Chapter 14

Thomas.

Rimasi tutta la notte con gli occhi spalancati a pensare a quello che mi aveva detto Sam. Aveva ragione. Mi ero convinto che Eloise non mi notasse, che non mi conoscesse e mi ferisse senza alcun motivo, che io non le piacessi e che lei voleva che le stessi alla larga. Nella mia testa ero diventato io la vittima. Ero io a soffrire per come mi trattava Eloise.

Non avevo preso in considerazione il fatto che Eloise fosse ferita. Gridava aiuto e nessuno riusciva a sentirla. Era ferita. Una ferita profonda, da cui da ben tre mesi sgorgava sangue. Sangue scarlatto, caldo, vivo.

Per tutta la notte rimasi sveglio pensando ad un modo per trovare quel punto di contatto con lei che tanto bramavo.

Poi, alle sei e quarantadue del mattino ebbi un'idea geniale.

Mi alzai dal letto carico e pronto per attuare il mio piano. Mi feci una doccia fredda per scacciare via il sonno dovuto alla mia veglia e bevvi due tazze di caffè.

"Non sarà un po' troppo?" Mi chiese mia madre mentre bevevo con foga.

"Ho bisogno di energie... oggi è il grande giorno!" Mentii riferendomi alla festa. In parte era vero, ero in ansia anche per la mia esibizione, ma mi premeva di più la questione "Eloise".

"Suonerai ad una festa, Tommy?" Mi chiese Scott, uno dei miei due gemellini. Andavamo d'accordo. Erano forti. Frequentavano ancora le medie.

"Già!" Risposi e finii l'ultima goccia di caffè.

"Beh buona fortuna Tommy!" Rispose Ryan.

"Già, buona fortuna Tommy!" Ripeté Scott.

Erano due macchinette in simbiosi e perfettamente identiche. Certe volte pensavo fossero degli alieni. Tra l'altro erano diversissimi da me... o meglio io ero diverso da loro. Avevo preso i capelli rossi da mio padre, ma per il resto non assomigliavo a nessuno in famiglia. I gemelli invece erano la fotocopia di mia madre.

"Ragazzi, avanti! Giacche e cappotti e vi accompagno a scuola!" Esordì mia mamma dopo aver finito di lavare i piatti.

"Non vedo l'ora di riavere la mia macchina" borbottai scendendo dallo sgabello al bancone della cucina.

"Oh smettila! Per il Ringraziamento vai a Kansas City da tuo padre e potrai riprendertela" rispose mia madre mentre mi infilavo la giacca.

Alzai gli occhi al cielo e preso lo zaino e il necessario per la giornata, uscii di casa seguito da mia madre e dai gemelli.

Mia madre accompagnò a scuola me per primo. Scesi dall'auto e corsi verso l'ingresso per paura di essere arrivato in ritardo. La campanella era già suonata. Presi nel mio armadietto i libri per la prima ora e mi fiondai in aula alla velocità della luce.

Arrivai in tempo per l'appello.

"Clifford!" La professoressa di biologia mi richiamò per il ritardo.

"Mi scusi! Mi scusi! Mi scusi!" Dissi andando al mio posto accanto a Cristina. Alcune ragazze ridacchiavano per le mie continue figuracce con quella professoressa. Da un lato per i ritardi e dall'altro perché continuavo a sbagliare il suo nome. Ero nuovo e ancora avevo difficoltà a memorizzare tutti i volti.

Mi sedetti e mi sistemai in attesa che la professoressa di cui non sapevo il nome iniziasse la lezione. Scrissi su un bigliettino una domanda e glielo passai a Cristina bisbigliandole ad un orecchio di leggerlo.

Lei lo aprii senza farsi beccare e lo lesse.

"A che ti serve il numero di Eloise?" Mi mimò col labiale.

"Devo chiederle una cosa per stasera, ce l'hai?" Domandai ancora cercando di non fare casino.

"Clifford!" Mi riprese la proffe.

Non ero riuscito nel mio intento.

"Scusi..." borbottai.

In compenso però, Cristina tirò fuori dalla sua tasca il cellulare, scrisse quello che le avevo chiesto sul bigliettino e me lo passò. A quel punto dovevo solo aspettare il primo intervallo per andare da Eloise.

Passai le successive due ore a fissare l'orologio appeso in cima alla lavagna interattiva e aspettando che il tempo scorresse.

Non appena suonò la campanella dell'intervallo mi fiondai fuori dall'aula e corsi verso l'armadietto di Eloise, sapevo che l'avrei trovata lì... al massimo sarebbe stata ai distributori.

Come pensavo avevo ragione. Era davanti al suo armadietto e stava sistemando i suoi libri. Mi avvicinai a lei sicuro di me stesso.

Le bussai l'anta dell'armadietto di metallo e lei lo sbatté per chiuderlo.

"Che vuoi Thomas?" Domandò scorbutica e fulminandomi con lo sguardo.

Io afferrai il telefono che avevo in tasca e le mandai un messaggio.

'Solo dirti ciao' digitai velocemente ed inviai.

Lei mi guardava scettica con un sopracciglio sollevato.

Le indicai il cellulare. Lei alzò gli occhi al cielo e infilò una mano nella sua borsa. Tirò fuori un piccolo telefono cellulare. Sorrisi al fatto che non aveva uno smartphone, ma un semplice Nokia, di quelli che hanno ancora il giochino di Snake.

Lesse il messaggio e sbuffò guardandomi.

"Thomas, ma che cavolo pensi di..." alzai un dito per zittirla.

'So che ti da fastidio la mia voce' scrissi ed inviai.

Lei lesse ancora scocciata e notai che avevo centrato il bersaglio. Le si bloccò il respiro e per un attimo ebbi l'impressione che fosse diventata più bianca del solito.

Provò a parlare.

"Guarda che non c'è bisogno di..." la zittii di nuovo con il dito.

'Così sarà più facile' inviai.

"Thomas te l'ho detto, io non sono brava a fare conversazione" disse abbassando lo sguardo.

'Non devi. Sappi solo che adesso hai il mio numero e se hai bisogno di qualcosa basterà scrivermi' inviai. Era la mia migliore idea. Non potevo strapparmi le corde vocali, ma sicuramente potevo scriverle un messaggio.

"So cavarmela da sola" borbottò incrociando le braccia al petto.

'Okay, allora prendi la cosa solo a titolo informativo.'

Lei lesse il messaggio ed evitando il mio sguardo, ripose il telefono nella borsa.

Evitava di guardarmi. Avevo davvero colpito il suo punto debole. La mia voce. Non sapevo se l'avessi stupita o sconvolta, in positivo o in negativo... probabilmente tutte le cose insieme e lei doveva riordinarsi le idee.

Se ne stava lì in piedi di fronte a me e senza guardarmi. Io non fiatavo e soprattutto non digitavo alcun messaggio. Avevo fatto un passo nella sua direzione, spettava a lei adesso decidere se avvicinarsi o allontanarsi definitivamente.

"Va bene" disse con la voce spezzata. Si sfregò le mani sulle cosce ed evitando ancora di guardarmi si voltò andandosene senza aggiungere altro.

Avevo imparato che Eloise era fatta così. Parlava quando voleva lei. Rispondeva quando voleva lei. Veniva quando voleva lei. Se ne andava quando voleva.

Sorrisi guardandola camminare e allontanarsi da me. Adesso dovevo solo aspettare che decidesse di fare un passo verso di me e stranamente, dentro di me, ero consapevole che lo avrebbe fatto... e non ci avrebbe messo molto.

***

Lo so, lo so. Il capitolo è breve e sembra che non succeda nulla di troppo particolare. Sto preparando le basi per la fatidica festa a casa di Cristina.

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