Capitolo I
Febbraio 2019
Una lacrima calda mi scivolò giù per la guancia, ma tentai di nasconderla persino a me stessa.
- Piange! - due malefici occhi verdi erano puntati nei miei e irradiavano cattiveria a chiunque avesse osato interrompere il loro compito - Piange! - urlò nuovamente Sabrina scoppiando in una risata acida, seguita dalla coppia di ragazze alle sua spalle - è così patetica!
Mi morsi il labbro, tentando di bloccare un'altra goccia salata che minacciava di sgorgare dagli occhi.
- Guardate Mask, ragazze! Guardatela! Così piccola e stupida da scoppiare a piangere in mezzo ai corridoi! - la ragazza sorrise malignamente, e le due dietro di lei la imitarono.
In realtà quello non era un corridoio frequentato, pochi erano i ragazzi che passavano di lì, ma quei due o tre abitudinari non osavano metterci piede quando Sabrina bullizzava la sua vittima preferita. Infatti, era tutto deserto. Solo noi quattro spiccavamo sull'immobilità di quel luogo. Io, pigiata contro il muro, trattenendo le lacrime a stento; Sabrina, che mi fissava con un ghigno crudele stampato sul viso; e altre due ragazze che le stavano sempre dietro e che ora mi fissavano come un lupo fissa un animale ferito.
- Mask, non riesci proprio a evitare di essere patetica - disse Sabrina spostandomi con durezza una ciocca di capelli dal viso, in modo che risaltassero i miei occhi arrossati - Non capisci proprio niente.
Chiusi gli occhi, sperando che, una volta riaperti, tutto sparisse.
Era sempre stato così ,fin dai primi giorni in cui avevo messo piede in Italia. Nessuno era disposto a fare amicizia con una bambina inglese che nascondeva il proprio volto dietro una tenda di capelli scuri; la mia solitudine aveva invogliato Sabrina e altri bulli a prendermi di mira. Mi prendevano in giro, alcuni mi picchiavano, mi lasciavano orribili bigliettini attaccati all'armadietto e mi prendevano da parte nei corridoi per provocarmi.
Odiavo la mia vita sociale e non volevo che essa si ripercuotesse a casa, infatti non avevo mai parlato seriamente dei problemi con Sabrina ai miei genitori e loro credevano solo che fossi una ragazza solitaria.
Ma in tutti gli anni di elementari nessuno si era avvicinato a me, mi fissavano come fossi un mostro, come se potessi scattare ad ogni istante e azzannare qualcuno. Forse solo una persona, in quegli anni, mi aveva guardato con interesse e curiosità anziché terrore, ma in quel momento i miei pensieri erano lontani da lei.
- Mask, smettila di piangere, è inutile, non mi fai pena. Piantala, Mask, sai anche tu che non serve a nulla: nessuno ti vuole, sei solo uno scarto! - Sabrina scosse la testa, ridendo - Oh, Mask.
"Mask, Mask, Mask!" Basta! Quello era il nome per cui tutti mi conoscevano, era quello che i miei compagni usavano per chiamarmi. E perché, poi? Cosa avevo fatto di male? Perché il coprirsi il viso con i capelli doveva portare al mutamento di nome?
Odiavo Mask. Quella non ero io. Ma nessuno sembrava capirlo, nessuno era disposto a vedere cosa c'era dietro alla maschera di capelli dietro cui mi nascondevo dal mondo, nessuno aveva mai provato a guardare oltre. Tranne forse...
- Ehi, Sabrina! Lasciala in pace! - quella voce forte e decisa rimbombò come un tuono nel corridoio deserto e tutti ci voltammo nella direzione da cui proveniva.
Nell'angolo buio della corsia una figura si fece avanti con passo deciso. Era una ragazza, ma non ancheggiava come la maggior parte delle mie compagne, non tentava in alcun modo di apparire femminile o appariscente. Non era magra come Sabrina, ma nemmeno grassa, e la t-shirt aderente rivelava delle morbide curve. I jeans che indossava erano vecchi e consunti e le scarpe da ginnastica ancora di più. I capelli rossicci erano legati in una coda mal riuscita e le lentiggini punteggiavano la pelle abbronzata, dove due profondi occhi marroni sprizzavano scintille. Ambra.
- Cosa vuoi? - chiese Sabrina in un sospiro, come se per lei quella ragazza non fosse niente di cui preoccuparsi.
- Voglio che la lasci in pace - Ambra fece un cenno nella mia direzione - Non hai il diritto di trattarla così.
Sabrina alzò gli occhi al cielo.
- Silvetti, piantala con questi gesti eroici, sappiamo entrambe che stai solo cercando di fare la figura dell'eroina per puro egoismo e non ti interessa niente di... - mi indicò con disprezzo - Mask.
Ambra sorrise.
- Ah, okay, se io penso solo a me stessa tu cosa sei? Se proteggere le persone vuol dire essere egoisti, trattarle male cosa significa per te?
Sabrina rimase un attimo interdetta e Ambra ne approfittò per fare qualche passo in più verso di me.
- Non avvicinarti! - esclamò improvvisamente una delle due ragazze dietro Sabrina, tendendo una mano verso Ambra.
- Guarda che non mordo - disse quella accigliandosi.
- Silvetti, non fare un altro passo - la avvertì Sabrina.
- Tu lascia stare Vittoria - mi lanciò un sorriso.
-"Vittoria"! - sputò Sabrina - Perché usi quel nome? Tutti la chiamano Mask!
Ambra alzò gli occhi al cielo.
- Se tutti dobbiamo avere un soprannome posso anche chiamarti "Idiot", non ti pare? -disse. Ormai era a solo un metro da me e tra noi stava Sabrina.
- Basta! Tornatene indietro! Lei si merita quello che le sto facendo! - gridò Sabrina in faccia ad Ambra, che non si scompose minimamente.
- Facciamo un'altra volta, okay? - non le diede neanche il tempo di rispondere. Fece passare il braccio intorno a Sabrina e mi afferrò la mano per poi strattonarmi verso di se e iniziare a correre verso l'estremità illuminata del corridoio.
Io la seguii, con ogni atomo del mio corpo che irradiava gratitudine e le urla di Sabrina ormai un ricordo lontano.
*
- Ti va di venire a una pizzata stasera? Ci siamo io e tre ragazze - mi chiese Ambra, la mia unica amica, appena dopo la fine della scuola.
Io battei le palpebre, fissandola perplessa. Sapeva che non mi piaceva stare insieme a delle sconosciute e non riuscivo trattenere una conversazione con un estraneo per più di due secondi, ma allora perché me lo chiedeva?
- Sai, non sono brava a comunicare - le dissi abbassando lo sguardo.
- Lo so, ma se continui a evitare di stare con altre persone non capirai mai come si comunica, no? - sorrideva.
Scossi la testa.
- Non ce la farei, lo sai.
Ambra ci pensò un attimo.
- Facciamo così: se vieni, poi rimani a casa mia a dormire.
La fissai dubbiosa.
- Solo noi due?
- Solo noi due.
Ci riflettei un secondo, poi scossi nuovamente il capo.
- Smettila di incitarmi a fare cose che non voglio - le dissi sistemandomi lo zaino sulle spalle.
- Dai, Vittoria, ti prego. Ci sono io, ti aiuterò.
- Non mi lascerai in pace finché non accetto, vero?
Mi sorrise malignamente.
- Mi conosci troppo bene.
Sospirai, e sapendo sarebbe stata una pessima serata, accettai la proposta.
*
Che cavolo mi è saltato in testa?! Mi chiesi quella notte del 23 febbraio mentre tre ragazze vestite praticamente uguali si sedevano al tavolo della pizzeria, parlando animatamente.
Era previsto che sarei stata buona e zitta per tutta la durata della cena, ma ogni secondo passato lì mi sembrava irrimediabilmente lungo e fatidico.
Le chiacchiere che animavano il tavolo mi sembravano provenire da un mondo parallelo, un universo a cui non appartenevo e per me inaccessibile. Anche Ambra, alla fine, dopo aver provato a farmi entrare nel discorso un paio di volte aveva rinunciato e ora parava allegramente con quelle tre ragazze di discorsi a me sconosciuti e incomprensibili.
Nemmeno una delle tre provò neanche un momento a rivolgermi la parola. Avevano accettato di invitarmi alla serata giusto perché lo voleva Ambra, ma sapevo che nessuna avrebbe mai accettato che Mask si sedesse al loro tavolo.
Mangiai in silenzio, mantenendo lo sguardo appiccicato al piatto e tentando di pensare a cose belle, come il divano, i libri, una tazza di tè, Londra, la mia città... per un attimo fui di nuovo lì, da piccola, a osservare il Big Ben che si stagliava maestoso sul cielo grigio fradicio di pioggia. Mi vidi bambina, all'asilo, lì avevo amici, nessuno mi trattava come uno scherzo della natura, lì avevo ancora i capelli corti, non avevo bisogno di nascondere il mio volto, non avevo bisogno di una maschera. Ma poi il momento finì e io tornai seduta a quel tavolo nella periferia di Milano, dove anche l'unica amica che avevo mi stava ignorando.
La guardai. Ambra stava ridendo per qualcosa che aveva detto una delle ragazze, sembrava felice e spensierata, sembrava si fosse dimenticata di me.
Allora abbassai di nuovo lo sguardo sul piatto, dove un'ultima fetta di pizza aspettava pazientemente di essere mangiata.
In quel momento, mentre stavo per prenderla e darle un morso, un brivido gelido mi si arrampicò su per la schiena e io mi immobilizzai.
Qualcosa stava per accadere, me lo sentivo. Avvertivo la frenesia nell'aria, percepivo che qualcosa, lì presente, non avrebbe dovuto esserci, come se fosse nel posto sbagliato.
Mi diedi della sciocca, perché l'unica persona che non avrebbe dovuto trovarsi lì ero proprio io.
Ma poi un altro brivido rincorse il precedente e le mani mi si gelarono. C'era qualcosa nell'aria, lo sapevo. Sentivo una strana tensione, come se un filo troppo teso stesse per spezzarsi all'improvviso.
Ambra, che per tutto il tempo aveva continuato a ridere e parlare come se niente fosse, si bloccò a metà parola e nei suoi occhi passò un'ombra di terrore, ma fu solo per un secondo, un attimo dopo riprese a parlare tranquillamente senza nessuna esitazione.
Stavo per chiederle se qualcosa non andava, quando un terzo fremito mi attraversò la spina dorsale e il mio corpo si gelò.
- Bene - disse in quel momento Ambra dando una sbirciata al proprio orologio da polso - Credo sia tardi, ragazze. Io e Vittoria dobbiamo camminare fino a casa e ci vorrà un po', quindi meglio se ci mettiamo in cammino - si alzò in piedi e lo stesso fecero le altre.
Una volta pagato il conto uscimmo tutte nell'aria frizzante della sera.
Ambra salutò calorosamente le sue amiche, che, una volta rivolto un forte "Ciao, a domani!" si voltarono e sparirono nel buio.
Ambra mi sorrise, ma era un sorriso forzato.
- Come è andata la serata ?- mi chiese per rompere il silenzio.
- Bene - mentii, ringraziando il cielo che quella pizzata fosse finita.
Mi è sempre piaciuta la notte: il freddo che cala all'improvviso e il buio che ricopre ogni cosa. Ma quella sera non riuscii a sentirmi a mio agio ancora per molto: dopo solo due minuti di cammino un altro brivido gelato mi attraversò il corpo e io mi resi conto di avere paura.
Avvertivo come una presenza che seguiva ogni mio minimo movimento, che mi guardava, spiava, voleva.
Deglutii cercando di convincermi che quella che sentivo fosse solo stanchezza. Ma poi vidi un'ombra passare nel mio campo visivo, veloce come un proiettile. Sembrava una figura umana, ma veloce, troppo veloce per essere reale, ma io l'avevo vista. Fu quella sicurezza a mettermi paura.
Cominciai a sudare freddo, con le mani scosse dai fremiti e gli occhi che scrutavano il nulla, come a voler trovare il pericolo. Un pericolo che sembrava non esistere.
Ero carica di una paura strana, nuova. Il terrore era esploso dentro di me in un frammento di istante, irradiando dal petto un lampo gelido in tutto il corpo. Ora vedevo figure dappertutto, occhi che mi guardavano minacciosi, pronti a balzarmi addosso. Ebbi la sensazione che il mondo intorno a me non fosse più reale, che ogni cosa fuori e dentro di me avesse cambiato consistenza, avesse mutato la sua forma, i suoi lineamenti, che fosse diventata l'opposto di quello che era in origine.
Il respiro mi si fece affannoso, i pensieri bloccati dalla panico.
Anche Ambra aveva cambiato espressione. Era spaventata, esattamente come me, sapevo che anche lei aveva visto quella figura nera che per un attimo aveva oscurato i miei occhi, ricoprendoli di buio.
- Scappa – sussurrò Ambra mentre le sue pupille si piantavano nelle mie. In quel momento una fiamma dorata li attraversò, ma io ero troppo impegnata per badarci.
Infatti non me lo feci ripetere. Le mie gambe cominciarono a muoversi da sole, dirette verso la casa della mia compagna che era a pochi isolati da lì. La mia amica mi stava dietro, diretta, come me, verso un posto sicuro, un posto dove le ombre non prendono vita e tutto e ricoperto dalla luce di una lampada di vetro.
Casa!
La casa di Ambra era lì, davanti a me. La mia amica, con movimenti sicuri, tirò fuori delle chiavi dalla tasca della giacca e spalancò la porta.
Dentro era buio e mi pareva quasi di sentire il respiro dei suoi genitori che dormivano.
Quatte quatte salimmo le scale per poi entrare in camera di Ambra, richiudendoci la porta alle spalle.
Tutta l'ansia e l'adrenalina di un attimo prima erano svaniti, lasciando il posto ad un fiatone incredibile.
Ambra sembrava stanca, molto più di me, come se avesse nuotato controcorrente per tutto il tragitto.
- Che cos'era? –chiesi una volta sicura che la mia amica avesse chiuso la porta della stanza.
- Ombra – rispose lei più seria di quanto l'avessi mai vista.
-Ma l'ombra è... – dissi, ma poi la voce mi si mozzò. La paura di un attimo prima era calata di colpo e mi venne il dubbio di averla mia provata.
- No... non era... - Ambra scosse la testa poi incrociò i miei occhi ed ebbi l'impressione che le sue pupille prendessero fuoco, ma poi l'attimo cessò.
- Non capisco – dissi confusa.
- Credi ai Mostri? – domandò Ambra inaspettatamente.
Mi sembrò una richiesta strana.
- Ahm... è una domanda a trabocchetto? – chiesi con gli occhi stretti.
- Vittoria, non sto scherzando, è una cosa seria. Credi ai Mostri? – i suoi occhi ebbero di nuovo un bagliore infuocato.
- No – risposi con sincerità – I mostri sono una cosa per spaventare i bambini.
- Non sto parlando di quei mostri. Sto parlando di creature fuori da ogni immaginazione umana. Esseri pronti ad uccidere pur di avere il potere. Possono rovinare la vita di chiunque, ma la mia e la tua adesso sono in pericolo. Più in pericolo di qualsiasi altra! – gli occhi di Ambra questa volta brillarono davvero ed io sbattei le palpebre, credendo di avere le allucinazioni, ma non appena lo ebbi fatto la fiamma era svanita.
- Ti senti bene? – le chiesi, seriamente preoccupata.
Ambra si passò una mano tra i capelli già spettinati dalla corsa.
- Credo di sì. Ma ormai non lo so più – sospirò, poi si rivolse a me e i suoi occhi scintillarono nuovamente – Quello che sto per farti vedere potrebbe totalmente sconvolgerti. Dico davvero, non urlare – non l'avevo mai vista così seria e in ansia.
- Ma sei sicura di stare bene? – le chiesi preoccupata - Di cosa stai parlando? Mostri... vite in pericolo... uccisioni istantanee... questa roba non ha alcun senso. E si può sapere cosa vuoi farmi ved... – mi bloccai, gli occhi mi si spalancarono, poi io... gridai.
Un grido vero, carico di terrore. I capelli di Ambra avevano preso fuoco.
Un fuoco reale, che ora ballava sopra la sua testa, invadendo la stanza di un calore immenso. La luce che derivava dalla fiamma era surreale, impossibile da descrivere.
Gli occhi di Ambra presero a brillare, più di qualsiasi stella, come se all'interno di essi ci fosse riflesso il nucleo del Sole.
Ma la sua espressione era tranquilla. Sorrise davanti alla mia faccia spaventata e si avvicinò l'indice alla bocca per farmi tacere, poi, com'erano arrivate le fiamme svanirono lasciando i capelli di Ambra intatti come un attimo prima. I suoi occhi tornarono del loro colore originario e il calore nella stanza svanì così in fretta da farmi venire i brividi dal calo improvviso di temperatura.
La mia bocca era spalancata ma Ambra si limitò a sorridere beffarda.
- Capisci di che parlo, ora? – mi chiese mentre il suo sorriso si mutava nell'espressione seria che aveva avuto per quasi tutto il tempo.
- No – risposi con un filo di voce, ma poi sentii la gola esplodere dalla voglia di urlare – Ma cos'era quello?! – gridai totalmente sgomenta.
- Quello era il Fuoco, il Fuoco che arde nel mio petto fin da quando sono nata – rispose Ambra – ho dei poteri, lo capisci, Vittoria? Controllo le fiamme come niente, evoco incendi dal nulla e li spengo con altrettanta facilità. È un dono che nessuno può vedere, nessuno si accorgerà mai che sono io la responsabile di tutto questo tranne poche persone, persone che a loro volta hanno delle abilità speciali, persone che sono destinate a sconfiggere i Mostri.
- Cosa?! – chiesi sconvolta.
- Vittoria, anche tu hai dei poteri, anche tu hai il compito di proteggere il mondo da queste minacce...
- Quali minacce? – domandai mentre il cuore mi martellava imperterrito nella gola.
- Te l'ho già detto: Mostri! Sono Mostri! Non potevo nasconderti la verità ancora a lungo, sapevo che avrebbero scoperto che sei la protettricede ll'Ombra e allora avrei dovuto spiegarti tutto.
- Ombra?! Vuoi dire che io posso controllare le ombre come tu... insomma... hai poteri sul fuoco? – chiesi con ancora qualche goccia di angoscia nella voce.
- Sì, questa è la mia ipotesi.
- Ma chi sono i Mostri? Che cosa vogliono da te... da noi?
- Ogni Mostro è collegato a un Elemento, ogni Mostro ha sembianze diverse e abilità differenti.
- No, questa cosa non ha senso! – strillai senza preoccuparmi del fatto che stavo svegliando tutto il vicinato – I mostri non esistono! Eppure la tua testa ha preso fuoco ed io mi sono ritrovata in mezzo a tutto questo! Adesso mi sveglierò. Questo è solo un brutto sogno.
- Mi dispiace deluderti, ma è tutto reale. Vittoria, ascolta, lo so che è difficile da credere ma è la verità! Ci sono creature, là fuori, pronte a ucciderci! – replicò Ambra indicando la finestra – Devi imparare ad accettare la realtà. Anch'io ho faticato tanto per capire che...
- Fallo – la interruppi – Fallo di nuovo, quello che hai fatto prima – dovevo essere sicura che quello che avevo visto fosse reale.
Ambra sospirò.
- Ho usato gran parte della mia energia in quello, non posso evocare due fiamme così grandi in un breve lasso di tempo. Posso farne una più piccola, ma poi... - scosse la testa con gli occhi serrati. Poi li riaprì e mi guardò – Mi prometti che non griderai?
Annuii piano.
- Senti, potrei svenire per lo sforzo quindi se crollo addormentata non preoccuparti, è normale – aggiunse Ambra con un sorriso triste.
Stavo per ribattere, dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma prima che potessi anche solo aprire la bocca, la mano di Ambra aveva preso fuoco.
Le fiamme giravano rapide intorno alla pelle senza neanche sfiorarla, il calore che quella fiamma evocava era incredibile, quasi ipnotico.
Non gridai questa volta, ma rimasi a fissare le fiamme dorate che si attorcigliavano in ghirigori sempre più piccoli mentre le occhiaie di Ambra diventavano sempre più evidenti. All'improvviso le fiamme si spensero e Ambra crollò sul pavimento accartocciandosi su se stessa.
Rimasi a fissarla per un po', accasciata a terra, mentre il suo petto si alzava e si abbassava a ritmo regolare e nella mia mente prendeva forma quello che avevo appena visto e sentito. Quello che era successo era senza la minima traccia di senno, cercai invano anche un minuscolo frammento di ragione in ciò che era accaduto, ma poi mi abbandonai all'idea che il mattino dopo mi sarei svegliata, scoprendo che nulla di quella sera era reale, mi sarei ritrovata nel mio letto e avrei riso di quello strano sogno insieme alla Ambra della realtà. Sì, sarebbe andata sicuramente così.
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