3. Semplici gesti.
L'appartamento di Bessie era un casino, con la musica troppo alta proveniente dallo stereo e le urla delle sue conquiline, che avevano sempre un motivo per discutere. La lavastoviglie non funzionava da forse troppo tempo e la lavatrice aveva deciso che era il momento di tirare le cuoia. Era un appartamento disastrato, preso in affitto da una signora troppo anziana affinché potesse provvedere a fare dei lavori di tasca sua. In quella settimana, non avevano nemmeno provveduto alla spesa e lo stomaco di Bessie si stava lamentando così tanto, da far sentire quel fastidioso rumorino alle sue conquiline, che si trovavano al piano rialzato. Poi, grazie al suo istinto, si ritrovó con lo sguardo fuori la finestra, dove erano state costruite delle scale antincendio, e incrociò quello sguardo spento che non si aspettava di rivedere così presto.
«Tu sei...» Si affrettò a dire Bessie, una volta spalancata la finestra. Era incredula, spaesata, forse a disagio, ma felice, mentre, a denti stretti, cercava il termine adatto per descrivere l'anima rotta che aveva difronte. Tirava così tanto vento, che aveva quasi paura che Rue potesse essere trascinata da un momento all'altro oltre le scale. «Entra, Beckett, o congelerai.» Fece Bessie, dura, indicando con il capo l'interno del suo appartamento. Si voltò, aspettando che gli stivaletti di Rue facessero rumore sul pavimento, quando quest'ultima la tirò dal braccio, ancora con metà corpo fuori dalla finestra, ad un palmo dal suo viso bianco.
«Qualunque cosa sono, dilla e basta.» Voce lenta e pacata, sicura di se stessa come sempre, aveva bisogno di una risposta, Rue, e la voleva in fretta, perchè, effettivamente, faceva freddo sul serio e lei di caldo aveva solo un paio di guanti che non coprivano completamente le dita. La chiacchierata forzata con Louis le era servita molto e, anche se non lo avrebbe mai ammesso, forse voleva davvero ricominciare a vivere, provarci, almeno. Bessie la squadrava, osservava la punta del suo naso, rossa a causa del freddo, e le borse sotto agli occhi, gli stessi che le ricordavano il motivo della loro discussione. Rue fece breccia nel cuore dei componenti del gruppo, l'anno dopo la fine delle superiori, portando una ventata di novità tra di loro. Shyla non faceva altro che ripetere quanto Rue fosse forte e fuori dagli schemi, Louis le offriva le sigarette, Freddy le chiedeva consigli spassionati, ed Harry non aveva occhi per nessun altro, all'infuori di Rue Beckett, la ragazza americana che tutti volevano per sè. Bessie era stata semplicemente risucchiata nel vortice dalla gelosia, non sopportava di essere stata messa al secondo posto quando, in tutti quegli anni, solo lei c'era stata per i suoi amici. In quel momento, voleva solamente rimediare per essere stata così sciocca, così strinse al suo petto Rue, che fu presa di sorpresa e sentì improvvisamente il calore che le mancava da tempo espandersi dentro di lei, perchè le cose stavano gradualmente cambiando e voleva davvero che quel momento non terminasse così presto. «Mi darai una risposta?» Chiese allora Rue, passando su e giù la mano sulla schiena di Bessie, la sua testa nell'incavo del collo dell' amica. Non era brava in queste cose, ma almeno ci stava provando.
«No, non te la darò.» Ammise Bessie, e una risata lasciò le labbra delle due ragazze, ancora scosse per una Rue che si lasciava abbracciare senza l'uso della forza e una Bessie che diceva ciò che veramente voleva esprimere, senza scrupoli. Forse ne avevano semplicemente bisogno entrambe.
«E così gli ho detto che non sarei mai uscita con lui!» Disse velocemente Bessie, sollevando le mani in aria per poi lasciarle scivolare sui fianchi. Rideva, spensierata, mentre aspettava che il caffè fosse pronto. Parlavano di Dylan, il ragazzo dai capelli rossi del loro gruppo, che Rue proprio non riusciva a mandare giù, e di come Bessie l'avrebbe preso a calci, se avesse provato nuovamente ad allungare le mani sul suo corpo. A dirla tutta, lo frequentavano ancora solo perché era in qualche modo imparentato a Freddy e tutti si domandavano come due persone così diverse potessero avere gli stessi geni. «Vado a prendere il cellulare, aspettami qui!» Continuò Bessie, sotto lo sguardo divertito di Rue, che vagava per il piccolo ma familiare salone; passava le dita su quei libri dell'università, mentre ricordava che fin da ragazzina avrebbe voluto studiare arte, in Francia. Le sue prospettive di vita, però, erano un po' cambiate e si ritrovò a ridacchiare internamente per i suoi sogni nel cassetto mai tirati fuori. Se solo Rue avesse saputo prima che no, in Francia non sarebbe mai andata, neppure per studiare, che si sarebbe trasferita in Inghilterra, che avrebbe conosciuto un branco di matte e rotte persone come lei e che avrebbe cominciato a fumare sotto il cielo grigio di Londra, non ci avrebbe mai creduto e magari avrebbe anche preso scelte diverse durante il suo cammino. Magari, se l'avesse saputo, avrebbe avuto una vita migliore, o forse no, forse avrebbe commesso gli stessi sbagli in posti diversi. Poco dopo, Bessie tornò dalla sua camera, si trascinava verso la cucina, mentre i suoi pollici digitavano velocemente sulla tastiera del suo cellulare. Non levò lo sguardo dallo schermo nemmeno quando versò il caffè in due tazzine colorate e in un religioso silenzio cominciò a sorseggiarlo.
Tra Rue e Bessie era nuovamente calato il gelo e nessuna delle due si spiegava minimamente il perché. Era tutto diventato così difficile e Rue aveva quel profondo cipiglio in volto che non voleva proprio andarsene. Ormai, tra di loro era diventato tutto meccanico, era raro che qualcosa fosse spontaneo. Così, Rue strinse la spalla magra di Bessie tra l'indice e il pollice, nessun intento a farle male, e le lasciò un bacio sulla tempia. Sperò semplicemente che lei capisse quel muto ringraziamento per esserci, anche solo sfiorando la sua anima con gli occhi. «Credo di dover andare.» Bessie annuì, accompagnandola alla porta, le conquiline ad urlarsi contro e un cenno del capo da parte di Rue Beckett che, in un paio d'ore, si era esposta troppo per i suoi canoni.
Il cellulare di Rue prese a squillare appena uscì dall'appartamento di Bessie, e si ritrovò a svuotare letteralmente la sua borsa per trovare quell' aggeggio dalla suoneria infernale. Era semplicemente Shyla e si pentì d'aver fatto tutto quel baccano per lei, mentre raccoglieva tutto ciò che prima era dentro la borsa, rimettendolo velocemente all'interno. Stava sudando. Il tono evidentemente scocciato di Rue, una volta risposto alla chiamata, mutò, perché non aveva mai sentito Shyla, con quella vocina, così agitata. Sembrava stesse piangendo, ma Rue non voleva trarre conclusioni affrettate. «Che succede, Shy?» Era stata spinta da una parte all'altra del marciapiedi, quando riuscì a porre quella domanda. Sentiva Shyla singhiozzare senza freni e, per la prima volta, si preoccupò davvero per lei. Aveva sempre quel sorriso in volto, rideva in modo prettamente sguaiato e non l'aveva mai vista disperarsi per una qualsiasi questione.
«C'è stato un incidente su King's Road.» La voce di Shyla continuava a tremare imperterrita, come se la sua vita fosse finita in quell'esatto momento. E Rue capì all'istante il motivo di così tanta agitazione e perché Shyla avesse chiamato proprio lei. Si fermò, alcuni le gettarono occhiatacce per aver intralciato la strada, costretti a fare lo slalom tra la gente per colpa sua. Le serviva solo una conferma, che non tardò affatto ad arrivare. «C'erano parecchie macchine e Freddy era in una di quelle.»
Harry camminava velocemente per le vie trafficate di Londra, i capelli nascosti da un cappello verde, le gambe lunghe e due caffè bollenti tra le mani grandi. Rischiava di rovesciarli ogni volta in cui qualcuno lo urtava, involontariamente o meno, l'importante era portarli a destinazione, altrimenti Louis non l'avrebbe sicuramente smessa di dargli contro. E non era davvero il caso, perché avevano cose più importanti di cui parlare, come sempre. Poi accadde tutto in meno di un secondo, i caffè caddero sull'asfalto e qualche goccia finì persino sulle sue scarpe nuove, ma non gli importava, perché la scena che gli si era presentata di fronte, era davvero impensabile. L'aveva vista in ginocchio, il viso tra le mani tremolanti, con qualche persona di buon cuore che cercava d'aiutarla. Le mura che aveva intorno non crollavano con nessuno di loro, ma Harry le distrusse al suo passaggio, abbassandosi e prendendola per le spalle, scuotendola. Se non l'avesse fatto, probabilmente avrebbe avuto un'altra crisi e Louis stavolta non ci sarebbe stato a salvarle il culo.
«Lasciami, lasciami.» Era riuscita a sussurrare, con ancora gli occhi chiusi e il labbro inferiore stretto tra i denti. Aveva le ginocchia sbucciate, probabilmente per l'urto con l'asfalto e i suoi pantaloni strappati lo erano diventati ancora di più. «Devo andare da lui, ti prego!» Tirava su con il naso, come se non riuscisse a trovare altra soluzione per trattenere le lacrime, che di lì a poco avrebbero inondato i suoi occhi.
«Rue, santo cielo, guardami!» Harry aveva alzato il tono di voce, alcuni passanti si erano fermati ad osservare la scena, alcuni curiosi, altri seriamente scossi dalla situazione. La ragazza incrociò lo sguardo preoccupato di Harry, mentre gli occhi scuri di Rue riuscivano a stento a restare aperti. Voleva chiuderli per un tempo indeterminato, smettere di far trapelare tutte le emozioni e le sensazioni che nessuno doveva minimamente immaginare, e mettersi a correre, scappare, che era sicuramente la cosa che le riusciva meglio.
«Non urlare.» L'aveva ammonito Rue, alzandosi in piedi, con la voce dura che faceva contrasto con il suo corpo tremante e gli occhi lucidi. «Lasciami semplicemente andare.» Rue strinse le mani piccole sugli avambracci di Harry, e se solo fossero stati in un'altra situazione, molto probabilmente quest'ultimo avrebbe gioito, ma in quel momento il tocco di Rue quasi bruciava sulla sua pelle. Ma era convinto che non l'avrebbe fatta scappare, non poteva farlo per sempre.
«Non ti lascio andare da nessuna parte in queste condizioni.» Per un attimo, Harry provò quel dolore familiare di quando la vide per la prima volta, ripetendosi come fosse possibile. Ricordava il suo sguardo perso in quel locale e come avesse quasi avuto un attacco di panico, che, a distanza di anni, non aveva ancora capito a cosa fosse dovuto, e di come Louis l'avesse calmata e fatta entrare nel gruppo, come se fosse una grande amica ritrovata dopo forse secoli. Rue si decise a parlare, mentre delle stupide scosse le percorrevano la spina dorsale; aveva capito che stavolta quel mollaccione di Harry Styles voleva proprio prendere posizione. Doveva muoversi, era arrivato il momento d'andare.
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