Chapter 10

Buongiorno a tutti! Vi ruberò solo dieci secondi, prometto! Voglio raccontarvi qualcosa di personale che mi è successo.

Allora, sono venuta a conoscenza di parecchie cose che dicono sul mio conto molto poco gentili (niente che abbia a che vedere con Wattpad, tranquilli). Con questo voglio dire che inizio sul serio a realizzare solo adesso quanto la gente possa essere falsa e bugiarda.

Questa storia si chiama "Obbligo o Verità?" non a caso. Quello che scrivo per me ha un significato. È una storia che parla di bugie, segreti, ma anche verità e non posso fare a meno di dire che nonostante io abbia attinto esclusivamente dalla mia fantasia per ideare questa storia, il soggetto, ovvero la Verità, fa parte della mia realtà e la realtà di tutti noi. Sta a ciascuno decidere se dire il vero o il falso, fingere di essere una persona o no, fingere un'amicizia o no, quanto legarsi alla verità o no.

Ho deciso di dedicare questa storia a tutte le persone che decidono di stare dalla parte dei falsi. Di chi indossa una maschera. Mi chiederete "ma perché? Dovresti dedicarla ai Veri, non ai Falsi!" E certo che me lo direte! Voi non dite bugie! Voi siete tutti veri e amici di tutti! Io non dico bugie, sono vera e amica di tutti!

Sbagliato.

Dedico questa storia a tutte quelle persone che non hanno mai fatto un esame di coscienza.

Scusate lo sfogo. Buona lettura.

***

Eloise.

"Sì, sono qui" rispose.

Sobbalzai per lo spavento e saltai in piedi voltandomi a guardarlo. I suoi occhi impenetrabili puntavano dritti nei miei, la sua voce era forte e chiara e lui era di nuovo con me.

"Dannazione Peter! La smetti di saltarmi alle spalle?" Imprecai.

"Scusa" ridacchiò "è divertente" sorrise in quel modo che solo lui sapeva fare. Mi mancava il suo sorriso.

"Non ti aspettavo oggi" disse sedendosi sulla lapide di suo nonno.

"Lo so... avevo voglia di vederti" dissi guardandolo. Era bello anche da morto.

"Puoi venire a trovarmi quando vuoi" mi guardò serio alzandosi e passeggiando attorno a me.

"Dovremmo smetterla di trovarci qui al cimitero, però. È inquietante" fece una smorfia schifata.

"Ma che avete tutti coi cimiteri? Anche mia sorella ha detto la stessa cosa" borbottai.

Ridacchiò.

"Fammi indovinare... le hai tirato fuori Allan Poe, vero?" Mi chiese sedendosi per terra e appoggiando la schiena sulla sua lapide.

"Come fai a saperlo?" Lo scrutai incrociando le braccia al petto.

"Ti conosco, è il tuo scrittore preferito... sotto i tuoi cardigan sei sempre stata piuttosto... creepy" fece un'altra delle sue smorfie sollevando gli angoli della bocca e facendo sporgere quelle sue stupende fossette.

"Beh... meglio Allan Poe, che Wilde" borbottai ripensando a Thomas e andai a sedermi accanto a lui. Avrei dovuto sentire la mia pelle sfiorare la sua, ma non sentii nulla. Come sempre.

Non ho mai capito se quella fosse un'allucinazione, un fantasma o semplicemente la mia immaginazione. Fatto sta che riuscivo a parlare con Peter solo lì. Era davanti a me, come se non se ne fosse mai andato, era reale. Io lo vedevo, ma nessun altro poteva. Ecco perché lì al cimitero non volevo che mi accompagnasse mai nessuno.

Sapevo di non poterlo toccare, ma almeno potevo parlarci. Questa cosa non sempre era sopportabile. Ecco perché a volte non riuscivo neanche a scendere dalla mia macchina.

Non sopportavo l'idea di vederlo e di non toccarlo, ma ci stavo lavorando. Quello era l'unico modo che avevo per continuare a vederlo.

"Cosa c'entra Oscar Wilde?"

"Niente."

"Come sta Victoria?"

"Lei? Figurati... da Dio! Si è fidanzata... con un certo Lucas, va al college con Jack."

"Oh bene..." sospirò alzando lo sguardo al cielo. Sembrava voler prendere il sole. Cosa ovviamente impossibile.

"Ti vuoi abbronzare?" Scherzai.

"Molto divertente, ma tanto io sono bellissimo anche pallido" si voltò a guardarmi con aria di sfida.

Megalomane.

"Piuttosto... dimmi cosa c'é che non va" si sistemò sull'erba.

"Le solite cose" abbassai lo sguardo strappando qualche ciuffetto d'erba tra di noi.

"Menti..."

"È... Sam" sospirai.

"Sam?" Mi guardò stupito "credevo non vi frequentaste più... tu e gli altri."

"Infatti... quel deficiente si è messo in testa di tornare a suonare insieme" borbottai.

Non sarebbe mai successo. Non suonavo più in pubblico e avevo anche venduto la mia chitarra. L'unica che mi era rimasta era quella acustica di Peter, mi aveva fatto promettere che l'avrei suonata sempre, ma senza di lui non ebbi più il coraggio di presentarmi su un palco scenico.

"Ma dai? Che figata!" Sorrise. Sì, la musica era la sua vita. Suonare per gli altri e stare in mezzo alla gente, essere acclamato e amato, quello era lui, ma non io. Io ero introversa, lui estroverso. Lui amava il successo e cantare per gli altri, io amavo lui e suonare per me stessa. Eravamo diversi fino al midollo.

"Ma sei impazzito?" Lo guardai praticamente con gli occhi fuori dalle orbite.

"Beh... tu puoi scrivere le canzoni... io se vuoi posso aiutarti e poi Sam ha una bella voce" scherzò. Sapevamo perfettamente che lui era stonato come una campana.

"Credi davvero che io possa suonare le tue canzoni senza di te? Credi davvero che ce la faccia?" Tornai a strappare l'erba evitando il suo sguardo. Quello sguardo finto e surreale.

"Lo so... è difficile, lo capisco..." provò a spiegarmi, ma lo interruppi.

"No, Peter. Tu non lo capisci" improvvisamente sentii freddo e mi abbracciai da solo cercando di riscaldarmi.

"Perché no?" domandò. Evitavo il sul sguardo.

Lui non sentiva il dolore che sentivo io. Non sentiva la mancanza che sentivo io. Lui sarebbe stato ricordato in eterno. Eternamente giovane. Così come voleva. Io invece restavo lì. Invecchiavo e motivo giorno dopo giorno e ogni giorno era un giorno in più senza di lui.

Non ero neanche in grado di chiedergli se era reale o solo una mia allucinazione. Avevo troppa paura di sentire la risposta. Eppure io avevo così bisogno di sentire la sua voce nella mia testa.

Quella voce che adesso sembrava appartenere a Thomas e mi faceva diventare pazza. Ecco perché non riuscivo ad ascoltare la sua voce. Mi sembrava di sentire parlare Peter e mi mancava ancora di più. Avrei voluto toccare il corpo a cui apparteneva quella voce, ma non era quello di Peter... era il corpo di Thomas.

"Perché per quelli che rimangono è più difficile. Tu te ne sei semplicemente andato..." abbassai lo sguardo. Avevo un groppo in gola.

"Io invece sono qui... e sono da sola."

"Tu non sei sola sciocca" potevo immaginare il suo braccio cingermi le spalle. Irrealtà.

"Ah no?" Sollevai la testa e incrociai il suo sguardo. Eravamo a pochi centimetri di distanza. Avrei potuto allungarmi e baciarlo, se solo fosse stato lì con tutto il suo corpo.

"Giochiamo" scrollò le spalle e alzò di nuovo la tasta mostrando il suo volto al sole.

"Peter..." sospirai. Anche Sam aveva fatto con me lo stesso giochetto il giorno prima.

Non avevo intenzione di ascoltare quel disco che bruciava nella tasca esterna del mio zaino abbandonato a qualche centimetro di distanza da me. Lo osservavo e aspettavo che Peter mi ponesse la domanda fondamentale.

"Obbligo o Verità?" Secco. Attendeva risposta.

Sapeva che avrei scelto obbligo, io odiavo la verità. Non ero una bugiarda, ma sapevo che la verità era una lama e tagliava, tagliava dolorosamente.

L'obbligo era veloce, indolore. Si obbediva e poi si era liberi, nella verità invece ci si può rimanere incastrato.

Tuttavia stavolta la verità era necessaria, l'obbligo sarebbe stato ovvio e io non avevo intenzione di adempire a quell'ordine.

"Verità" sussurrai e attesi quella lama con impazienza.

"Ammettilo Elle" amavo il mio soprannome pronunciato da lui. L'unico che aveva il permesso di chiamarmi a quel modo.

"Ammetti che ti manca suonare, che vuoi farlo e che senza musica non puoi vivere" quella lama mi trafisse il cuore affondo e il mio sangue sgorgava dalla ferita e io mi dissanguavo e morivo nel sentire quelle parole che uscivano da quella voce che adesso non apparteneva più a Peter, ma ad un ragazzo dai capelli color del mio sangue.

Senza rispondergli. Presi il telefono nella mia tasca. Composi un numero che per ben tre mesi avevo digitato senza mai avere il coraggio di avviare una telefonata. La persona con cui avrei potuto sfogarmi, piangere, urlare, strillare e che pure avevo evitato perché troppo doloroso il ricordo.

Presi un respiro profondo sotto gli occhi taglienti della verità pronunciata da Peter.

Avviai la chiamata.

Un primo squillo. Un secondo. Un terzo. Una risposta.

"Pronto?" La sua voce forte e chiara nella mia testa.

"Sam?"

"Eloise!" Sembrava felice di sentirmi.

"Ci sto. Sono dentro."

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