Alexandros Dimitriadis

Ed ecco qui, infine, il mio terzo ed ultimo oc per la role "Mediterranea" di -lightfull_
Spero possa andare bene!
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INFORMAZIONI GENERALI E STORIA
"Mi chiamo Alexandros Dimitriadis.
Il mio nome, Alexandros, significa "protettore degli uomini", e mi piace abbastanza, per quanto, forse, avrei preferito un nome più breve, come Sandros, il soprannome che mi danno i miei amici più stretti... e meno, diciamo, "impegnativo".
Questo nome, infatti, è stato scelto da mia madre e da suo fratello, lo zio Andreas, e rispecchia quello che è stato ed è tuttora, oggi più che mai, il mio destino: quello di diventare un oplita spartano, votato a difendere e procurare gloria a Sparta tramite il valore in battaglia.
Questo è ciò che sono... o, forse, che sono diventato.
Il fatto è che, se vivi a Sparta e tuo zio è un valoroso spartiate, non ci sono moltissime scelte: ti allenerai duramente, diventerai un guerriero, andrai in battaglia, distruggerai, ucciderai, massacrerai fino a diventare insensibile ad ogni orrore, finché non arriverà il giorno in cui le Parche hanno stabilito che debba cadere tu, o, più raramente, fino a che non sarai diventato un uomo anziano.
Anzi, non è che non ci sono molte altre scelte: c'è solo questa.
Questa, o il disonore perpetuo, su di te e sulla tua famiglia. 
E se non solo la tua famiglia è, da generazioni, votata alla guerra, ma per giunta sei figlio di Ares, il dio della guerra, allora è naturale che il tuo destino sia questo.
Ed è, appunto, questo il mio caso.
Ma andiamo con ordine. 
Sono nato a Sparta ventisei anni fa, figlio di Ares e di una mortale, Tecla, appartenente ad una delle più antiche famiglie della nobiltà spartana. 
Come quasi tutti i semidei, tuttavia, non ho mai incontrato mio padre; sono stato, invece, cresciuto da mio zio, Andreas, che avendo solo figlie femmine mi ha sempre considerato alla stregua di un figlio, o meglio del figlio maschio che non aveva mai avuto.
Come tale, ha voluto che, già a partire dai cinque anni, mi esercitassi nelle principali discipline sportive, necessarie per diventare un valoroso soldato: la corsa, la lotta, il lancio del giavellotto.
A sette anni, poi, come tutti i bambini spartani, sono entrato a far parte di una compagnia per l'addestramento militare, comandata da Leandros, un ex-commilitone di mio zio congedato per essersi ferito gravemente ad una gamba durante una battaglia.
Questi, in accordo con mio zio, mi ha sottoposto ad un allenamento ancora più intenso e duro di quello degli altri, "degno di un figlio della Guerra", diceva, che mi ha reso sempre più forte, più resistente al freddo, alla fame e al dolore, nonché più abile nel combattimento, di tutti i miei compagni, dimodoché, dai quattordici ai ventinove anni, sono sempre stato il "capo" della compagnia di cui facevo parte.
A partire dai diciotto anni, ho iniziato a prendere parte alle guerre. 
Erano guerre di scarsa importanza, questo è vero, ma c'è una cosa che forse sfugge ai più: che una guerra si decida con dieci battaglie tra eserciti sconfinati o con uno scontro tra qualche paio di centinaia di uomini, per chi c'è dentro non cambia assolutamente niente.
Quando sei dentro ad una battaglia, tutto quello a cui devi pensare è attaccare, colpire, difenderti, uccidere, e poi di nuovo attaccare, colpire, difenderti, uccidere, fino a quando non sei ucciso tu, o fino a quando non tramonta il sole. 
Durante una battaglia, non c'è tempo per pensare ad altro, e se ci fosse dovrebbe essere eliminato con ogni mezzo, perché finché combatti non ti puoi fermare a riflettere su ciò che stai facendo, né tantomeno sul nemico che hai davanti, perché se lo fai non solo sei morto, ma, ancora peggio, non riesci più ad andare avanti, tanto è l'orrore che provi.
Ricordo ancora, dopo la mia prima battaglia, che dopo un combattimento glorioso, da cui avevo riportato solo pochi graffi, ero stato lodato, e mi sentivo tanto soddisfatto che avevo deciso di rivivere la battaglia nella mia mente. 
E allora la soddisfazione per ciò che avevo fatto si è trasformata in ribrezzo e orrore, perché ho rivisto ciascuno dei nemici che avevo ucciso, ho rivisto i loro sguardi prima colmi di furia cieca diventare vuoti e persi dopo che la mia spada si era infilata tra le loro costole, ho rivisto i corpi dei miei compagni stesi a terra, e ho capito che la guerra non era solo forza e onore, ma era un massacro, una cosa normale e necessaria, ma non per questo meno orribile.
E anche se col tempo ci ho fatto l'abitudine e ormai sono quasi indifferente al pensiero di tutti quelli che ho ucciso, resta e resterà per sempre tale.
Perché sì, io combatto, io sono Alexandros Dimitriadis, difensore di Sparta, e non posso lamentarmi di ciò che sono, perché tantissimi ragazzi vorrebbero essere come me, ma non posso dire di amare la guerra. 
Amo il valore, il coraggio, lo spirito di sacrificio, l'eroismo, la gloria, queste cose sì, le apprezzo e le cerco, ma la guerra, che pure parrebbe portarle tutte in superficie, no, quella proprio no.
Anche se ora mio zio è morto, e non c'è dunque nessuno che mi costringa a proseguire questo sentiero di sangue, è troppo tardi per tornare indietro. 
E così, quando è scoppiata questa guerra e il mio amico Vasilios è stato scelto come vicecomandante dell'esercito spartano, mi ha offerto il ruolo di condottiero dell'esercito nelle operazioni di terra e io ho accettato, perché tanto ormai la guerra è il mio lavoro: come un vasaio, che per quanto la consistenza della creta possa essergli disgustosa, continuerà per tutta la sua vita a modellare vasi perché è l'unica cosa che sa fare e che può fare, fino a che non sentirà quasi più quella sensazione viscida sotto le mani, così anch'io, per quanto possa essere disgustato dai massacri, continuerò a combattere e ad uccidere, fino a non accorgermene quasi più, perché è ciò per cui sono stato addestrato, e perché tanto, anche se volessi, non saprei e non potrei fare altro."

ASPETTO
"Sono un uomo piuttosto alto, (author's note: sono 1,80 cm) di corporatura robusta e muscolosa, cosa del resto ovvia vista l'intensità degli allenamenti che ho fatto fin da bambino.
Ho una folta chioma di capelli biondi, che tengo lunghi fino alle spalle, spesso raccolti dietro la testa, specialmente in combattimento.
Il mio viso ha dei lineamenti abbastanza marcati, decisamente virili, e i miei occhi azzurri, una rarità qua a Sparta, hanno spesso un'espressione seria e concentrata, anche quando sono perso nei miei pensieri. 
Sulla guancia sinistra, vicino all'orecchio, ho una cicatrice: o almeno, è l'unica visibile che ho, perché sulle gambe, sul torso e sulle braccia ne ho altre, tutte ottenute in combattimento.
Molti dicono che sono segni di valore e che per questo debbano essere motivo di orgoglio, ma francamente a me non piacciono, non solo perché mi ricordano ogni istante della guerra, ma anche proprio per un motivo estetico: non le trovo belle, semplicemente. E quindi tendo a coprirle con i vestiti.
Quando sono a Sparta, durante i periodi di "pausa" dai combattimenti, mi piace vestirmi in modo semplice, e se non devo prendere parte ad un'assemblea o altro evito vestiti troppo eleganti.
In guerra, invece, porto l'armatura di famiglia, che era stata di mio zio, e di suo padre prima di lui. L'unica cosa che invece è solo mia è l'elmo, che mi è stato consegnato da un sacerdote di Ares, che mi ha detto che è un dono di mio padre, forgiato direttamente da Vulcano. 
Non so se sia vero o meno, ma l'elmo mi piace, e quindi in battaglia lo metto sempre, anche perché lo considero alla stregua di un portafortuna oltre che di un'arma."

PREGI
"Una mia qualità è che, a differenza di quanto si possa credere vista la mia istruzione in ambito culturale, sono piuttosto intelligente.
Ovviamente, non si tratta dell'intelligenza ampollosa e vana degli Ateniesi, che si pregiano di essere dei grandi intellettuali, né della saggezza degli anziani, ma di un'intelligenza pratica, che mi permette di prendere buone decisioni immediate in caso di necessità.
É proprio grazie a questa capacità che mi sono stati dati vari incarichi di comando: se c'è un problema, infatti, sono abbastanza bravo a prendere rapidamente una decisione per affrontarlo, anche grazie alla mia esperienza, che pur non essendo enorme supera quella di tanti altri soldati, ragazzi più giovani di me, oltre che grazie al mio istinto.
Perché, che venga dalla mia stirpe divina o dai miei anni di allenamento, ho un'altra qualità utilissima in guerra: un istinto che raramente sbaglia. 
Quest'ultimo non solo è essenziale durante le battaglie, dato che, come ho già detto, se ti fermi a pensare durante una battaglia, o sei morto o comunque non riesci più ad andare avanti, ma mi aiuta anche con le persone, permettendomi di intuire abbastanza rapidamente le loro intenzioni e di agire di conseguenza, decidendo se fidarmi o meno e che comportamento tenere. 
Inutile dire che, purtroppo, la maggior parte delle persone non sono affidabili, e dunque ci vuole un po' di tempo perché io prenda confidenza. 
Del resto, sono del parere che, di amici, è meglio averne pochi, ma buoni, come ad esempio Vasilios, che conosco da quando avevo quattordici anni e lui dieci e che mi conosce come le sue tasche.
Non sono mai stato uno espansivo, io, però anche nelle relazioni con gli altri ho un pregio: sono, almeno credo, un buon amico. 
Con i miei, pochi, amici, infatti, sono estremamente leale e onesto, e cerco sempre di aiutarli per quanto posso, coprendo loro le spalle tanto in battaglia quanto nella vita di tutti i giorni.

DIFETTI
"Un mio primo difetto è che non sono una persona molto comunicativa, e anche con gli amici di cui mi fido di più faccio fatica ad esternare le mie emozioni; se mi sforzo rischio di sembrare patetico, e questa è una cosa che non voglio affatto avvenga.
Tuttavia, alle persone che non mi conoscono bene e non sono abituate al mio modo di fare sembro sempre una persona estremamente fredda e distaccata, e questo è un altro motivo per cui non ho molti amici.
Inoltre, se con i miei amici sono estremamente leale, con gli altri mi faccio ben pochi scrupoli a mentire.
Infine, un tratto di me che, a pensarci, non riesco proprio a farmi andare giù è che, quando sto combattendo, divento una macchina da guerra: non riesco a pensare ai miei avversari come persone, solo come... avversari, nemici da uccidere e basta.
Così sono completamente incapace, durante una battaglia, di provare compassione e di risparmiare i miei avversari, anche se poi magari mi pento di non averlo fatto."

CURIOSITA'
"La sera mi piace sedermi su una roccia, su una panca, o anche per terra, a guardare il tramonto.
So che sembra una cosa da femminuccia e che mal si addice ad un guerriero forte come me, ma non riesco a farne a meno. 
I tramonti mi danno un senso di pace, di serenità, che non riesco spesso a trovare nella vita di tutti i giorni, ma di cui ho bisogno, perché se mi dovesse mai mancare credo che impazzirei.
Penso a mia madre, ai miei amici, ai bei momenti trascorsi con loro, a quanto è bello il tramonto, quanto tiepido il sole, quanto piacevole la brezza che sento sulla pelle e mi sento in pace con me stesso.
In genere preferisco essere da solo, ma se un altro soldato non mi dispiace affatto, specie se lo conosco abbastanza bene, basta che restiamo in silenzio a contemplare il panorama, e soprattutto non parliamo della guerra. Solo argomenti felici, se proprio si deve parlare."

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