Capitolo 5
Quella stessa sera, Jhon fu svegliato di soprassalto dal rumore di una porta che veniva prima aperta e poi chiusa.
Aprí di scatto gli occhi, in ansia di quei rumori, ma non si voltò verso di ella per vedere che cosa stesse succedendo . Rimase solo fermo e al suo posto.
Eppure delle grida risuonarono come eco nel corridoio illuminato appena da piccole e flebili lanterne appese alle pareti grigi di cemento, ma nelle sue orecchie erano dei suoni lontani alla sua attuale realtà.
Un qualcosa dentro di lui lo metteva in uno stato di totale confusione, allontanandolo da dove esattamente si trovasse, per rinchiuderlo in delle pareti chiuse, che lo circondavano. Lí, non c'erano altre strade ripercorribili, era del tutto chiuso in quelle quattro mura, che pian piano prendevano ad avvicinarsi alla sua figura in posizione del centro di quello stanzino senza pavimenti, sino a poi tentare di schiacciarlo vivo tra loro, ecco era questo ciò che in lui stava provando, stava sentendo.
Era una sensazione di disagio. Orribile.
« Ha ha ha. Prima o poi scapperò via da qua, avete capito bene merde ? » sguainò quella voce piena di schernitá, mentre la porta della sua stanza veniva chiusa. La stessa di Jhon.
Poi un sospiro e un tonfo, come di oggetto che era stato lanciato. La loro stanza era la stessa, proprio per questo per Jhon gli fu impossibile non sentire ogni cosa.
« Hei tu. Da oggi dovrai subirti la mia malata presenza » ringhiò.
Jhon lo ignorò, facendo finta che non ci fosse nessuno. La cosa di condividere una stanza non era una cosa di cui gli importava. Con quel nuovo tizio non aveva assolutamente nulla di cui spartire.
Rimase solo con gli occhi chiusi, una mano sotto l'orecchio e l'altra sotto alla coperta che ne stringeva un lembo.
« SEI PER CASO SORDO? STO PARLANDO CON TE » sbraitò, prendendo ad avvicinarsi con furia alla figura che stesa a letto, gli dava le spalle.
Jhon, strinse gli occhi e aspettò che succedesse qualcosa. Non passò poi molto, prima che lo sconosciuto lo raggiunse e con un gesto solo gli tolse quell'unico scudo che sino a un momento prima lo aveva sentito come un riparo.
Con le mani su una spalla lo voltò e Jhon si ritrovò con la pancia sopra. Non aveva ancora la forza di aprire gli occhi. Gli strinse solamente un poco di più, tanto da segnargli alla fine degli occhi dei piccoli segnetti, le sopracciglia aggrottate e le labbra strette in una linea dura.
Ad un tratto delle grandi mani forti e venose lo presero dalla gola stringendola con forza e fu lí che Jhon aprì i maledetti occhi per vedere il suo carnefice. Gli occhi si spalancarono a quella visione. Quello stesso ragazzo che stava cercando di strozzarlo, altro non era che il ragazzo incontrato nelle mense. Gli occhi erano iniettati di un rosso sangue fiammeggianti, le vene al collo che dallo sforzo che ci stava mettendo erano gonfie e ben visibili, più metteva forza e più cercava di appiattirlo con la testa al cuscino.
Sentiva gli occhi chiudersi, Jhon e il respiro sempre a meno, la bocca adesso aperta in cerca di aria. Era come se stesse annegando mentre qualcuno, per non farlo emergere in superficie, lo teneva per la testa sotto l'acqua, spingendolo sempre più in giù. Sentí per un momento il cuore battere per la paura e per l'adrenalina che nel corpo avevano preso a scorrergli.
E come per proteggersi, d'istinto portò le proprie mani più piccole e fredde su quelle dell'altro, cercando di allontanarle da sé e le gambe a scalpitare in aria. Ma ciò non serví a molto, poiché questo portò a fare infuriare ancora di più la figura del più grande che aveva preso a sovrastarlo, per tenerlo fermo bloccava le gambe minute con le propria ginocchia.
Non sentendo alcun via di scampo, Jhon capì che sarebbe morto. In quell'istante il volto addolorato di sua madre gli passò davanti.
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