SEOUL, anno 2003
Avevo cinque anni quando fui trasferita in uno degli orfanotrofi di Seoul da Andong. Lo stato aveva tagliato i fondi, per cui tutti i bambini e i ragazzi senza adozione, vennero smistati nei vari istituti in giro per la Corea del Sud. Sfortunatamente, nessuno dei miei amici capitò con me. Mi sentii terribilmente sola. La capitale era una città grande, ricca di opportunità. Qualcuno mi avrebbe sicuramente amata. Eppure, più i mesi passavano, più perdevo le speranze. Chi avrebbe voluto adottare una bambina troppo grande? I genitori preferivano i bambini piccoli, così da godersi la loro infanzia per intero, per insegnarli il mondo e le sue vedute. Quelli come me, invece, stavano già costruendosi una visione propria del mondo, perdendo quella spensieratezza che è tipica dei cuori tanto giovani. Noi crescevamo in fretta in un certo senso, e nei nostri occhi brillava sempre meno quella luce, finendo per adombrare tutto il viso, regalandoci quell'aria adulta che tanto spaventava le persone.
Non parlavo mai e non ricevevo visite. In cuor mio, desideravo che un membro della mia famiglia venisse a conoscenza della mia esistenza, cosa che non accadde mai.
Fu così fino all'arrivo di Chan. Bang Chan, era questo il suo nome per intero. Un pomeriggio sotto un albero di pesche. Lui si avvicinò e si arrampicò per cogliere un frutto. Io stavo giocando con delle vecchie barbie.
- Queste pesche sono così dolci!- Esclamò a gran voce. Era davvero buffo.
Poi me ne allungò una.
- Dovresti assaggiarla. Tranquilla, non è avvelenata!- Rise.
Io presi la pesca tra le mani e dissi:
- Di solito sono le mele ad esserlo.
- Allora parli! Io sono Bang Chan. Tu sei Wendy, vero?
Annuii.
Chan era il più chiacchierone di tutti. Si poteva affermare che fosse il più popolare dell'istituto. Faceva amicizia con facilità, ed era buono e gentile.
Diventammo amici e grazie a lui, sopportare quella condizione, diventò un'esperienza agrodolce.
Sapeva raccontare le favole e spesso inventava nuove storie. Alcune notti, sgattaiolavamo in terrazza, che aveva soprannominato "Il nostro posto". Osservavamo i grattacieli e sognavamo. Mi insegnò a parlare con la luna, diceva che era come una mamma, con cui ci si può confidare e che era come un portale magico che collegava le anime: se due persone vedono la stessa luna, vuol dire che non sono poi così lontane.
Chan era speciale. Era uno su un milione. Avevo paura che lo avrebbero adottato, ma lui mi assicurò che non avrebbe mai permesso una nostra separazione. Così gli anni passarono, ed arrivò il piccolo Jeongin. Con lui giocavamo ad essere una famiglia. A volte era un po' capriccioso e poco incline ad ascoltare gli adulti. L'unico modo per calmarlo era comportarsi ad essere i suoi genitori.
Ricordo ancora quando la sua manina prese le nostre mani e le unì.
- Tra dieci anni vi sposerete, così saremo davvero una famiglia!
Io risi di cuore, nonostante le mie guance si tinsero di rosso. Non avevo mai pensato all'amore. Ero giovane, volevo essere solo una bambina.
Ma Chan si mise una mano al petto, e rispose solennemente:
- Te lo prometto.
Ci scherzai su, era una cosa così assurda!
Jeongin ci credeva davvero, quindi per il suo bene, gli diedi corda.
L'orfanotrofio era un luogo di passaggio. C'erano bambini che lo lasciavano per sempre, ed altri che venivano. Ognuno di noi era diverso, ognuno di noi era uguale. Tutti abbandonati, per un motivo o per un altro. Come tanti bambini sperduti sull'Isola che non c'è. Fu un'idea di Chan questa. In particolare, nella sua ciurma, accolse Woojin, Minho, Changbin, Hyunjin, Jisung, Felix e Seungmin, oltre che Jeongin e me.
Io ero Wendy Darling, naturalmente. Un nome che sembrava uno scherzo del destino. La mamma del gruppo...
Era l'unica famiglia che possedevo. Volevo essere una figlia, ma quel ruolo mi andava più che bene. Sembravo essere nata per quello ed eravamo uniti ed inseparabili.
Quando Chan compì 18 anni, e finì la scuola, fu costretto a lasciare l'istituto perché era troppo grande. Piangemmo tutti. Promise che sarebbe tornato a prenderci e che nessuno al mondo, niente avvebbe più potuto separarci.
L'ultima notte, mi svegliò e mi condusse al "Nostro posto". La luna splendeva più del solito.
- Non essere triste, Wendy. Ho fatto una promessa. Questo non è un addio. Ho un regalo per te. Guarda!
Sul palmo della mano, stringeva una ghianda.
- È una ghianda.- Feci io confusa.
- È molto più di questo. È un pegno, una garanzia. Custodiscila fino a quando tornerò, così non ti dimenticherai di me. Troverò un lavoro e vi porterò via da qui per sempre. Voleremo lontano. Se ti sentirai sola, la notte, guarda il cielo. Perché io lo farò tutte le sere e penserò a te. Non ho scordato la promessa.
- Di quale promessa parli, Chan?
- Quella che ho giurato a te e Jeongin quando eravamo bambini.
I nostri nasi si toccarono. Non ero mai stata tanto vicina a lui. Non ci eravamo mai abbracciati, e non ci avevo fatto mai caso sino a quel momento.
Avvertii un'emozione nuova, a cui non riuscivo a trovare una spiegazione logica.
Si portò la mano destra al petto e batté un colpo.
- Wendy, io ti sposerò.
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