Prologo

Giugno 1764

- E se... - iniziò Spencer con la voce tremante, come se avesse paura di essere interrotto nuovamente.

- No! - Lynch batté per l'ennesima volta il pugno sul povero tavolino, e Peter cominciò a chiedersi quanto avrebbe resistito prima che cedesse sotto la mano massiccia.

- Cosa c'è di male nel tentare? - borbottò Spencer lasciandosi ricadere all'indietro sui morbidi cuscini di lino - Se dobbiamo vincere su queste minacce non dovremmo cominciare da adesso? O vogliamo davvero scagliare questa responsabilità ai Protettori futuri?

- Signore, si rende conto che andare là vuol dire morire? Quelle cose là fuori sono su questa Terra da molto più tempo di noi - entrò in atto Cox, raddrizzando la schiena, rimasta arcuata per già qualche minuto.

- Non possiamo permetterci perdite - la voce profonda di Lynch fece gelare a Peter il sangue nelle vene e lui deglutì, osservano timidamente le minuscole pupille del gigantesco uomo.

- Ma i Mostri... non possiamo continuare così - disse una donna, il cui nome al momento sfuggiva a Peter.

- Ma attaccare vorrebbe dire morire - i grandi occhi di Cox studiarono ogni presente nella sala con furia cieca, e appena Peter avvertì il suo sguardo posarsi su di lui un brivido di terrore gli attraversò la schiena come una scossa elettrica. Cox sbatté indietro la testa, provocando un onda nell'oceano dei suoi capelli corvini -Perché dovremmo morire per una causa così futile?

- Proteggere il mondo le sembra futile? - gli occhi di Spencer si infiammarono -Cosa dovremmo fare, secondo lei?

- Rimanere qui, al sicuro, nel loro mondo non abbiamo alcuna possibilità di vincere!

Peter deglutì. Quando aveva aperto la lettera che preannunciava quella riunione non aveva idea che il tutto si sarebbe trasformato in una lite tumultuosa che avrebbe messo un Protettore contro l'altro, mentre grida e strilli piombavano sulle sue povere orecchie. Credeva fosse una cosa tranquilla, nel quale avrebbero preso un tè in pace e discusso amichevolmente. Avevano già fatto cose del genere, e lui rimpiangeva già il caldo della bevanda che gli scendeva piano giù per la gola, rilassando ogni muscolo del suo corpo... in quel momento gli sarebbe servita una tazza di tè, visto che la sua schiena pareva quasi fatta di legno.

La maggior parte delle persone nella sala non accennava parola da molto tempo, lasciavano parlare Cox, Lynch e Spencer, i quali combattevano una dura battaglia in cui le armi equivalevano alle occhiatacce. Peter Blackburn odiava quel tipo di riunioni, ma, se avesse dovuto scegliere una parte, in quella guerra improvvisata, avrebbe scelto Spencer.

Detestava combattere, ma difendere il mondo che lo circondava era ciò a cui aveva aspirato fin da quando era poco più che un fanciullo, e se ciò significava avventurarsi in un universo parallelo abitato dalla parte malvagia della natura stessa, beh, sperava di avere la stoffa per farlo. Seppur tra tutti i presenti non avrebbe scelto se stesso per l'impresa.

Lo sguardo di Cox, intanto continuava a infuriare sui presenti, dando l'impressione che, in quella saletta decorata da divani lussuosi e lampade a olio nella proprietà degli Spencer, fosse scoppiata una tempesta. In quanto scienziato Peter sapeva che non era possibile, ma dopo aver scoperto il mondo dei Mostri, gli Elementi e ciò che ne conseguiva... aveva dovuto rivedere completamente le sue teorie.

-E lei, Blackburn, cosa ne pensa? - l'arrivo improvviso nel suo nome gli fece correre un vero e proprio lampo attraverso il corpo e un familiare formicolio gli attraversò la pelle. Avvertì il suo corpo cambiare, sapeva che in quei pochi secondi in cui ogni occhio era puntato su di lui, la sua faccia stava mutando, il corpo, cambiando. Sentì i suoi lineamenti appesantirsi come quelli di un vecchio, simile a tutti i presenti in quella sala; e alleggerirsi, come quelli di un bambino, percepì le dita delle sue mani allungarsi in quelle di un estraneo. Ma fu solo per pochi attimi: subito dopo riprese il controllo del proprio Elemento, maledicendo i suoi avi per avergli trasmesso il potere della Forma.

- Ah, i giovani che non sanno controllarsi - Peter sentì varie voci, parlottare sulla sua reazione involontaria e il viso gli si colorò di rosso, ma questa volta l'Elemento non c'entrava niente.

- Essendo scienziato avrà un'idea - continuò Cox ignorando i commenti che riecheggiavano nella stanza.

- Io... - farfugliò Peter, messo in soggezione da tutti quei Protettori esperti, in attesa di una risposta. Prese un lungo respiro, sperando di non inimicarsi tutti i presenti, e parlò:

- Penso che abbiate ragione tutti, chi più chi meno – Lynch e Spencer si girarono uno verso l'altro, dubbiosi, forse chiedendosi come potesse esistere una via di mezzo tra le due idee – Ma, se volete la mia modesta opinione, qualcuno dovrebbe andare in ricognizione per controllare la situazione.

- Lei chi propone per l'impresa, Blackburn? – domandò un uomo calvo seduto su un divano.

Peter sbatté le palpebre, cercando le parole giuste. Ovviamente, non avrebbe proposto sé stesso.

- Beh... - L'uomo tamburellò i piedi sul pavimento. - Credo che il più idoneo sarebbe...

*

...Spencer - brontolò Peter, spostando il ramo di un enorme albero, che però gli rimbalzò in fronte.

Cosa gli era saltato in mente? Era ovvio che se avesse declinato l'incarico a lui se la sarebbe presa. Era il più ricco fra i Protettori, per questo aveva il coltello dalla parte del manico. Si sarà sentito minacciato, per questo non aveva esitato a rigirare la frittata, congedandosi con un freddo: "Per me invece dovrebbe andare lei, Peter Blackburn."

Si era quindi alzato, facendo volteggiare la veste alle sue spalle, e si era ritirato nelle sue stanze, al piano superiore. Dopo un minuto si silenzioso sgomento, le chiacchiere si erano accese, e Peter ne era il protagonista indiscusso.

"Spencer ha ragione"

"Sì, dovrebbe andare Blackburn."

"Ha di sicuro un Elemento potente, se la caverà di certo"


E così ora si ritrovava in quella dannatissima foresta, con quei dannatissimi rami che gli schiaffeggiavano la faccia, e tutto per colpa di quel dannatissimo riccone.

Peter sbuffò mentre l'ennesimo ramo gli finiva negli occhi e lui lo spostava con un gesto nervoso della mano.

Ma per l'amor di Dio! Perché cavolo l'unico portale esistente al mondo doveva essere in una foresta? Qualsiasi altro posto sarebbe andato bene... anche una spiaggia in Spagna. Quanto avrebbe desiderato farsi un bagno fresco al posto di sudare come un matto nel clima mite dell'Italia settentrionale.

Sì, perché alla fine era saltato fuori che questo maledettissimo portale si trovava a miglia di distanza da Londra. Non era bastato che sgobbasse come un mulo per trovare un passaggio decente e attraversare il mare, aveva anche dovuto spendere una fortuna per far sì che un mercante antipatico lo trasportasse su un carretto puzzolente fino all'entrata di un bosco fittissimo e intricato e lasciarlo lì a fissare gli alberi sconsolato.

E poi, per la miseria, come cavolo avrebbe fatto a trovare il portale? Gli avevano detto che era un albero. Certo, albero, ovvio. "Albero" sarebbe andato bene in mezzo ad una pianura secca, dove un tronco massiccio svetta sul nulla... ma doveva essere proprio in una foresta?!

Peter sbraitò mentre un altro ramo gli feriva la faccia e lui avanzava a tentoni nel bosco buio.

La sera stava calando e il sole era ormai scomparso, lasciando posto nel cielo violaceo a qualche rara stella. Camminava già da parecchio e i piedi cominciavano a dolergli, perciò decise di fare una pausa. Togliendosi lo zaino dalle spalle, si sedette sulla terra polverosa, appoggiandosi al tronco di un albero. Il portale doveva essere non lontano da lì, o almeno, questo era ciò che era scritto sul misero foglio che i Protettori gli avevano consegnato. Le informazioni si limitavano al nome di quel bosco dimenticato da Dio scarabocchiato a matita. Beh, lui ora era lì, e se non avesse trovato nessun albero dai poteri strabilianti, la missione si sarebbe conclusa.

Ma la sfortuna lo perseguitava.

Fece per rialzarsi, pronto a rimettersi in marcia, quando la corteccia su stava riposando, si sciolse in una sostanza vischiosa e rovente sotto la sua schiena, facendolo precipitare nel baratro appena creatosi.

*

Era affamata. Lo stomaco gorgogliava e l'acido al suo interno sembrava erodere le pareti dell'organo. Odiava quella sensazione ma, diversamente dagli umani, poteva sopportarla per anni, decenni e anche secoli senza mai morirne. Poteva sopportarlo fino a che non avesse trovato un Protettore da divorare, fino a che non avesse trovato l'occasione per tornare sulla Terra. E il pasto sembrava stare per arrivare, senza che lei facesse il minimo sforzo. Era un periodo di rinascita, i Mostri facevano un libero andirivieni dalla Terra e il loro mondo, senza che nessuno mai li fermasse. I Protettori erano deboli, incapaci di contrastarli, o forse troppo impauriti per farlo. I Mostri più potenti erano già tra gli umani, nascosti, ad aspettare il momento giusto per fare un banchetto pieno di prelibatezze che da molto non gustavano. Ma lei era troppo inesperta per poter andarsene, troppo giovane e troppo incauta. Avrebbe aspettato ancora, e avrebbe saputo cogliere il momento giusto per uscire da lì.

La luce del sole entrò come un faro, illuminando una piccola porzione di prato. Il portale si era aperto. Non era una novità: si apriva ogni giorno, per consentire il passaggio di decine di mostri. Ma quella volta, un piccolo umano vi precipitò dentro, acquistando velocità durante la caduta. Rallentò, appena prima di toccare terra, un effetto della gravità che in quel luogo c'era. L'uomo si accasciò, e subito il Mostro della Mente corse verso di lui, con lo stomaco in subbuglio, speranzosa.

Ma la precedettero. Un' orda di mostriciattoli dell'Aria grandi a malapena come una mano si fiondarono sul corpo dell'umano, strappando e lacerando ogni cosa che incontrasse il loro cammino.

Mentre le urla umane che da anni non sentiva squarciavano il silenzio, lei cercava di farsi strada tra quegli esseri, cercando disperatamente qualcosa con cui sfamarsi.

I Mostri volarono via un po' alla volta, come uno stormo di corvi che aveva appena fatto razzia in un campo di grano, permettendo al mostro della Mente di vedere quello che rimaneva del suo tanto agognato pasto. Una leggera nuvola contenente l'Elemento della Forma si alzò, sparendo dopo poco nell'aria malsana del modo maledetto. Ora, di Peter Blackburn, non rimaneva altro che un mucchio di ossa graffiate dai morsi, e ancora l'eco lontano delle sue grida che imploravano aiuto.

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