8. Segreti e bugie PART 2
Alice ricordava perfettamente il giorno in cui aveva acquisito i suoi poteri, o meglio, il giorno in cui i poteri si erano manifestati. Accadde quando Annie e sua madre... Il giorno del suo compleanno. Quando scoccò la mezzanotte iniziò ad avvertire un forte mal di testa, più forte di qualunque dolore mai avuto. In principio pensò fosse dovuto alla situazione. Insomma, le avevano appena comunicato che aveva perso la sua famiglia, era normale provare un certo tipo di dolore. Ma capì che si trattava di qualcosa di diverso quando iniziò ad avvertire strane sensazioni. Sensazioni che non le appartenevano. Era questa, scoprì, la causa della fitta lancinante alle tempie, perché non appena Nadia la portò a casa, il dolore si alleviò, almeno quello fisico. In realtà, Nadia fu costretta ad accompagnarla immediatamente a casa, perché all'improvviso, alla stazione di polizia dove le avevano portate, gli oggetti avevano cominciato a volare senza alcun motivo spiegabile razionalmente.
Solo successivamente capirono cosa era accaduto, nonostante sembrasse decisamente assurdo. A quanto pareva, era Alice la responsabile di tutto ciò. Il mal di testa, dovuto alle troppe emozioni avvertite intorno a lei, l'aveva fatta impazzire fino a manifestare la telecinesi.
Oh, sì. Dal suo diciottesimo compleanno Alice era empatica, telecinetica e poteva modificare la memoria a breve termine di chiunque.
Così aveva preso al volo gli occhiali di Janet il primo giorno di scuola e le aveva rubato il fascicolo il secondo; così aveva indotto il preside a far sparire la sua cartella; così aveva intenzione di continuare a operare affinché tutto andasse per il verso giusto: a suo piacimento.
Non troppo, però. In tutto ciò, c'era solo una piccola, insignificante controindicazione: se avesse usufruito dei poteri troppo intensamente in un periodo ristretto di tempo, avrebbero anche potuto ucciderla.
Come faceva a saperlo? Il giorno dopo la scomparsa di Julie e Annie, Alice era disperata, in preda al panico. Passò l'intera giornata a distruggere la camera della madre, dopo aver cacciato Nadia di casa. Sì, era leggermente impazzita.
Così, frugando nella sua roba trovò una serie di diari. Erano sistemati in ordine crescente, dal suo anno di nascita. Alice non riuscì a leggerli tutti – anzi, non volle farlo per principio, non le importava delle menzogne scritte dalla madre – ma trovò presto qualcosa di interessante. Notò istantaneamente che mancava quello dell'anno corrente, così mise a soqquadro l'intera stanza, rovistando ovunque, finché non avvertì qualcosa di strano. Una sensazione.
C'era qualcosa che non riusciva a vedere, qualcosa di nascosto che la attirava nella sua direzione. Alice seguì quella sensazione fino al quadro che ritraeva lei e Annie, un ritratto che Allie odiava, commissionato dalla madre anni prima, dietro il quale trovò una piccola cassaforte. Ovviamente non aveva idea di quale potesse essere la combinazione, si potrebbe dire che non conosceva affatto la madre. Ma un pensiero particolare la sfiorò, e non per opera dei suoi poteri.
Digitò la propria data di nascita e la serratura scattò, aprendo all'istante la cassaforte.
Allie lo immaginava, e odiava sua madre per questo, tra le tante cose. Aveva sempre amato lei più di sua sorella, lei che non lo meritava affatto. Alice aveva sempre tutto ciò che desiderava; nonostante Julie non la degnasse di uno sguardo, non le faceva mancare mai niente. Mentre invece trascurava Annie, a volte fingendo addirittura che non esistesse.
Alice sapeva che sua madre odiava Annie per via del padre, ma Julie dava la colpa a lei quando l'unica a dover biasimare era se stessa. Ma no, lei era troppo orgogliosa e narcisista per farlo – Alice la odiava anche perché aveva ereditato da lei certi aspetti del suo carattere.
La cassaforte conteneva solo un piccolo quaderno, che Allie scoprì essere il diario mancante. Quello che trovò al suo interno bastò a calmarla per un paio di giorni – in realtà non era affatto calma, ma non riuscì comunque a proferir parola per quarantotto ore.
Rimase a dir poco scioccata da ciò che lesse in quel diario, comprendendo assolutamente il motivo di quell'azzardata misura di sicurezza. Provò anche in quel caso uno strano senso di sollievo, ma solo perché capì che forse non era pazza – e tantomeno un alieno di Visitors.
«Ci siamo», diceva la prima pagina del diario. «Oggi è il primo giorno del nuovo anno, anno in cui Alice potrebbe acquisire il dono».
"Il dono" lo chiamava Julie. Alice non lo sentiva affatto tale.
Continuò a leggere finché arrivò a due giorni prima del suo compleanno, dove Julie spiegava che probabilmente le facoltà si sarebbero presentate al compimento dei diciotto anni. Qualche pagina dopo, lesse che il dono si era già manifestato nella bisnonna di sua nonna, e non si sapeva di cosa si trattasse, né se potesse essere ereditario. Ma poteva essere mortale, se non controllato adeguatamente. Ogni erede della famiglia, infatti, conosceva il segreto, ma nessuno di loro aveva più acquisito i poteri. Julie temeva per sua figlia e voleva parlargliene il giorno prima del suo compleanno, così sarebbe stata pronta se fosse successo qualcosa.
«Devo assolutamente parlarle. Stanotte».
Quella era l'ultima frase che il diario conteneva.
Alice si sentiva leggermente spaesata.
L'incidente era solo colpa sua, allora. Se avesse accettato di restare a casa come le aveva chiesto Julie, forse lei non sarebbe andata dal suo editore per correggere le bozze del libro, e lei e Annie sarebbero sopravvissute.
Matt aveva ragione. Per una volta Julie voleva comportarsi da madre e Alice l'aveva totalmente ignorata.
E, a proposito di Matt, dopo quella serata la chiamò infinite volte, ma Alice non gli rispose mai. Anche le sue migliori amiche la cercarono, ma quando Allie urlò loro contro che la frequentavano solo per il suo status sociale e i suoi soldi, smisero di cercarla, troppo deluse da lei.
Perciò no, Alice non pensava che il suo fosse un dono, ma solo un'enorme beffa dell'universo, per la quale sarebbe morta da sola. Giovane e sola.
Anche per questo Nottingate le sembrò la scelta migliore. Una minuscola cittadina dove pensava di non riscontrare troppe difficoltà. In realtà, però, non aveva nemmeno idea che esistesse. L'aveva scoperta dopo aver letto una frase piuttosto vaga su un diario della madre.
«Ne hanno trovato un altro. A Nottingate».
Alice non aveva idea di come Julie potesse sapere una cosa del genere, ma era piuttosto certa che si riferisse alle sue facoltà, e che a Nottingate avrebbe trovato le risposte alle sue domande. Dopotutto, a New York non aveva nessuno. Non più. Ogni membro della sua famiglia era morto o scomparso. Non sarebbe stato certo un problema, un trasferimento, pensava.
Fin quando non incontrò Janet e i quattro ridicoli scagnozzi. Non erano un reale problema, in realtà, ma solo un'enorme seccatura. Alice avrebbe tanto voluto compiere la sua ricerca in santa pace, invece doveva combattere con la feccia dell'umanità perché era convinta di dover espiare i propri peccati passati. Dopotutto non si era comportata così anche lei nei quattro anni che aveva trascorso a New York? Se ne era resa conto solo grazie a Matt e ad Annie, le uniche persone che aveva e che avrebbe mai amato.
«Alice».
Allie rizzò le orecchie e sollevò lo sguardo. Chi diavolo aveva parlato?
«Nadia? Nadia, sei tu?», la chiamò, sembrandole una voce femminile, ma non giunse alcuna risposta. Poi ricordò. Nadia non era in casa, era uscita mezz'ora prima a fare la spesa. «Chi ha parlato?», chiese ancora, cercando in ogni stanza. Chiunque si fosse introdotto in casa sua se ne sarebbe pentito amaramente.
«Zafira», rispose la voce melliflua. Alice non capiva. La stessa Zafira di cui parlava Xor? «E non mi troverai in casa tua».
«Cosa...?».
«Sono nella tua testa, Allie».
«Non chiamarmi così», disse dura, prima di rendersi conto del significato di quella frase. «E cosa vuol dire "nella mia testa"?», domandò irritata, senza smettere di girare per tutta casa.
«Vuol dire che ti parlo tramite telepatia», rispose con tanta calma che inizialmente Alice pensò fosse pazza. Quando capì che era possibile esattamente come erano possibili i suoi poteri, si calmò. Inoltre ricordò ciò che era successo poche ore prima. Durante l'incontro con Xor, lui aveva nominato una certa Zafira. Anche con lui stava forse parlando... tramite telepatia?
Si fermò all'istante. «Cosa vuoi da me? Cosa volete tutti quanti da me? Voglio solo essere lasciata in pace».
«Hai ragione, Alice. Infatti volevo scusarmi per il comportamento di Xor. Lui è così impulsivo... Mi dispiace davvero». C'era sincerità nella sua voce, ma anche qualcos'altro... Alice non riusciva a capire cosa. «L'altro motivo per cui ti ho contattato è per chiederti un incontro. Solo io e te».
Allie non poteva crederci. Avevano tutti un secondo fine, nessuno escluso.
«E per quale motivo vorresti incontrarmi? Te l'ho detto, io voglio solo...».
«Essere lasciata in pace, lo so. E ti prometto che se dopo avermi incontrato sarai ancora della tua idea, non avrai più alcuna notizia di noi. Ma prima di decidere devi conoscere il tuo vero mondo, i tuoi compagni, i tuoi poteri...».
«Io non li voglio, i poteri. Voglio solo una vita normale, senza complicazioni. Ne ho avute anche troppe, e ho solo diciotto anni», sussurrò, addolorata. Ma un istante dopo il dolore sparì e tornò la freddezza di sempre, come da lei deciso.
«Ma perché non dovresti? Puoi usarli a tuo piacimento. Ci sono delle regole, certo, come in ogni civiltà che si rispetti, ma non puoi non volerli. Ci sono stati donati».
Alice sbuffò, scocciata. «Basta con questa storia, per favore. Io non li voglio e basta. Ho le mie ragioni».
«E se ti dicessi che c'è un modo per toglierli? Accetteresti di vedermi?».
Allie esitò. Non le credeva, ma provare non costava niente. Non avrebbe perso nulla, anche incontrando questa Zafira. Il suo nome era decisamente inquietante, ma lei sapeva difendersi. L'aveva sempre fatto, anche prima di ricevere i poteri.
In quell'istante una specie di vortice di vento apparve davanti ai suoi occhi e una figura si compose di fronte a lei.
Quella figura era Xor.
«Come sei entrato?», domandò sconvolta. Odiava non avere privacy; voci nella testa, intrusi in casa...
«Mi sono fuso con la porta. È di legno», spiegò vagamente. «Volevo scusarmi per prima. Sono stato troppo... be', me stesso, e ti ho spaventata. Per di più ho irritato Zafira e, fidati, non vorresti mai...»
«Verrò con te», disse Alice.
«...vederla irritata. Cosa?».
«Verrò con te. Conoscerò Zafira. Adesso».
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