Capitolo VI - Cuore da coniglio (parte 1)

Limón aveva la brutta impressione di essere tornato a interpretare la parte del coniglio, come quando era solo un bambino di dieci anni e già i bulletti del quartiere gli insegnavano le dure leggi della strada. Fino alla tarda adolescenza, era rimasto di corporatura esile e si era adeguato - non senza digrignare i denti - a guardare i suoi compagni dal basso verso l'alto. Aveva sviluppato un temperamento piuttosto calmo e taciturno, che negli anni gli aveva consentito di girare tutta la città senza mai attirare l'attenzione. Dopotutto, quello era l'unico segreto per sopravvivere a Medellín: non dare nell'occhio.

Ma quando La Quica era venuto da lui con la promessa di cambiargli la vita, Limón aveva iniziato ad alzare la testa: aveva accantonato la timidezza e il solito timore che gli serpeggiava negli occhi fin dalla più tenera età. Lavorare per Escobar gli aveva donato autostima e un pizzico di arroganza, rendendolo forte e fiero. La protezione dei narcos era la sua armatura lucente, e lui la sfoggiava con orgoglio.

Eppure, ora assomigliava più a un leprotto titubante che a un prode cavaliere, mentre si addentrava nel cencioso quartiere in cui si era rifugiata Maritza.

Non aveva chiuso occhio quella notte. Una volta tornato a casa, si era scolato bicchieri colmi di un liquore non ben definito, intervallandoli con sigarette e sospiri di angoscia. Fino al sorgere dell'alba, gli avevano fatto visita gli occhi di lei, traboccanti di paura e dolore. Ora dopo ora, lo avevano torturato, scavandogli una voragine nel petto per poi riempirla di sensi di colpa, amarezza e delusione.

Finché, alla fine, aveva deciso: non era un assassino.

Aveva scelto di piantare il proiettile tra le travi del legno. Aveva scelto di risparmiarla.

Certo, questo non faceva di lui un eroe, ma neanche una bestia assetata di sangue.

Lo rendeva solo un coniglio tremendamente pentito, non solo nei confronti di Maritza. Il tradimento non era contemplato dai narcos, La Quica glielo aveva dimostrato più di una volta. C'era solo cieca obbedienza e lealtà.

Ma, nonostante avesse assistito a più di una spedizione punitiva, questa volta Limón non aveva ubbidito.

Quando l'auto dell'agente Peña era rispuntata magicamente davanti al rifugio della ragazza, aveva dato immediatamente l'allarme. La Quica si era bloccato con le dita insanguinate strette attorno a quelle di lei, gli occhi euforici spalancati lo avevano fissato per qualche secondo senza mostrare segni di comprensione. Limón aveva represso un brivido nel capire che il compagno l'aveva torturata fino a farle perdere i sensi.

La Quica si era ripreso poco dopo, una scintilla gli era balenata fugace sotto le ciglia. Si era scostato dal corpo della ragazza e aveva sbirciato con cautela la strada.

«Andiamocene da qui» aveva detto, dirigendosi verso la finestra opposta, che dava sui tetti in lamiera delle case vicine. «E ammazza quella stronza» aveva aggiunto, prima di saltare fuori.

«E Peña?» gli aveva chiesto Limón.

Non ricevette risposta né si preoccupò di chiederlo una seconda volta: non c'era tempo per pensare. I suoi occhi sfiorarono il corpo scomposto di Maritza, evitando il volto tumefatto e le dita fratturate. Il rumore del colpo di pistola era rimbalzato tra le case, finché l'eco non si era perso nella notte. Era giunto fino alle orecchie di La Quica, ne era sicuro.

Poi, aggrappandosi agli infissi di legno, si era catapultato all'esterno.

I dubbi, però, l'avevano seguito e gli si erano infilati sotto la pelle. Ora, camminando a passo svelto lungo la strada, continuava a chiedersi perché La Quica non si fosse fermato lì dov'era: aveva avuto la possibilità di ammazzare Peña, di stecchirlo con un colpo dritto in fronte ancor prima che lui notasse la loro presenza, eppure non era andata così. Era fuggitto, saltando da un tetto all'altro fino a sparire nel buio, con le mani impiastricciate del sangue di una vittima che - con tutto il rispetto - non valeva tanto quanto il braccio destro del Blocco di Ricerca. Quell'agente dava loro la caccia da mesi, li braccava senza sosta... perché non farla finita? Perché non colpirlo proprio lì, in quel quartiere dimenticato, dove nessuno vedeva mai niente?

Il ricordo dell'euforia grottesca e malata che aveva riconosciuto negli occhi dell'amico gli inacidì il palato. Possibile che quella violenza gli avesse procurato così tanto piacere da annebbiarlo, da fargli sottovalutare l'importanza strategica di quel momento? Era così che ti riduceva la brutalità continua di Medellín?

Scosse la testa con rabbia, sperando che quei pensieri scivolassero via.

Doveva essere lucido ora.

Doveva rientrare in casa di Maritza, darle una ripulita e convincerla a sparire definitivamente da quella città maledetta.

Non poteva più restare a Medellín: se La Quica avesse scoperto che le aveva risparmiato la vita, li avrebbe ammazzati entrambi senza battere ciglio. Non c'erano sopravvissuti tra i traditori.

L'ultimo pensiero lo attraversò proprio quando l'abitazione che stava cercando spuntò da dietro i muri scrostati delle casa vicine. Fece un respiro profondo e allungò il passo, determinato a togliersi il pensiero. Meno si faceva vedere in giro, meglio era: non sapeva con certezza quanti occhi lo stessero osservando o quante lingue avrebbero potuto sussurrare il suo nome alle orecchie sbagliate. Salì velocemente le scale e bussò alla porta più volte, finché non lo raggiunse il dubbio che Maritza si trovasse ancora a terra, dove l'aveva lasciata, troppo debole per alzarsi.

Tirò un calcio alla porta, poi un altro, ma la serratura, stranamente, non cedette.

«L'hanno portata via qualche ora fa.»

Limón si voltò di scatto, il respiro incastrato a metà trachea e le dita già in direzione della pistola. Ma quando si trovò davanti un vecchietto esile, che si trascinava con l'aiuto del bastone, si calmò lievemente.

«Di chi parlate?» mormorò, con il tono guardingo che gli grattava la gola.

L'anziano sollevò il mento, come a indicargli l'appartamento. «La ragazza che si era trasferita qui pochi giorni fa. Era una sua amica?»

Senza accorgersene, annuì. «Chi l'ha portata via?»

«La polizia» rispose, battendo la punta del bastone contro il pavimento. «Poveretta, devono averla massacrata, quei delinquenti. L'hanno chiusa in un sacco, addirittura.»

Le ciglia di Limón sbatterono più volte. «In un sacco?» ripeté perplesso.

L'uomo annuì. «Da obitorio. Hanno detto che era già morta da qualche ora. L'hanno ammazzata di botte, hanno detto.»

Limón ci mise un po' a comprendere che il vecchio non stava parlando del Blocco, bensì della polizia mortuaria. Deglutì scaglie di vetro.

Maritza era morta.

Si appoggiò alla parete, gli occhi chiusi per reprimere la nausea. Un rivolo di sudore gli scese lungo le vertebre del collo.

Gli tremò la voce quando domandò: «Si sa chi è stato?»

«Chi può dirlo.» L'anziano alzò le spalle, le labbra strette in una smorfia. «La polizia non ha fatto ipotesi, ma tanto sappiamo tutti che la violenza qui a Medellín ha un unico mandante.» Vedendo che il giovane non rispondeva, aggiunse: «Visto che la conosceva, potrebbe andare alla polizia. Non hanno trovato i documenti, quando sono andati via non l'avevano ancora riconosciuta».

Limón annuì, le palpebre ancora strette. Ascoltò il vecchio zoppicare via, il ticchettio del bastone si affievolì fino a dissolversi del tutto.

Nel silenzio, con la schiena ancora schiacciata contro il muro, il senso di colpa venne gradualmente soppiantato dal sollievo: La Quica non avrebbe mai scoperto che aveva disobbedito ai suoi ordini.

A diversi chilometri di distanza, in un quartiere ben più ricco e più sicuro, l'agente Peña si apprestava a togliere la divisa da "becchino", come l'aveva definita Steve. Un sorrisetto compiaciuto si arcuava, timido, sotto i baffi.

Non era stato facile convincere Steve ad attuare il suo piano: fingersi della polizia mortuaria, prendere "in prestito" l'attrezzatura e le divise, furgoncino compreso - il tutto all'oscuro del Blocco di Ricerca, per di più - era il modo perfetto per essere congedati con disonore ed essere rispediti negli Stati Uniti. Steve aveva opposto resistenza, animato da quel senso dell'onore tipico di chi ha sempre agito secondo le regole. La discussione era andata avanti per le lunghe, finché Javier non aveva avuto la meglio; la frase "non possiamo farcela senza giocare sporco, non siamo a Miami" aveva fatto centro.

Si levò il cappello, si ravvivò i capelli e si spogliò, sospirando nel sentire l'aria fresca accarezzargli la pelle sudata. In tanti anni passati in Colombia, non aveva mai capito perché le divise della polizia dovessero essere così opprimenti. Staccò dalle guance la barba finta e si sciacquò la faccia, strofinando i residui di colla rimasti sulle guance. Lo specchio del bagno gli consegnò il riflesso di un paio d'occhi arrossati e cerchiati dalla stanchezza, ma lo sguardo aveva una luce soddisfatta. Delle ultime settimane, quella era stata la missione più facile e divertente.

Sentì Connie chiamarlo attraverso la porta. Indossò i suoi vestiti e uscì dal bagno, ritrovandosi la donna davanti, immersa nel buio che avvolgeva il corridoio. Nonostante fosse all'incirca l'ora di pranzo, le tapparelle non erano state sollevate. Solo la poca luce che filtrava dalle fessure delle serrande, assieme a quella artificiale e fredda della lampadina del bagno, consentiva loro di orientarsi nell'appartamento.

«Com'è andata? Ha funzionato?»

«Funzionerà. Limón non brilla per intelligenza, ma sa benissimo qual è la pena per chi non rispetta gli ordini. Tornerà lì, forse per pregare Maritza di fingersi morta e sparire dalla circolazione... non credo che la pena per la perdita di lei sia superiore alla paura di La Quica.»

Connie aggrottò la fronte. «E se non ci andasse?»

«Ci andrà, non ha altra scelta. Se Maritza si facesse vedere in giro, lui si ritroverebbe con una pallottola nel cranio in tempo record. Quindi le cose sono due: o ci ha visti mentre fingevamo di portare via il corpo, oppure arriverà dopo, cercherà di entrare in casa e qualcuno gli dirà cos'è successo.»

«Qualcuno» ripeté lei, gli occhi ridotti a una fessura piena di diffidenza.

L'agente annuì. «Ho convinto un vicino di casa che potrebbe arrivare qualche amico o parente a chiedere notizie della vittima... e di aggiornarli, in caso.»

«Cristo Santo, Javier, e se fosse stato un informatore di Escobar? Se vi avessero riconosciuti?»

«Nel primo caso, meglio. Nel secondo, impossibile» rispose, indicandole i residui di barba finta e la divisa stropicciata in mano. «Sono bravo nei travestimenti.»

Connie si passò una mano sul viso, cercando di tenere a bada la preoccupazione - nonché la voglia improvvisa di tirargli un cazzotto.

«E Steve?»

«Sarà qui a momenti» disse, dando un'occhiata veloce all'orologio da polso. «Il tempo di riconsegnare il furgone» aggiunse con un sorrisetto. Dio, era così stanco che gli veniva da ridere per tutto.

La donna, però, non era propensa quanto lui all'ilarità. «Se scoprono che ha rubato...»

«Preso in prestito» la corresse lui.

«...un mezzo della polizia e finisce nei guai, sei morto.»

«Dovresti lavorare sulle minacce, non sono un granché convincenti.»

Non gli rispose nemmeno. Prese la borsa per le emergenze e si diresse verso l'ingresso.

«Ti ho preso qualche vestito dall'armadio. Li ho messi sul divano, così non devi entrare troppo spesso in camera» aggiunse, aprendo la porta.

«Grazie.»

Connie indugiò sul pianerottolo, la mano ancora appoggiata alla maniglia. «Non mi hai chiesto niente di lei.»

Lui si strinse nelle spalle. «Se fosse morta, me lo avresti detto.»

La sentì sbuffare.

«Idiota» sussurrò lei a denti stretti, sbattendosi la porta alle spalle.

Per un attimo, Javier prese in considerazione l'idea di bussare alla propria camera e chiedere alla sua ospite se avesse bisogno di qualcosa, ma i suoi piedi non si mossero e il proposito svanì con la stessa velocità con cui era arrivato.

Si diresse verso il soggiorno, spostò la pila di vestiti sul pavimento e si buttò sul divano. Si addormentò ancor prima di appoggiare la testa sui cuscini.

Angolino dell'autrice:

Leggenda narra che periodicamente io perda fiducia in questa storia e smetta di scrivere, finché non mi arriva un segno dall'alto (solitamente una foto di Pedro Pascal o, meglio ancora, una gif) e all'improvviso trovo la forza di tornare su questi schermi.

Scherzi (di dubbio gusto) a parte, mi dispiace davvero per questi ritmi di aggiornamento decisamente imbarazzanti, ma posso assicurarvi che, cascasse il mondo, questa fanfiction arriverà alla sua fine, prima o poi. Quindi abbiate pazienza, sarete ricompensat*. Il prossimo capitolo, ovvero la seconda parte di questo, è quasi pronto e arriverà in tempi decenti.

Un immenso grazie a tutti coloro che continuano a leggere questa storia *regala abbracci e caramelle*

Un caro saluto,

Helmwige


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