Capitolo XI

Sentivo di avere un corpo, ma le fibre erano oscurate dal dolore.

Non potevo muovermi, ogni muscolo del mio corpo era paralizzato.

Ero morta?

Non lo sapevo, ma era probabile. Ero precipitata da un'altezza incredibile. Doveva essere successo un miracolo per sopravvivere.

Non potevo aprire gli occhi, erano bloccati come il resto del corpo da un male tremendo. Ma la mente era attiva, stavo pensando, mi ero svegliata.

Cose era successo? Ricordavo una caduta, l'entrata nell'Albero... era successo davvero? Non era stato tutto un sogno? Questo avrebbe spiegato la mia morte. Ma non mi sembrava di essere morta. Ora che ci pensavo... quelle che sentivo erano voci? C'era qualcuno intorno a me?

Se solo fossi riuscita anche solo ad alzare le palpebre...

Dei raggi di luce tenue irruppero nell'oscurità, i miei occhi esitarono un attimo ad aprirsi e quando ci riuscirono la vista era sfocata. Macchie colorate e informi.

Sentivo la gola secca e un freddo innaturale su tutto il corpo. Il brusio lieve che sentivo nelle orecchie si fece mano a mano intensificandosi. Conoscevo quelle voci, ma non riuscivo a collocarle ad una persona in particolare.

I miei occhi ci misero un po' per mettere a fuoco la scena e una volta fatto la prima cosa che vidi fu un ragazzino dai capelli corti e gli occhi un po' stupidi che mi sorrideva allegro. Aveva la maglietta sporca di terra, ma pareva in perfetta salute.

- Salve! – disse Nicola accucciandosi di fronte a me – Non credevo che ti saresti svegliata così presto: sei messa abbastanza male.

Sbattei piano le palpebre.

Attaccato alla guancia c'era qualcosa di freddo e ruvido che mi pungeva la pelle.

- Ac... acu... - farfugliai scoprendo che quel verso mi comportava un grande dolore.

- Acqua? – chiese Nicola perplesso – Oh, va bene, subito.

Lo vidi allontanarsi e subito dopo lo persi di vista. Dopo pochi secondi tornò con la mia borraccia e Emma accanto a sé.

La ragazza era pallida ma mi sorrise.

- Sono felice che tu stia bene – disse avvicinandosi.

Mi prese per le ascelle mentre scariche di dolore mi percorrevano il corpo e mi mise a sedere sorreggendomi la schiena.

- È un miracolo che tu stia bene – disse Emma – Hai la spalla sinistra storta e dopo Nicola dovrebbe riuscire a mettertela a posto.

Non badai alle sue parole, i miei pensieri erano tutti alla bottiglia che Nicola mi stava portando alla bocca.

Inclinò leggermente la borraccia e il liquido fresco mi scese giù per la gola donandomi un piacere incredibile.

Emma mi rimise sdraiata con delicatezza mentre il braccio sinistro mi pulsava e doleva più forte che mai.

- Bene, ora dovrò sistemarti il braccio. Ti potrebbe fare un po' male e non sono sicuro di riuscirci – disse Nicola, dubbioso.

Successivamente un suono inquietante accompagnato da saette di dolore insopportabile provennero dalla mia spalla.

Non potevo rimanere sveglia, il male che provavo non si poteva descrivere se non con un grido. Mi offuscò la mente e i pensieri e in meno di due secondi era già svenuta.

*

Mi svegliò un grido, forte e deciso. Era una parola, ma in un primo momento non riuscii a capire cosa dicesse; solo dopo un attimo mi resi conto che era il mio nome.

Conoscevo la voce che gridava e non l'avevo mai sentita così spaventata in tutta la mia vita. Una voce che era sempre stata ardente e decisa, pronta a fare qualsiasi cosa e a buttarsi in qualsiasi impresa. Ora era disperata, mentre il mio nome mi riecheggiava nelle orecchie capii di dover aprire gli occhi.

Qualcosa, o qualcuno, mi stringeva in un abbraccio saldo. La maglietta gialla di Ambra mi premeva contro la guancia mentre la ragazza sussurrava ancora il nome "Vittoria", ma più piano di un attimo prima.

- Ambra? – farfugliai rendendomi conto che il corpo ancora doleva ovunque e dire quella semplice parola mi fece bruciare la gola.

- Sì, sono io. Grazie al cielo stai bene – rispose la mia amica mentre il suo viso mi riempiva la visuale. Le guance graffiate e ancora un po' sanguinanti e un livido sulla fronte svettavano sul sorriso allegro di Ambra, bagnato da un paio di lacrime che cercava di nascondere.

La spalla faceva un male pazzesco e una smorfia di dolore mi si formò sul volto mentre provavo a mettermi seduta.

Eravamo in uno spiazzo roccioso alla fine del grande pozzo, circondati da pareti di roccia. Non c'era modo di uscire. Era come essere dentro il Colosseo e tutte le vie di fuga sono state sbarrate.

Intorno a noi c'erano gli altri membri della Squadra.

Sabrina aveva un graffio sanguinante sul braccio sinistro e una brutta ferita sulla coscia e ora farfugliava qualcosa di incomprensibile nel sonno.

Davide zoppicava in giro imprecando per il dolore alla caviglia. Il braccio destro di Clara era stato bendato e ora la ragazza aiutava Emma e Nicola (gli unici due senza ferite evidenti) a sorreggere Simone che aveva un piede fasciato.

- Acqua... - farfugliai ad Ambra.

Lei esitò un attimo, come se non avesse capito il senso di quella parola, ma poi una fiamma guizzò nei suoi occhi e subito dopo si allontanò per tornare con una borraccia verde.

La afferrai con la mano destra tremante e mi sorpresi di riuscire a muovere qualcosa. Mi portai la bottiglia alle labbra e bevendo sembrò che tutto il dolore mi scivolasse via per poi sparire.

- Come... come abbiamo fatto a sopravvivere? – chiesi ad Ambra dopo un'abbondante bevuta.

- Sembra che Nicola, non so come abbia fatto, sia riuscito ad ammortizzare la caduta con cuscino d'aria che spingeva verso l'alto; poi è riuscito a fischiare e ha volato, per miracolo Emma, che era dietro di lui, si è aggrappata alla sua gamba e sono riusciti ad atterrare illesi – disse con un sorriso storto – Noi invece abbiamo avuto qualche problemino, ma siamo vivi e io non credevo di riuscire a sopravvivere a una caduta simile. Nicola è stato molto male per almeno mezz'ora dopo essere atterrato, il mal di testa non lo abbandonava più, quindi Emma ha dovuto occuparsi di noi da sola. È stata molto brava, ha fasciato la caviglia di Davide senza difficoltà, prima che Nicola ritornasse in se e la aiutasse, non che abbia fatto molto, però a quanto pare ti ha sistemato la spalla, anche se credo ti farà un male per un po'. Simone ha una brutta storta alla caviglia, peggiore di quella di Davide, Clara invece ha un osso un po' storto sul braccio e anche se le fa molto male è riuscita ad aiutare Sabrina ad addormentarsi usando una sorta di ipnosi strana che lei sa fare; è molto forte quella roba. Io ho solo qualche graffio sulla faccia e sulle gambe, niente di grave – disse la mia amica illustrando i vari membri.

La cavità era illuminata da varie torce elettriche accese, piazzate in giro e in alto si scorgeva una luce immensa, proveniente da chissà dove.

- Siamo nel mondo dei Mostri? – domandai esitante.

- Non lo so. E, se sì, me lo immaginavo molto diverso – rispose Ambra guardandosi intorno circospetta.

Era stata montata una tenda in centro alla piazzola, dove Nicola e Emma facevano avanti e indietro con bende e viveri. Emma ora era indaffarata con Sabrina che si era svegliata e gridava che le faceva male il braccio e doveva essere portata all'ospedale altrimenti avrebbe chiamato la polizia.

Nicola, invece sorreggeva Simone, che camminava esitante facendo avanti a indietro.

Feci leva con il braccio sano e mi misi barcollante in piedi mentre Ambra mi tendeva le braccia, in modo che potessi appoggiarmi.

Feci una smorfia constatando che avevo un graffio sulla gamba, che probabilmente mi ero fatta all'inizio, mentre ero nel buio.

Mi faceva male ancora tutto il corpo, ma stavo molto meglio di poco prima.

Ehi! Ben tornata fra noi! Lo so che ti fa male tutto, anche io sono nella stessa situazione. Mi sembra ancora incredibile che Nicola ci abbia salvato, questo non toglie che sia un idiota... comunque sono felice che tu ti sia rimessa. Sei stata in coma per almeno due ore dopo che ti avevano sistemato la spalla.

Non vedevo Clara, probabilmente era dentro la tenda. Ma, per una volta, fui felice di sentire la sua voce.

Un freddo incredibile aleggiava tra noi e le mie mani erano gelate come le gambe e la faccia. Avevo addosso solo la giacchetta impermeabile e non riuscivo a scaldarmi. Gli altri avevano addosso coperte e felpe pesanti; l'unica a essere ancora in maglietta era Ambra. Probabilmente il suo Elemento le consentiva di non provare freddo.

Rabbrividii visibilmente e mi strinsi nelle spalle.

- Aspetta, vado a prendere qualcosa di pesante – disse Ambra dirigendosi verso la tenda.

Per pochi secondi rimasi da sola. Osservando impotente Nicola e Emma che, in qualche modo, erano riusciti a prendersi cura di tutti senza perdere il controllo. Ero molto sorpresa del fatto che Emma fosse riuscita a mantenere i nervi saldi. Era molto pallida, ora, che ascoltava paziente le grida di Sabrina che riecheggiavano nello spiazzo.

Guardai Simone. Gli occhi grigi concentrati sulle proprie gambe che muovevano passi incerti sulla roccia. Il cuore cominciò a battermi forte. L'espressione sicura e determinata che gli incorniciava il viso era la cosa più bella che avessi mai visto. La sua semplice vista mi fece tornare un po' di speranza.

D'un tratto il ragazzo si voltò verso di me e mi sorrise. Non c'era traccia di paura nel suo sguardo, era determinato e sicuro di se. Lo ammiravo, lo amavo e quando i miei occhi incrociarono i suoi mi sentii arrossire violentemente per poi abbassare lo sguardo.

Poco dopo Ambra tornò con una coperta di lana che mi lasciò ricadere sulle spalle scosse dai brividi.

- Cosa facciamo adesso? – chiesi ad Ambra.

Lei sbatté le palpebre, pensosa, poi sospirò e si passò una mano tra i capelli, ora sciolti.

- Penso che dovremmo trovare il modo di uscire di qui, ci sarà sicuramente un modo – rispose guardandosi intorno, alla ricerca di qualcosa che solo lei poteva vedere.

- Ma perché siamo venuti qui? – chiesi.

Ambra mi guardò perplessa.

- Intendo dire, se questo posto ce l'ha indicato un Mostro, perché ci siamo venuti? – mi corressi accigliata.

- Un Mostro? Mi vuoi dire che secondo te è una trappola?

- Beh, sì. E ora siamo bloccati. Cosa ci fa credere che questo non sia solo un posto in cui aspettare che i Mostri ci uccidano? – chiesi stringendo le labbra a fine frase.

Ambra mi guardò corrucciata, poi sospirò.

- Non mi avevi detto che era stato un Mostro – mi disse mentre il suo sguardo si allontanava dai miei occhi.

Rimasi a pensare un istante, ma poi la verità fu come una pugnalata.

Era vero.

Non avevo detto ad Ambra del biglietto, l'avevo solo informata sul sogno e poi l'avevo seguita nella strada che lei indicava, ma lei non sapeva fosse sbagliata... al contrario di me.

Non mi ero ricordata di dirglielo.

Ero talmente eccitata dal fatto di aver trovato l'Albero che il bigliettino nero mi era passato di mente. Ma ora sapevo il suo significato. Fu come una scossa, una rivelazione che mi si parò nella mente chiara come la luce. Prima non avevo riflettuto su ciò che poteva celarsi dietro a quelle parole, ma ora la frase mi galleggiava davanti agli occhi, spavalda e sghignazzante, che gridava a gran voce ciò che non ero stata in grado di comprendere:L'Albero di Luce è aperto. Entrate, i Mostri sono lì ad attendervi.

Ecco il vero significato, ecco ciò che mi era stato nascosto, quello che la mia mente non era riuscita a cogliere. Ma ormai era troppo tardi, eravamo entrati nella trappola senza un briciolo di risentimento, perché tutti si fidavano di me, quella che aveva trovato l'Albero, quella che continuava e riservare sorprese inaspettate e meravigliose... ma che alla fine aveva trascinato tutti nelle braccia della morte.

E ora cosa dovevamo fare? Rimanere immobili, attendere che i Mostri venissero a prenderci?

- Mi dispiace – sussurrai verso Ambra. Ma sapevo che quelle parole non ci avrebbero tolto da quel pasticcio. Era tutta colpa mia. Lo sapevo.

- Se Nicola riuscisse a volare potrebbe vedere che c'è lassù – disse Ambra ignorando le mie parole e indicando in alto – Ma dopo lo sforzo che ha fatto, anche solo riuscire a volare sarebbe impossibile.

- Scusa, è stata colpa mia – ripetei stringendo gli occhi e bloccando le lacrime.

- È inutile piangere sul passato. Ormai ci siamo dentro e dobbiamo capire come uscire – disse Ambra evitando accuratamente il mio sguardo.

La ragazza si alzò e si diresse verso la tenda con passo deciso.

Rimasi sola.

Il corpo che ancora doleva dappertutto e, ora, anche l'anima mi faceva male.

Saremmo tutti morti per causa mia.

*

Dopo circa mezz'ora che avevo parlato con Ambra, la luce proveniente dall'inizio del pozzo cominciò a diminuire gradualmente. Come se il sole, là in alto, stesse tramontando.

In poco tempo lo spiazzo fu quasi completamente buio, fatta eccezione per le torce e delle fiamme volanti che Ambra aveva creato per rischiarare il tutto.

Io rimanevo seduta, con la coperta sulle spalle e la colpa di ciò che avevo fatto che mi pulsava nel petto, insieme al cuore che, lo sapevo, entro poco tempo avrebbe cessato di battere.

Il freddo stava aumentando e Sabrina si era chiusa nella tenda con il pretesto di voler accumulare tutto il calore all'interno.

Gli altri camminavano in cerchio, pregando alle gambe ferite di tenerli in piedi, come Davide; oppure, come Clara, stavano leggendo un libro trovato in un qualche zaino; o, come Nicola, mangiavano in silenzio un panino al calore di una fiamma fluttuante; o, ancora, come Ambra, disegnavano con una pietra aguzza sulle pareti del pozzo delle traiettorie strane, che probabilmente stavano a indicare il piano di fuga da lì; o, come Emma, frugavano negli zaini, tentando di accumulare un inventario; oppure, come me e Simone, stavano seduti, immobili, al buio, una sul lato opposto dello spiazzo a quello dell'altro.

Avevo freddo, ma ero felice che fosse scesa la notte, in quel modo il rossore che mi cresceva sulle guance quando Simone mi guardava veniva nascosto dalle tenebre.

Non rimanemmo in quello stato di calma per troppo tempo. Dopo pochi minuti, uno dopo l'altro, ci infilammo nella tenda, sotto le proteste di Sabrina.

Tutti avevamo le mani congelate e battevamo i denti per il freddo gelido e glaciale.

Non farò parola di quello che hai fatto e del guaio in cui ci hai messo. Ma sappi che sono arrabbiata con te quanto lo è Ambra.

L'occhiata accigliata di Clara mi fece percorrere la schiena da un brivido che non aveva nulla a che vedere con il freddo. Lei sapeva quello che avevo fatto, e presto lo avrebbero saputo tutti. Tutti gli sforzi che avevo fatto per entrare nel gruppo sarebbero andati persi con la rivelazione che "Vittoria l'imbecille" aveva condotto la Squadra del Fulmine verso una morte certa.

Mi rannicchiai ancora di più nella coperta mentre una nuvoletta di vapore fuoriusciva dalla mia bocca insieme ad un sospiro.

- Fa freddo qui – sussurrò Emma battendo i denti.

- Oh! Te ne sei accorta! Incredibile – disse di rimando Nicola con un tono acido, forse dovuto all'agitazione.

Emma fece una faccia offesa e mise il broncio.

Nella tenda stavamo stretti, appiccicati l'un l'altro come sardine.

Sentii gli occhi di Simone tagliarmi in due la testa, come se fossi stata colpita da un lampo scaturito dalla tempesta dei suoi occhi. Ero felice di non stare vicino a lui: le guance mi sarebbero diventate talmente rosse che tutti avrebbero notato la sfumatura scarlatta.

Ora ero in mezzo tra Davide e Emma, entrambi con una coperta di lana sulle spalle e i denti che sbattevano all'unisono.

- Ascoltate – iniziò Ambra – dobbiamo trovare un modo per uscire di qui. Chiedere a Nicola di volare è fuori questione, ha già fatto troppo per noi...

- E nessuno mi ha ancora detto "grazie" – farfugliò il ragazzo con le braccia incrociate.

- ...quindi – continuò Ambra, ignorando il ragazzo – dobbiamo trovare un altro sistema. A quanto pare non ci sono uscite da qui e arrampicarsi non è un'opzione. Detto questo direi che l'unica cosa che possiamo fare è tornare indietro nel tempo.

- No! – esclamò Emma con decisione – Non posso! Non ci riuscirò mai! – la sua faccia assunse una sfumatura bianca e i suoi occhi saettarono tra noi veloci come lampi.

- Eppure a me sembra ragionevole – commentò Sabrina con un sorriso – Sicura, cara, di non volerci provare?

Emma scosse energicamente la testa.

- Voi siete matti – disse con una voce stridula – Non lo posso fare.

- Tranquilla – la rassicurò Ambra alzando le mani in segno di resa – Era un'ipotesi, ma visto che non ne sei in grado, è maglio trovare un'altra soluzione prima che...

- Shh! – esclamò Davide alzando un dito. Era attento. Come se, durante la notte, avesse sentito un ladro in casa.

Ci bloccammo tutti. Lo guardammo, in attesa.

Sentii la tensione invadere la tenda mentre passi sinistri e pesanti rimbombavano all'esterno. Ogni secondo parve congelarsi insieme ai respiri affannosi che ci uscivano dalla bocca e rimanevano in aria, sottoforma di vapore, per poi sfumare nel freddo.

Le orecchie di tutti erano tese e tutto quello che riuscivo a sentire, oltre ai passi, era il battito imperterrito del mio cuore.

Nessuno mosse un muscolo mentre l'entità girava lentamente intorno alla tenda con fare misterioso. Qualcuno spense la torcia che illuminava la tenda e, visto che all'esterno avevamo spento tutte le luci, rimanemmo immersi dell'oscurità con la sola compagnia della paura.

C'era qualcosa sullo spiazzo che camminava lentamente, facendo si che, altrettanto piano, il terrore ricoprisse ogni cosa. Avvertivo ansia, tensione, la sicurezza di stare per morire. Quella cosa là fuori... era un Mostro.

Ebbi l'impressione che la paura di solidificasse, che mi bagnasse i piedi, rendendoli freddi, che salisse, inzuppandomi i vestiti. Mossi le mani e in meno di un secondo capii che il rumore di onde che sentivo nelle orecchie, che si era insinuato nei miei timpani, coprendo i passi, non era la mia immaginazione.

C'era davvero dell'acqua che saliva, che stava inondando la piccola tenda di velluto non impermeabile, bagnandoci le vesti e intensificando il freddo che già premeva su di noi con una pressione altissima.

Il grido di Sabrina proruppe come uno sparo nella notte.

L'acqua mi arrivava alla vita e la paura saliva quanto il liquido gelato, mentre dalla mia bocca usciva soltanto qualche gemito soffocato.

- Via! – la voce di Ambra mi esplose nelle orecchie mentre una minuscola fiamma, proveniente dalla sua mano, si accendeva nel buio, illuminando l'uscita della tenda, quasi interamente sommersa.

Uscimmo tutti dall'imboccatura ormai ricoperta d'acqua.

La bocca mi si riempii di freddo quando la testa si immerse e gli occhi cominciarono a bruciare.

Dov'era la luce?

Non vedevo più niente. Avevo solo la certezza che i miei occhi fossero cechi e che l'aria mi era stata privata. Una corrente forte mi sbalzò all'indietro mentre nelle orecchie irrompeva il brusio delle onde.

Mi agitai come una lucertola nella mano di un bambino, cercando un appiglio, un segno, qualsiasi cosa; ma intorno a me c'era solo buio. Quello che invece non c'era, era l'aria.

Avevo fame di ossigeno. Era l'unica cosa che sapevo mentre le mani si agitavano nel vuoto e le narici si riempivano d'acqua.

Scalciai con forza in una direzione imprecisata mentre una forte corrente mi spingeva verso chissà dove. L'acqua mi sommergeva, nelle orecchie c'era solo un fruscio bizzarro e senza significato.

Sentivo i polmoni bruciare mentre i miei occhi scrutavano le tenebre con quella minuscola scintilla di speranza che ancora brillava in me.

Ma non riuscivo più a respirare. L'aria mi era stata privata e ora, senza di essa, sarei morta.

Non avrei sentito nulla, almeno. Sarebbe stato come addormentarsi e non risvegliarsi mai più. Sarei morta con il buio negli occhi, sapendo che il mio Elemento mi circondava. Ma sarei davvero morta? Anche durante la caduta pensavo di morire, ma poi era sopravvissuta. Sarebbe sopraggiunto ancora quel miracolo?

I muscoli di tutto il corpo cominciarono a gemere, lamentandosi dello sforzo del nuoto, implorando il riposo dopo la caduta. Ma non potevo dargli retta.

Mi agitai finché ogni minuscola lucciola in me non fu sovrastata dal buio.

Non c'era più aria in me, come non c'era più speranza. Quella volta sarei morta, ne ero certa.

Chiusi gli occhi, lasciandomi trasportare dalla corrente.

Addio fu il mio ultimo pensiero, prima che le tenebre mi inghiottissero per sempre.

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