anche vero che nemmeno lei, in quel momento, stava prestando particolare attenzione alle parole di Magister Ismael, troppo affascinata dalle immagini in continuo movimento...

La colpì un flusso di magia tanto forte da farla subito bloccare sul posto, impetuoso e bruciante, come la magia dell'Est non era mai stata. Con il cuore che d'improvviso sentì battere sotto la pelle volse lo sguardo verso la sua origine. La visione fu quasi deludente.

Si era imbattuta in un telaio. Non quello a cui era solita vederlo lavorare; pareva molto più vecchio e malmesso, nonostante la totale assenza di polvere a coprirlo. La maglia dell'arazzo era incompleta, ma in qualche modo non allentata. I colori erano troppo vividi per essere reali, e allo stesso tempo le facevano credere di non aver mai visto il mondo che la circondava, ma solo una versione annacquata e sbiadita. Era come se irradiassero calore, oppure lo irradiavano davvero: l'intensità di quella magia grezza le avrebbe scottato il viso se si fosse avvicinata troppo.

Aveva tutta l'aria di essere un ritratto – l'unico presente in file e file di arazzi. I tratti non erano che accennati, il contorno deciso di un volto regolare, lineamenti armoniosi e aristocratici. Sull'incarnato lievemente dorato del collo ricadeva, morbido, un abbozzo di riccioli castano chiaro. Il particolare più strano era di certo il fatto che, nonostante la carica magica fosse la più alta tra tutte le opere, la figura era del tutto immobile.

Dovette trattenersi dall'allungare le dita ad accarezzare quel viso. Si sarebbe fatta troppo male, e sentiva alla bocca dello stomaco una stretta che l'avvertiva di trovarsi davanti a qualcosa che non si poteva toccare, come la pipa di legno rossastro e lucido sulla scrivania di Magister Ismael che lei non gli aveva mai visto fumare.

Si voltò per cercarlo, ma non era rimasto indietro; sobbalzò quando si rese conto che si trovava di fianco a lei. Percepì il viso scottare, non per la magia ma per l'imbarazzo di essere stata sorpresa a curiosare in un affari privati.

«Magister,» cominciò a scusarsi, ma lui alzò la mano come faceva quando distendeva la magia, e tacque d'istinto.

«Figurati. Attira molto l'attenzione?»

Nurey assentì piano. Magister Ismael scosse la testa in una mozione di rimprovero verso se stesso.

«Immaginavo,» mormorò « Dicono che sia più forte quando...» si schiarì la voce. Nurey non sapeva come avrebbe potuto terminare la frase, ma capì che non aveva intenzione di farlo. Non riuscì però a non chiedere, in un timido sussurro, chi fosse il soggetto del ritratto. Magister Ismael tentò di sorridere.

«Non so se lo sai, ma insegnavo come imbrigliare la magia prima del Concordato di Ronqaali. Lui è stato il primo a cui ho provato a far maneggiare qualcosa, appena diventato, sì, cosa sono adesso. È scomparso dolorosamente giovane; quando successe, la madre mi chiese di ritrarlo. Ma come puoi vedere non ho mai avuto la forza di completarlo.»

Nurey strinse le labbra. Ogni sua insicurezza appariva ora immatura e ridicola, inchiodata davanti al peso di un dolore secolare. Perché l'eco si trascinasse ancora nella voce di Magister Ismael doveva essergli successo qualcosa di orribile, pensò, osservando il volto muto dell'arazzo. Tentò di immaginarlo con un'anima, un carattere, un sorriso.

« Era bravo? » chiese, per poi rendersi conto di quanto sciocca dovesse suonare.

« Oh, aveva un talento incredibile ». Le parole di Magister Ismael lasciavano una scia dolceamara. «Purtroppo però era un pessimo studente, ed io un pessimo insegnante.»

Sospirò, e Nurey si sforzò di figurarsi un tempo in cui il suo Magister era un insegnante inesperto, distratto, non ancora plasmato da secoli di lavoro – senza riuscirci. L'ipotesi era assurda.

«Tuttavia, mia cara,» riprese lui con un tono che falliva nell'emulare il suo solito, «temo che sia giunta l'ora di andare.»

Il cuore le saltò in gola. No, ci doveva essere un modo per ritardare la partenza.

«Credo che dovrei... i bagagli...» balbettò. Il respiro si faceva affannoso.

«Adesso sono già sulla nave.»

Nurey sgranò gli occhi. Il tempo, ammorbidito in quella stanza tagliata fuori dal mondo, ora le piombava addosso in una raffica gelata. Il terreno di casa sua si sgretolava sotto i piedi, spingendola in avanti, e lei avrebbe voluto ancorarsi ad esso, mettervi radici e non poter essere strappata per tutta la forza del mondo.

« Coraggio, Nureje, non c'è nulla di cui aver paura. Sei pronta.» Magister Ismael le tese la mano. Come aveva fatto anni prima nell'atrio dell'orfanotrofio di Eistreth, lei l'afferrò. Strinse finché non fu sicura che i numerosi anelli dorati sulle dita di lui le avrebbero lasciato dei segni.

«Così mi fai male, però,» venne ammonita senza stizza. Avvampò. Si stava comportando come una bambina capricciosa.

«Mi dispiace,» sussurrò mortificata.

«Non importa. Ascoltami, Nureje, so che sei spaventata, ma devi sapere che–»

«Sto bene, Magister,» lo interruppe precipitosa. Non voleva sembrare ancora più infantile di quanto già non fosse. La noncuranza con cui affrettò il passo la fece sentire in colpa. No, si rassicurò, Magister Ismael viveva lì da due secoli, di sicuro conosceva il percorso molto meglio di lei. Difatti non faticò a tenere il passo, anzi. A volte era lui a lasciarla indietro, quando gettava sguardi alle sue spalle a osservare le storie incise sulle pareti. Cercava di imprimere ogni sfaccettatura nella memoria, per poi imporsi di continuare senza troppi indugi subito dopo.

Il portone si richiuse dietro di loro con uno scricchiolio che parve un gemito. Il ramo Est della rosa dei venti si proiettava dall'ingresso alla lastricatura della strada, seguendoli ovunque andavano. Persino le ombre non volevano dirle addio.

Fuori dalla Biblioteca l'avanzare di Magister Ismael si fece più incerto. Poche volte si era ritrovato a camminare sulle strade circostanti, dunque doveva avvertirlo di ogni ostacolo o curva brusca sul loro cammino. Evitare che si facesse male. Man mano che proseguivano si avvicinavano alla folla, e Nurey temeva che sarebbe stato un problema. Ma al loro passaggio si apriva a ventaglio, e quasi tutti voltavano lo sguardo altrove.

Non un saluto, non un sorriso mentre saliva sulla rampa d'imbarco assieme a Magister Ismael. Al massimo, qualcuno scosse il capo in silenzio. Il suo stomaco si torse su se stesso con violenza.

«Nureje, mia cara...» il tono di Magister Ismael era teso, ma vi colse anche una nota di compassione. Se ne vergognò.

«Sto bene.» Annuì, tentando di dare più forza a un'affermazione del tutto falsa.

«Nurey,» l'uso del suo nome senza storpiature la fece sobbalzare «non è quello. Ho bisogno che tu mi ascolti.»

L'improvvisa decisione – durezza, quasi – della sua voce la sorprese così tanto che smise di piangere.

«C'è una cosa che non ti ho mai detto riguardo il tuo lavoro nella Zona Nulla. In realtà, è qualcosa che non dovresti sapere.»

Sentiva la sua gola irrigidirsi, come se una morsa la stesse stringendo dall'interno. Iniziò a contare i respiri. Ogni volta di un secondo più lunghi, si disse. Ogni volta, ogni volta. Uno. Uno, due. Due, tre. L'espressione del suo Magister rendeva inutile qualsiasi esercizio di respirazione.

«Nulla che tu possa fare sistemerà la magia del Fulcro, Nurey.»

Un suono stridulo le scappò dalle labbra. La stava prendendo in giro, di sicuro, nessuno avrebbe mai impiegato dei ragazzi in un lavoro così pericoloso se fosse stato inutile, le stava giocando un brutto tiro...

Ma non aveva mai saputo mantenere un'espressione seria quando la prendeva in giro, e in quel momento il suo non era certo il viso di qualcuno che trattiene a stento una risata.

«Credi che se ci fosse stato un modo non ce ne saremmo già occupati? Sai qual è l'unico modo per calmare il Caos, Nurey. E non è una cosa che si può fare con quella magia.»

Un membro dell'equipaggio le gridò di affrettarsi a salire.

Il mare le rombava frastornante nelle orecchie, anche se lo vedeva tranquillo come al solito. Magister Ismael scosse la testa. Forse erano gli occhi ancora bagnati di lacrime, ma lo vedeva tremare. Faticava a capire ciò che le aveva detto. Se era inutile, allora perché? Perché permetteva una cosa del genere? Avrebbe voluto chiederglielo.

«Non c'è più tempo, mia cara.» L'abbracciò di slancio, e per un attimo bastò a tagliarla fuori dalla soffocante coltre d'ansia che andava addensandosi e le annebbiava la ragione.

Con un unico, morbido gesto, Magister Ismael le avvolse il suo scialle verde smeraldo attorno alle spalle. Era un tessuto pesante, intarsiato d'argento, e brillava come la luce della luna tanto lontana. Proprio come il suo nome. Poi sciolse l'abbraccio. Rimasto in maniche di camicia ricordava spaventosamente uno spaventapasseri variopinto e malinconico. Il pensiero la fece ridacchiare tra le lacrime.

Un secondo avvertimento sbraitato le urtò le orecchie. Sapeva che sarebbe stato l'ultimo, che non avrebbero certo atteso i suoi comodi prima di partire.

« Ora di andare, » mugugnò. Fece appello a tutte le sue forze per non correre giù dalla rampa. Magister Ismael annuì. Nurey si stupì di trovare i suoi occhi neri lucidi di lacrime e la sua voce flebile mentre le rivolgeva pallidi, continui e ultimi saluti.

«Stai attenta, Nureje, stai attenta. Ti prego,» disse, la voce che si alzava sempre più per sovrastare il cigolio della rampa che si ritirava.

«Ci vedremo presto, te lo prometto,» fu l'ultima frase che gli sentì urlare, la voce stridula e rotta. Chi gli avrebbe indicato la strada di casa, senza di lei? Si sarebbe fatto male, non ci sarebbe stato nessuno ad aiutarlo, e allora...

La nave partì con un rumore assordante.

In piedi sul ponte, Nurey osservò casa sua farsi sempre più lontana, poi scomparire all'orizzonte. Sola, in mare aperto, a scaldarla solo uno scialle sfarzoso e il calore di una promessa che sapeva di bugia. 

Buonasera.

Un prologo in cui non succedeva nulla era un conto, but now, un primo capitolo in cui non succede nulla? Rivoluzionario. No onestamente voglio solo che sia un'immersione graduale nella storia così non vi rendete conto quando tutto inizia ad andare male ;)

Also someone asked for more Ismael so I couldn't just not give him to you.

Va bene, fatemi sapere che ne pensate. Trovo che sia ancora presto per fare teorie, ma se ne avete qualcuna perché no?

Bacini e cuoriciotti. Al prossimo capitolo, sperando di trovarvi ancora,

Elia

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