12. Uccellini in gabbia.
Ogni tanto, la parte nascosta di una persona si risveglia, mostrando a pochi eletti la propria natura. Dylan, quella mattina, si era alzato con una gran voglia di mostrarla a Bessie. Ed era quasi ridicolo, perché non avevano avuto più un contatto di nessun genere, non si erano nemmeno più rivolti la parola quando si ritrovavano nello stesso luogo, che infondo i luoghi che frequentavano in città sarebbero rimasti sempre quelli.
«Che ci fai tu qui?» Si era semplicemente presentato fuori l'università, ad aspettarla per ore perché effettivamente non sapeva a che ora terminassero i corsi, ma era lì e non si era spostato un attimo da quel punto. E lei l'aveva riconosciuto subito, perchè i suoi capelli rossicci le davano così tanto fastidio da arrivare a cercarli con lo sguardo, per scappare. «Stai aspettando qualcuno?» Il tono di Bessie quasi accusatorio, mentre cercava nel suo zaino il pacchetto di Winston blue, con gli occhi che vagavano ovunque, pur di non incrociare quelli del ragazzo che aveva di fronte.
«Stavo aspettando te.» Bessie non si scompose a quelle parole, perché aveva imparato che dare troppa importanza ad un ragazzo la rendeva più debole e fragile. Cosi alzò le sopracciglia quasi in segno di sfida, portandosi finalmente tra le labbra una delle sue Winston. «Vorrei avere una possibilità, Be» era la seconda volta che la chiamava così e, ogni volta che lo sentiva, una stretta al petto sembrava ucciderla «solo una.» Aveva aggiunto, allungando la mano nella direzione di Bessie. Non la afferrò, scostandosi al suo tocco.
«Con quale coraggio me lo stai chiedendo?» Aspirò, per poi mandare fuori dalla sua bocca quella nuvola grigistra di fumo, che il vento trasportò nella direzione opposta al ragazzo. «Non posso darti una possibilità o addirittura innamorarmi di te, è assurdo solo pensarci.»
«Perchè sarebbe assurdo?» Non aveva mai detto cose molto sensate, Dylan, non era mai stato il protagonista di una storia, una di quelle vere, non aveva mai chiuso gli occhi e pensato a qualcuno, ma percepiva un vuoto nel petto, che forse una persona -Bessie- avrebbe potuto colmare. Era una sensazione, una di quelle che senti a prescindere sotto pelle.
Un grande respiro e il cuore in mano, insieme al mozzicone della sigaretta appena gettato sull'asfalto. «Perchè siamo io e te che siamo fatti male, Dylan, così maledettamente male che insieme saremmo capaci di distruggerci nel più breve tempo possibile.» Aveva semplicemente cercato di farglielo capire, Bessie, prima di lasciarlo lì impalato, come uno stupido.
Dylan da ragazzino si definiva un "uccellino in gabbia", che chi si fermava alle apparenze avrebbe potuto credere avesse tutto quello che gli serviva, peccato non fosse libero. Quello di Dylan era uno spirito irrequieto e violento, mai capito completamente, segnato da un'infanzia piena di materialismo e priva d'affetto, un'adolescenza passata tra i migliori locali dell'Inghilterra e mai una compagnia fissa a cui potersi affezionare realmente. Era rimasto quell'uccellino in gabbia che mai nessuno avrebbe potuto -voluto- liberare, fatto male, malissimo.
Shyla era da sempre stata una persona particolare, frizzante, piena di energie e forse era per questo che a Freddy la sua compagnia piaceva così tanto. Insieme sembravano due bambini al parco giochi, persino nei momenti in cui tutti avrebbero mollato la presa, loro ce la facevano, affrontando tutto con un sorriso. E Shyla lo sapeva che l'effetto che le faceva Freddy non era dettato da una semplice amicizia, bensì un sentimento più forte, deciso, duraturo. Effettivamente, erano ancora due ragazzini, che a quel tipo di sentimento forse nemmeno ci pensavano sul serio. O, magari, lo vedevano come qualcosa di così grande da sentirsi troppo piccoli per provarlo. Ma l'amore arriva, il cuore batte più veloce, il sorriso vero spunta solo quando quella persona è presente e loro non potevano fare assolutamente niente per mandarlo via.
«Forse mi sono innamorato di te.» Fu la prima volta che Freddy disse qualcosa del genere ad una ragazza, alla sua lei. «Forse il mio cuore impazzisce quando sei con me.» Shyla non si era tirata indietro, perchè era arrivato il momento di stare bene anche per lei, con lui. «Forse vorrei passare il resto della mia esistenza in tua compagnia.» Lo spazio che si era ridotto ai minimi termini, tra loro due. Era una prima volta per quei due, insieme, stavano vivendo tutto l'uno accanto all'altro.
«Rimaniamo nel forse?» La fatidica domanda, la mano di Freddy sul viso piccolo di Shyla. «Forse no.» Si era dato una risposta da solo, quando vide la ragazza amata avvicinarsi ulteriormente, lasciandogli un casto bacio sulle labbra. Uno di quei baci di cui non puoi parlare, perchè se ne perderebbe tutta la magia.
«Forse, anzi no, niente forse» un sussurro, a pochi centimetri dalle labbra di Freddy, le mani sudate e la pelle d'oca «mi rendi felice.»
Il sole sorgeva lento e sembrava quasi che fosse terrorizzato da quelle ombre che dominavano, ancora per poco, il territorio. Era l'alba quando Rue si accorse del viso di Harry a pochi centimetri dal suo. Era l'alba quando le sue labbra non riuscirono a sfiorare quelle piene di Rue, perché Harry preferiva guardare da vicino i suoi occhi, perchè alla fine di compiere qualsiasi altro gesto non c'era bisogno. Era l'alba quando Rue disse che forse avrebbe potuto provare qualcosa di forte per lui, con il tempo. «Tanto io sono sempre qua, non me ne vado.» Aveva sussurrato Harry, e fu l'alba a preoccupare Rue, l'ennesima alba vista insieme che aveva unito un altro pezzo di quei due, come se fosse la cosa più semplice dell' universo, in quanto semplice non lo era mai stato.
«Prima o poi vorrei fare l'amore con te, Rue.» Aveva azzardato ad ammettere Harry, così, dal nulla. Sguardo contro sguardo, uno più penetrante dell'altro, le gambe incrociate e le mani lontane. «Imprimere le mie dita sulla tua pelle, lasciarti dei baci proprio qui,» aveva sfiorato con le labbra, per un secondo, la spalla scoperta di Rue, Harry «per poi scendere su ogni lembo del tuo corpo, assaporare le tue labbra e sussurrarti ciò che voglio dirti da una vita.»
Rue sentiva il suo stomaco contorcersi ad ogni parola pronunciata da Harry e la sua mente vagare verso pensieri proibiti. Lo bloccò, posando la sua mano - così piccola in confronto a quella del ragazzo - sul petto di Harry, all'altezza di quel grande tatuaggio che aveva avuto modo di osservare solo quel giorno. «Prima o poi lo faremo.» Disse, sicura delle sue parole, come non lo era stata mai. Non c'era una traccia di malizia in quella frase o nelle parole spontanee di Harry, solo dei sentimenti che maturavano, crescevano, insieme a loro. «Prima o poi mi farai sentire arte pura, Harry.»
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