Shadows

Le erano sempre piaciute le foglie, soprattutto quelle rossastre e poco ingiallite, quelle accartocciate come un foglio di carta buttato da parte; quelle morte, che avevano avuto la forza di staccarsi dalla vita, o che semplicemente erano state costrette a lasciarla.
Si ritrovava spesso a guardarle nei pomeriggi autunnali, quelli dove tutto era marcio, freddo, eppure colorato di colori così caldi, temprati dai tiepidi raggi del sole opaco dietro alle nuvole.
Si ritrovava spesso a desiderare di essere una foglia accarezzata dai tiepidi raggi, e di poter cadere così dolcemente a terra, fino a non sentire più niente.
Aveva sempre pensato che la vita di una persona fosse legata a quella di una foglia e che, ogni volta che un essere umano stesse abbandonando la propria vita, una foglia stesse facendo la stessa cosa con il suo ramo.
Si chiedeva spesso quando la sua foglia avrebbe lasciato il suo ramo.
Il motore dell'auto borbottava costringendola a togliere la testa dal finestrino.
Guardava annoiata le due persone che stavano di fronte a lei parlare di cose che non la interessavano minimamente: le foglie erano molto più interessanti.
Si sistemò meglio le cuffie sulle orecchie e alzò il volume di Beethoven.
Si era chiesta più volte, durante il viaggio, qual era il senso di trasferirsi in Scozia: aveva diciannove anni, avrebbe potuto rimanere in America, e invece si ritrovava in una piccola auto mentre percorreva strade scozzesi sconosciute. Forse, alla fine, la paura di rimanere sola aveva vinto.
Tornò nella sua posizione iniziale ma un senso di nausea l'assalì.
Schiacciò la testa sul sedile e si sciolse i capelli per cercare di allentare la morsa che in quel momento le opprimeva la testa.
La nausea non l'abbandonava quindi iniziò a canticchiare una canzone: da piccola, quando aveva il mal di macchina, chiedeva sempre al nonno John di alzare il volume della musica. Si metteva a cantare a squarciagola con il polso fuori dal finestrino... E come per magia la nausea passava.
Pensava che la musica avesse un effetto curativo su di lei, e forse anche su tutto.
Pensava che la musica li avrebbe salvati...

• • •

'Mamma?'
'Si Cath?'
Una bambina dalle lunghe code castane stava indicando un punto, un po' più distante dalla strada in cui si trovava.
'Papà quando arriva?'
'Cath...' La madre era mortificata, ora come le diceva che papà non sarebbe venuto, di nuovo?
'Sorpresa!'
'Papà!'
La bambina corse tra le braccia del padre, mentre la donna che l'aveva messa al mondo guardava la scena stupita: non si aspettava di vedere il marito.
Il viso le s'increspò in un grande sorriso.
'Ti ho portato un regalo.'
'Davvero?'
Gli occhi della piccola Cath s'illuminarono, scossi da una luce piena di gioia e curiosità.
Era raro che il padre le facesse dei doni, soprattutto in questo periodo.
Ma forse non si era dimenticato del suo compleanno.
Le mani grandi dell'uomo tirarono fuori da dietro la schiena un palloncino.
La piccola Catherine avrebbe voluto piangere dalla gioia.
Il suo primo regalo nei suoi pochi sette anni.
Finalmente non aveva sprecato tutti i soldi: il padre aveva una dipendenza dal gioco da un sacco di tempo, era sommerso dai debiti.  Era malato di una malattia che non si poteva curare, che aveva portato tutta la famiglia sul lastrico.
Un regalo era una cosa quasi impossibile, si poteva dire che fosse quasi un miracolo.
Catherine prese il palloncino tra le mani, felice di avere finalmente qualcosa di suo.
Era il suo momento felice, destinato a trasformarsi in un momento di puro orrore.
Un colpo di pistola rimbombò nella notte, subito seguito dallo scoppio del palloncino.
Il padre si girò di scatto vedendo due uomini incappucciati.
'Stan, siamo stanchi. O ci dai i nostri soldi, o per te e la tua famiglia non ci sarà più la vista del cielo stellato.'
'Papà, ma chi sono questi tizi?'
Frignò la bambina che, messasi a piangere per il suo palloncino, si era nascosta dietro alla gonna ampia della madre.
Sentì altri tre colpi, e poi non sentì più nulla.
Quando Cath riprese i sensi, trovò i suoi genitori vicino a lei, caduti a terra nel tentativo di proteggerla.
'Mamma? Papà? Potete svegliarvi ora!'
Non ci fu risposta.
'Mamma!'
La bambina, ormai già in lacrime, corse a stringere la mano della madre.
'Papà.' Singhiozzò stringendo la mano fredda di Stan.
Iniziò a cantare, convinta di poter curare il male che stava uccidendo i suoi genitori.
'And I love you, with all of my heart...'
La voce le si ruppe in un pianto spezzato dai singhiozzi. Tremò finché non si addormentò sull'asfalto.
Il padre era malato di una malattia non curabile, che aveva portato la sua famiglia alla morte.

• • •

Al suo risveglio ero su un letto d'ospedale, circondata da flebo e visi sconosciuti.
È lì che conobbe Bob e Richard, gli assistenti sociali.
"Catherine? Mi stai ascoltando?"
"Si..." No, non lo stava ascoltando.
"Ti ho detto che stiamo arrivando."
Catherine sbuffò irritata appoggiandosi nuovamente al sedile.
"Ti ricordi che cosa avevamo detto?"
Spense la musica, rassegnandosi al fatto che non sarebbe mai riuscita ad ascoltare i propri pensieri.
"Si Richard: non devo urlare, non devo scalciare e devo fare amicizia con i bambini nuovi..."
La risata grassa di Bob rimbombò nell'auto, seguita da uno sbuffo esagerato da parte di Richard.
"Non quello che ti abbiamo detto dodici anni fa, quello che ti abbiamo detto ieri."
Le si dipinse un largo sorriso sul volto:"Devo sorridere ed essere cordiale. E non devo fare l'asociale con le cuffie sulle orecchie."Recitò da brava ragazza mordendosi la lingua per non ridere.
"Brava, vedrai che andrà tutto bene, dopotutto lui è tuo zio..."
Si, uno zio che non ho mai conosciuto e di cui non sapevo nemmeno l'esistenza... Se la mamma non me ne aveva mai parlato ci deve essere stato un motivo.
Pensò piena di risentimento.
Guardò nuovamente fuori dal finestrino per vedere ergersi l'enorme edificio che presto sarebbe diventato la sua nuova casa, di nuovo.
Bob e Richard stavano bisticciando sui colori dei capelli di Beyoncé, facendole tornare subito in mente la prima volta che li aveva visti.
Era una bambina piena di orrore negli occhi e incubi sulle labbra, ma vedere quei due l'aveva subito tranquillizzata.
Anche mentre le parlavano per la prima volta, avevano bisticciato. Ma si vedeva subito che si volevano un gran bene.
Li aveva incontrati più volte durante gli anni, troppe per dimenticare il loro volto e la loro risata, anche se questa sarebbe stata l'ultima.
Dopo la morte di nonno John, padre di Stan, il parente più prossimo era il fratello della madre, zio Rudolf, che viveva ad un oceano di distanza da dove abitava lei, in una villa dove sua madre aveva vissuto tutta la sua infanzia:
sarebbe diventata come lei? Se lo chiedeva spesso, ma non riusciva mai a trovare una risposta.
Aveva dovuto fare le valige e trasferirsi in Scozia: nuova vita, nuovi amici, nuovo tutto.
Di nuovo.
Ripensò a Mag, la sua migliore amica e alle sue ultime parole:"Se non mi chiami ogni giorno giuro che vengo in Scozia e ti taglio le mani!"
Seguite da uno dei suoi affettuosissimi abbracci. Le sarebbe mancata tanto. Era l'unica che sapeva del suo passato e che nonostante ciò non le aveva voltato le spalle.
"Bene, Catherine, siamo arrivati."
Parcheggiarono l'auto in un ampio viale ai piedi di una casa troppo grande per una persona sola.
Si chiese cosa se ne facesse Rudolf di tutto quello spazio.
Aprì la portiera e face sbattere le converse sulla ghiaia del vialetto. Avrebbe preferito rimanere chiusa in macchina, con le cuffie e la musica.
L'aria scozzese era fredda e l'aveva costretta a stringersi di più nel cappotto di lana.
"Catherine, questo è tuo zio Rudolf."
Bob batté la mano sulla spalla di un uomo alto e snello, stempiato e con l'inconfondibile espressione tipica della madre.
Le si strinse il cuore. Avrebbe dovuto vivere ogni giorno, fino ai suoi prossimi ventun'anni, con lei davanti. Scese dall'auto di malavoglia.
Ma poi qualcosa attirò la sua attenzione.
Si girò appena e con la coda dell'occhio riuscì ad intravedere un'ombra, ma non ne fu sicura.
Decise di fare finta di niente per evitare di fare la figura della strana: l'unica cosa che le mancava era finire in un manicomio. Almeno il primo giorno doveva fare una bella impressione, essere educata, e cercare di instaurare un bel rapporto.
Abbracciò Richard mentre Bob portava la sua unica valigia dentro la sua 'nuova' casa.
"Abbi cura di te, Cath. Per qualsiasi cosa puoi chiamarci, lo sai."
Catherine chiuse gli occhi e assaporò il suono di quelle parole, Richard non la chiamava mai Cath: diceva che era poco professionale, e che la faceva sembrare una bambina sprovveduta.
Una lacrima solitaria di nostalgia prematura le rotolò sullo zigomo. Aprì gli occhi per scacciarla, ma l'ombra fece di nuovo la sua apparizione.
La stava guardando. Non stava guardando gli altri. Guardava Catherine, dritto negli occhi.
Tutto il sangue che le scorreva nelle vene si raggelò.
Urlò costringendo tutti quanti a girarsi.
"L'avete vista vero?!" Richard le lanciò un'occhiataccia, mentre Bob abbassò lo sguardo, come se si fosse arreso.
"Non sono pazza! C'è qualcosa laggiù!" Cercò di ribadire puntando il dito verso il punto interessato, con poco successo.
"Non c'è niente lì, Catherine." La voce profonda di Rudolf la richiamò.
La ragazza si girò a guardare nella direzione in cui il proprio dito puntava, e vide solo foglie cadere.
Dell'ombra non c'era nessuna traccia; era scomparsa come aveva fatto la sua apparizione: improvvisamente.
"Scusala, Rudolf, a volte è un po'... Strana. Le piace molto attirare l'attenzione..." Disse Richard mortificato, dandole un colpetto con la spalla mentre continuava a giustificare il suo comportamento da 'orfana' con discorsi da psicologi.
"Si, sono solo strana e scandalizzata dalla morte dei miei genitori..."
Mormorò amaramente massaggiandosi il punto colpito.
Aveva già cominciato in malo modo la sua permanenza in Scozia: Fantastico, pensò gettando lo sguardo sulle pareti della casa.
"Ora salutali, Catherine. Tra poco ceniamo." Rudolf le rivolse la parola per la seconda volta, solo che questa era una richiesta molto più sofferta.
"Ciao Bob, ciao Richard. Vi voglio bene." Disse abbassando la testa. Odiava gli addii, e non riusciva proprio a guardare in faccia i suoi due migliori amici.
"Anche noi te ne vogliamo Cath." Disse Bob, prima di andarsene. Richard si limitò a lanciarle un'occhiata veloce:"Comportati bene", le diceva. Annuì impercettibilmente.
Alzò lo sguardo solo per vederli lasciare il lungo viale della villa, e poi scomparire tra gli alberi.
Si girò verso il nuovo coinquilino, cercando un sorriso di conforto, o almeno un cenno di affetto: si aspettava il solito sorriso amareggiato, ma vide solamente il corridoio che portava all'interno della casa, lasciato scoperto dalla porta in legno massiccio decorato.
Fece un sospiro, entrò sull'uscio e si girò per chiudere la porta. Non resistette e guardò un'ultima volta nella direzione dove c'era l'ombra, prima di scomparire anche lei all'interno dell'abitazione.
Vide solo foglie cadere.

• • •

Nuova storia? Si.
Avevo intenzione già da un po' di scrivere una nuova storia su qualcosa di diverso e
la storia di Catherine è una diversa dalle altre.

Cos' era quell'ombra? Perché solamente lei riesce a vederla? Cosa si nasconde dietro l'immagine di zio Rudolf?

Benvenuti nel mondo del paranormale.

Spero che la storia vi interessi, se volete che continui lasciate pure un commento, o anche solo una stellina se come inizio vi piace :)

❤️

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