Capitolo 2
Aprí gli occhi ritrovandosi catapultato in quelle quattro mura bianche, odoranti di disinfettante.
Girò di appena la testa verso la finestra chiusa dove la luce del sole entrava, posandosi con tiepido calore sulla fronte.
Alzò la mano e aprí le dita dove dallo spazio creato lasciò entrare i raggi. Quello che al momento ricordava era un vago ma dolce ricordo della sua infanzia passata, un ricordo che aveva a che fare una giornata al mare passata con la madre.
Chiuse gli occhi e sospirò l'aria che sino a quel momento aveva trattenuto.
Mancava solo sua madre. Dove era finta. Perché non gli era accanto?
Stufo lasciò quelle coperte disfatte, ritrovandosi con addosso un solo camice bianco e azzurro totalmente fuori luogo per il ragazzo.
Dove diamine erano finiti i suoi vestiti? E quelle pantofole azzurre da dove uscivano fuori?
Le guardò schifato giusto per pochi secondi, decidendosi poi a indossarle.
Si alzò e si avvicinò alla finestra dove il paesaggio di Boston si rifletteva attraverso i suoi occhi totalmente cupi e spenti.
Le mani sul davanzale che accarezzavano il marmo con maestria.
« Jhon! »
Esclamò una voce alle sue spalle, che avrebbe riconosciuto anche fra milione e miglia di persone. Era quella della sua amata madre.
« Ti ho portato le tue ciambelle preferite » aggiunse frizzante di rivedere finalmente il figlio, con in mano una bustina del panificio.
Jhon non si voltò, non voleva vederla al momento e nemmeno le rispose. Al momento c'è l'aveva con lei per l'aver infranto la promessa che mai lo avrebbe lasciato andare, che sarebbe stata con lui. Ma ora quelle che per lui erano menzogne volarono lontano da lui. Si era afferrato alle parole dell'unica persona che era certo mai gli avrebbe voltato le spalle. Ma si era sbagliato e di grosso.
D'altronde il risultato di tutto ciò era che non ti potevi fidare di nessuno. Dell'imparare a non ancorarti a niente.
«Cosa c'è tesoro? Ti senti male? »
chiese preoccupata la donna, lasciando il sacchetto sul comodino, per poi avvicinarsi al figlio.
Jhon non si voltò, continuò semplicemente a ignorarla. Come se lei non fosse lí. Dietro di lui. Come se al momento non esistesse.
«Jhon».
Lo chiamò, poggiando una mano sulla spalla.
Jhon la scansò e si voltò guardandola con sguardo ferito. Con lo stesso sguardo di chi aveva capito che al mondo non c'era niente di peggiore che delle bugie che una madre avrebbe potuto rifilare ad un figlio... malato.
«VATTENE BUGIARDA ».
Gli gridò in faccia con le lacrime agli occhi, indicandole la porta.
La donna interdetta rimase a bocca aperta. Sapeva che qualunque parole avrebbe fatto uscire, queste non avrebbero fatto altro che danneggiare ancora di più quel fragile momento. Così con il cuore in gola e in lacrime guardò con scuse un ultima volta suo figlio, per poi uscire da quella stanza.
«Tutti bugiardi. Tutti bugiardi. Tu sei bugiarda. Tutti bugiardi » si ripeté il ragazzo con tono perso, prendendosi i capelli con le mani e per poi ritrovarsi accovacciato a terra.
***
«Lory».
Mormorò la donna sull'uscio della porta nel vedere la sorella in lacrime.
Le andò incontro abbracciandola fortemente. Come solo una sorella mai avrebbe potuto fare. Sapeva che c'entrava qualcosa con il nipote.
«Va tutto bene ».
Le sussurrò baciandole la testa.
«No. no. Lui mi odia. Io l'ho lasciato lí. H- ho lasciato che lo portassero via » singhiozzò con il cuore in gola.
Consapevole di aver infranto una delle piú sacre promesse che avesse fatto al figlio. Quella di non lasciarlo mai. Di esserci sempre.
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