Lei
- Aprite questa cazzo di porta o la butto giù a calci! -
- Vattene, maledetto! Stiamo per chiamare la polizia! -
- So che la state nascondendo e vi giuro su Dio che ve la farò pagare! -
- Non stiamo nascondendo nessuno, lei è andata via! Finalmente ha capito che razza di bastardo sei e ti ha lasciato per sempre! -
- Io la troverò! E quando succederà pregate di non incrociare mai la mia strada! -
***
Scoppierà.
Se non rallenta subito, scoppierà.
Questo pensava Giorgio mentre disponeva in ordine di altezza tutti i timbri che occupavano la sua scrivania. Le penne e le matite erano invece già state sistemate: le prime per colore d'inchiostro, mentre le seconde in base al punto fin cui erano state temperate.
Era arrivato in ufficio ormai da un'ora, in netto anticipo sull'orario d'entrata. Non aveva chiuso occhio per tutta la notte e aveva pensato che recarsi prima al lavoro avrebbe fatto sì che il tempo passasse più velocemente.
Ma non appena aveva messo piede in centrale, gli era apparso subito chiaro che così non sarebbe stato.
Oltre a un paio di centralinisti, qualche insonnolito collega smontante dal turno di notte e Ivana, la signora delle pulizie, non c'era nessun altro e nulla che riuscisse un minimo a distrarlo.
Considerando l'ora, l'insonnia e tutto il resto, si rese conto che forse i cinque caffè ingurgitati fino a quel momento fossero davvero troppi e sì... posando una mano sopra il suo cuore impazzito tornò a ripetere dentro di sé la medesima frase:
Scoppierà... se non rallenta subito scoppierà!
Posò entrambe le mani sulla scrivania, chiuse gli occhi e si impose di rilassarsi.
Inspira... espira. Inspira... espira.
Avrebbe affrontato quel fottuto momento e poi tutto sarebbe tornato alla normalità. L'avrebbe guardata negli occhi e lì sarebbe arrivata la tanto agognata conferma: la conferma che non provava più niente per lei, se non odio allo stato puro... o ancor meglio indifferenza.
Solo a quel punto sarebbe stato libero. La trepidazione per quel momento che sembrava non arrivare mai lo stava devastando. Doveva mettere fine, una volta per tutte, a quella ridicola situazione.
Riaprì gli occhi e controllò l'ora.
Solo le sette...
Cristo!
Sbuffò e con un gesto secco del braccio mandò all'aria tutto il suo "progetto tetris", sobbalzando quando la porta si spalancò per rivelare un Alessandro trafelato e al contempo sollevato nel trovarselo di fronte.
- Ah, Gio', sei già qui? Menomale, perché io devo andare subito in obitorio prima che arrivino i giornalis... -
- Vengo con te! - lo interruppe lui alzandosi di scatto, con in mano già telefono e portafogli.
- No, Gio', tu mi servi qui! Tra poco arriverà il rapporto della scientifica e ho bisogno che tu giri tutto al magistrato. Andrò con Erik, è già qui sotto che mi aspetta. -
Ferro, sconsolato, lasciò ricadere ciò che aveva in mano sulla scrivania e fu allora che Barzagli si accorse del disordine che vi regnava sopra.
- Che è successo qui? - si guardò intorno circospetto - Ho interrotto qualcosa... Daniela è qui? - pose l'ultima parte della domanda in un sussurro, indicando con la testa un punto in basso.
Giorgio lo fissò senza capire, poi, seguendo la direzione del suo sguardo e colta l'allusione, si accorse del casino che aveva combinato. Timbri, penne e fogli di ogni tipo erano sparsi tra il ripiano di legno e il pavimento.
- Ah, no, stavo... stavo cercando un fascicolo, c'era il portapenne in bilico e si è rovesciato, allora per riprender... -
- Va bene, Giò, non ci ho capito niente, ma adesso devo scappare. - asserì all'amico, che dando le spalle a lui e alla porta, stava già provvedendo a sistemare quel disastro - Mi raccomando, ricordati di inviare il materiale a De Lellis e studiati i rapporti che Daniela ha firmato ieri sera. -
- Okay, capo, a dopo. - rispose senza voltarsi.
Un minuto più tardi era ancora chino sul pavimento, quando sentì la porta riaprirsi.
Sorrise mentre si raddrizzava con un mucchietto di penne tra le mani.
- Che altro c'è, papà? - chiese mentre si apprestava a voltarsi verso il collega - Ti sei dimenticato di chiedermi se ho fatto i compit... -
Tutto ciò che un attimo prima aveva in mano, cadde di nuovo rovinosamente a terra, mentre le sue orecchie vennero invase da un fastidioso, quanto assordante ronzio. Il suo cuore stava battendo un ritmo talmente serrato da venire senza difficoltà confuso con un unico, incessante rombo.
Fu in quell'istante che capì che questa volta non stava sognando. Era sveglio, ogni cellula del suo corpo lo era, poteva sentire il flusso accelerato del suo sangue, sfrecciare nelle vene come se quelle fossero il circuito di un gran premio di MotoGp.
Credeva di essere preparato.
Credeva che le sensazioni che aveva provato durante quell'incubo fossero ineguagliabili.
Credeva che... Credeva...
Confuso e deciso a riprendere il controllo delle proprie azioni, si abbassò per raccogliere il tutto dal pavimento, troppo impegnato a tentare di riordinare il groviglio dei suoi pensieri per accorgersi che Lei aveva fatto lo stesso. Questo fino a quando un intenso profumo di shampoo alla vaniglia non invase le sue narici, facendogli sollevare la testa di scatto.
Si ritrovò così a fissare, a cadere e infine ad annegare in quei due laghi verdi e profondi che erano i suoi occhi.
Perché anche Lei lo stava guardando.
Si sollevò da terra come morso da un ragno velenoso e dandole le spalle prese a sistemare la babilonia che invadeva la sua scrivania.
È arrivato... quel momento è arrivato...
Finse di non percepire quello sguardo che stava incendiandogli la schiena.
Finse che l'aria che ora riempiva i suoi polmoni non avesse il sapore di vaniglia.
Finse di non udire il rumore dei suoi passi che senza fretta si avvicinavano.
Ma non poté fingere di non sentire il tocco leggero di quelle dita mentre titubanti si posavano sul suo braccio sinistro. Poteva percepirne il tremore anche attraverso lo strato di stoffa della camicia.
L'incubo che diventa realtà...
E come due notti prima, a infliggergli il colpo di grazia arrivò quella voce.
La sua voce.
Quella vera. Reale. Quella che non sentiva da sei lunghi mesi.
- Gio'... ciao. -
Gio'.Ciao. Gio'.Ciao.
Mentre si voltava piano per affrontarla, l'unico neurone rimasto integro e saldamente ancorato alla realtà, suggeriva al suo cervello di pesare quelle due parole.
Gio'... ciao...
Sei mesi di assoluto silenzio, miseramente riassunti in un educato convenevole.
Tornò subito lucido. Glaciale.
Vacillando soltanto nell'istante in cui i loro sguardi tornarono a incrociarsi.
Dovette deglutire a vuoto un paio di volte e fare un passo indietro, facendo sì che Lei lasciasse la presa sul suo braccio, prima di poter rispondere:
- Ciao... -
La sua voce uscì straordinariamente fredda e quel gelo colpì in una secca sferzata anche Martina, che incapace di sostenere quello sguardo, abbassò mesta il suo.
La fissò dall'alto della sua rabbia, serrando con forza la mascella: in silenzio.
Seguì il percorso della sua mano, che subdola si avvicinava al proprio petto.
Era lì che puntavano ora i suoi occhi verdi.
Lasciò che le dita di Martina si posassero nel punto che aveva segnato la loro separazione e non smise di guardarla nemmeno mentre lei cercava il coraggio di rivolgergli la parola.
- Co... come stai? -
Intanto il sole iniziava ad alzarsi nel cielo e un raggio dispettoso andò dritto a illuminarle il viso, costringendolo a chiudere gli occhi per non rimanerne accecato.
L'unica cosa che desiderava in quel momento era...
- Come vedi sono vivo... - rispose invece, allontanando dalla sua mente le immagini che lo vedevano stringerla con forza tra le sue braccia, affondare il viso tra i morbidi capelli, così da riempiersi i polmoni del suo odore.
La vide in difficoltà, percepì il suo disagio nel dover trovare una qualsiasi frase di circostanza che l'aiutasse a togliersi dall'imbarazzo.
Decise di sollevarla lui stesso da quell'onere, non aveva nessuna voglia di rimanere ad ascoltare le sue bugie e i probabili tentativi di lavarsi la coscienza.
Ormai sapeva chi era. Era solo stato ingenuo nel rendersene conto troppo tardi. Avrebbe dovuto capirlo prima, quando lei non ci aveva pensato due volte a farsi portare a letto dal primo belloccio di turno.
L'aveva idealizzata, illudendosi che l'amore esistesse davvero e portasse il suo nome. Le aveva permesso di farsi strada nel suo cuore che mai, prima di lei, aveva battuto tanto veloce.
Dopo essere rimasto per tanto tempo a osservarlo dal bordo, aveva trovato il coraggio di tuffarsi al centro di quel fiume in piena, deciso per una volta a lasciarsi trasportare dalle sue correnti. Mai avrebbe immaginato che dietro la prima ansa di quelle acque agitate si nascondesse la più ripida delle cascate.
Afferrò con distacco quella piccola mano, ferma e ancorata al tessuto della sua camicia e l'allontanò da sé.
Non gli sfuggì il guizzo di emozione che le attraversò la pelle a contatto con la sua, ma non si fece sopraffare e dandole di nuovo le spalle la lasciò lì, impalata e tesa, mentre lui andava a sedersi dietro la propria scrivania.
Una volta che ebbe quella a fargli da scudo, con calma sfilò una sigaretta dal pacchetto, l'accese e solo dopo averne respirato una profonda boccata tornò a rivolgersi a lei.
- Stai tranquilla, Martina. Non sforzarti di trovare a tutti i costi qualcosa da dirmi, non ne hai bisogno. Credimi. -
Martina mosse un passo verso di lui, ma si bloccò all'istante quando vide il suo braccio teso intimarle di interrompere quel timido tentativo di avvicinamento.
- Se avevi paura di dovermi dare delle spiegazioni, rilassati... respira. Non me ne frega un cazzo! Sei tornata e questo è quanto. Nell'ufficio di Barzagli c'è tutto ciò di cui hai bisogno, credo che lui ti abbia già informata rispetto al nuovo caso. Studiati le carte e se qualcosa non ti è chiaro chiedi pure. -
Non interruppe mai, nemmeno per un istante il contatto visivo con lei, determinato a non lasciar trapelare la minima esitazione.
- Aspetta, Giorgio, io... -
Venne però interrotta dall'ingresso in pompa magna del vice commissario Salvini, che vedendola le si avvicinò porgendole la mano.
- Eccola qui la nostra vacanziera! Bentornata, agente, sono felice di riaverla in squadra. -
Martina ammutolì e dopo aver lanciato una fugace occhiata a Giorgio, che indifferente spegneva la sigaretta all'interno del posacenere, strinse la mano al superiore.
- Grazie, anche io sono felice di essere tornata... -
Ma la donna non la stava più ascoltando, dopo l'effimera formalità andò dritta verso Ferro, posandogli in maniera confidenziale, una mano sulla spalla.
Giorgio si accorse con la coda dell'occhio che lei era rimasta nella medesima posizione, impietrita, e non curandosene ascoltò ciò che Daniela aveva da dirgli.
- Devo correre in magistratura o farò tardissimo. Barzagli ti ha detto dei rapporti che mi hanno portato ieri sera? -
- So già tutto, vai tranquilla. - rispose lui strizzandole l'occhio
- Bene, allora scappo, ci vediamo più tardi... -
Mentre si dirigeva alla porta si fermò a pochi centimetri da Martina.
- Agente, forse lei ha ancora la testa sul cuscino o chessò... ma qui abbiamo parecchio da fare. Vada a lavorare, ci sono un mucchio di scartoffie da portare in archivio! -
Il suo tono era tagliente e freddo tanto quanto il ghiaccio che colorava i suoi occhi.
Martina, ripresasi dallo shock di quella strana intimità tra lei e Giorgio, si schiarì la voce e dopo aver controllato l'ora le si rivolse in maniera altrettanto piccata.
- Archivierò tutto con molto piacere, dottoressa, ma inizierò a farlo tra un quarto d'ora, ovvero quando comincerà il mio turno! - il tono di scherno arrivò al mittente come una doccia fredda.
Daniela la squadrò da capo a piedi con odio e senza che lui se ne rendesse conto, a Giorgio sfuggì un sorriso.
La sua piccola guerriera...
Ma fu solo un attimo, quello successivo era già tornato ad essere il pezzo di... ghiaccio di poco prima.
- In ogni caso qui hai finito. Bentornata, Bassi, puoi andare a fare colazione se vuoi: lo hai detto, hai un quarto d'ora! - sputò fuori alzandosi, infilando le mani nelle tasche e guardandola con sfida.
Daniela nel frattempo, soddisfatta dal fatto che Ferro non l'avesse contraddetta, aveva lasciato l'ufficio e poi il commissariato con un ghigno compiaciuto stampato in volto: lo stesso che si stava facendo strada anche su quello di Giorgio.
- Stai con lei? - fu la domanda a malapena sussurrata che sentì uscire dalle labbra socchiuse di Martina.
Lui strinse i pugni dentro le tasche e con estrema lentezza la raggiunse, fermandosi a qualche centimetro dal suo viso. Gli fu subito chiaro che quella vicinanza fosse a lei tutt'altro che indifferente e si fece forza di quello stato d'animo: affondando il colpo.
- Credi davvero che io ti debba delle spiegazioni... agente? - chiese a sua volta in un soffio leggero... gutturale.
Il suo sguardo, pericoloso e grave, andò a posarsi su quelle labbra piene e morbide che tanto avrebbe voluto tornare ad assaggiare.
Sentì il respiro di Martina accelerare e colpirlo in pieno il viso con il suo calore.
Fissò con avidità i suoi denti mentre mordevano, in un misto di rabbia, paura e puro desiderio, il labbro inferiore.
Poi tornò a guardarla dritto negli occhi, rimanendo in silenzio per alcuni, interminabili secondi, durante i quali la osservò deglutire più volte.
- I quindici minuti sono passati... - mormorò con voce asettica - Il tuo posto è nella stanza accanto. Bentornata... -
Detto questo si raddrizzò e scuro in volto si diresse alla porta.
Sesto caffè... arrivo!
Ma non fece in tempo a uscire che un giovane agente gli si parò davanti tutto trafelato.
- Ispettore Ferro, venga al telefono. È successo qualcosa a Sestri Levante! -
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