Capitolo 55 - Inferno o Paradiso? (Parte 3)
*Si consiglia l'ascolto della canzone, durante la lettura*
Giorgia accostò l'orecchio alla soglia, cercando di percepire anche il più piccolo rumore. Non voleva interrompere la loro sperata riconciliazione, ma non sentiva alcun suono; né urla, né rumori, solo il più assoluto dei silenzi. Abbassò lentamente la maniglia, sbirciando dal piccolo varco, prima di entrare.
«Soph?» Chiamò guardinga, con una brutta sensazione che le stringeva lo stomaco in una morsa ferrea e, allo stesso tempo, le rendeva difficile deglutire. Posò i cartoni della pizza sul tavolo, accorgendosi solo in quel momento della sua ospite accucciata a terra, mentre si stringeva le ginocchia al petto, con lo sguardo perso nel vuoto, in uno stato catatonico.
Le si avvicinò, appoggiando le mani sopra a quelle ghiacciate di lei, per cercare di destarla, senza raggiungere alcun risultato.
«Tesoro, sono qui.» sussurrò mesta, scuotendola un poco, senza mai distogliere lo sguardo dall'amica.
Sophie alzò il viso, puntandolo su Giorgia, con la più assoluta inespressività. Esternamente somigliava a una statua di cera, immobile e inaccessibile, ma dentro di lei il sangue pompava a un ritmo incessante e la sua anima urlava quel nome, sbattendo i pugni contro le pareti che la imprigionavano sotto pelle, mentre il suo cuore si infrangeva in minuscoli parti, impossibili da ricomporre. La sua anima desiderava correre tra quelle braccia che profumavano di casa, per non separarsene più, ma il suo corpo era immobile, giacente sul cocente pavimento, del tutto inerme.
Respirava solo perché il suo corpo lo faceva per lei, guardava l'amica solamente perché era lì davanti e i suoi occhi le si erano fissati addosso, senza però vederla veramente, spettatrice di una tristissima pellicola che in quel momento era la sua vita. Il cervello le sembrava in un momentaneo standby, mentre la sua pelle trasudava sofferenza da ogni poro.
«Tesoro, cosa è successo?» Chiese la bionda, senza sapere bene come aiutarla, atterrita per la mancanza di reazione da parte sua, scostandole una ciocca scura dietro l'orecchio. Quel gesto, malauguratamente, riattivò i sensi della mora, facendole rivivere gli infiniti attimi in cui era Francesco a compiere quell'azione, con l'amore che solo lui era in grado di trasmettere in atti così semplici.
Era nel centro esatto di un tornado, il quale proiettava continui ricordi, devastandola. Gli occhi le si riempirono di lacrime, mentre venne percorsa da forti tremori, e un grido tormentato le si spezzò in gola; Sophie era tornata e avrebbe dovuto affrontare il dolore di quella definitiva separazione, da lei voluta. Si era risvegliata in una esistenza vuota, dove il colore predominate sarebbe stato un freddo grigio, dove la solitudine e il silenzio avrebbero prevalso su tutto, dove nessuna speranza avrebbe potuto sopravvivere e dove l'amore della sua vita non c'era più.
Non aveva mai provato un'afflizione simile, come se qualcuno le stesse schiacciando il petto, stritolandole il suo muscolo cardiaco, infilandole milioni di spilli appuntiti per tutto il corpo. Si sentì precipitare verso il basso, dove sarebbe bruciata nel suo nuovo Inferno personale, da sola, in mezzo alla cenere. Non vedeva via d'uscita da quell'agonizzante delusione; il suo sole si era spento, nessun'alba sarebbe più sorta, nessun tramonto sarebbe più calato, perché quello che le si prospettava dinnanzi era una duratura notte buia, senza la luce delle stelle a illuminarle il cammino, solo un percorso tortuoso e intrecciato di rovi.
Tutto quello che voleva, in quel momento, era dimenticare: dimenticare ogni sua tenera carezza, dimenticare ogni abbraccio, dimenticare i suoi bellissimi e profondi occhi, dimenticare le sue ardenti labbra, dimenticare ogni ti amo, dimenticare ogni momento vissuto insieme a lui, quello che le avevano fatto provare la vera felicità, portandola in Paradiso.
Ma a cosa sarebbe servito cancellare quei ricordi dalla sua mente, se erano incisi indelebili nel suo cuore?
«È finita! È finita! È finita!» ripeteva meccanicamente, come un disco rotto, picchiettando la fronte contro le ginocchia, lasciando che nuove stille salatele rigassero le gote. Non credeva che avrebbe pianto così tanto; nonostante la stanchezza, sembrava che il suo corpo non conoscesse alcun limite, visto che le lacrime cadevano copiose da ore.
Biasimava il suo orgoglio, il quale l'aveva portata ad allontanarlo senza avergli permesso di spiegarsi, senza avergli dato modo di difendersi dalle sue motivate accuse. Ancora una volta si ritrovava divisa in due parti: cuore e ragione che si contrapponevano, combattendo una battaglia ad armi pari, dalla quale solo lei ne sarebbe uscita sconfitta, deturpata nel peggior modo possibile.
Sophie era esausta, oppressa dalle sue paure, dai suoi sentimenti che la portavano perennemente a soffrire, ritrovandosi ancora una volta a combattere contro l'abbandono, a curare da sola delle ferite che sapeva non si sarebbero mai rimarginate. Nemmeno il tempo avrebbe potuto aiutarla, perché, come per suo padre, sapeva che quegli squarci sarebbero stati per sempre lì, ricuciti in qualche modo, ma pronti a farle del male appena i ricordi l'avessero condotta da lui.
«Amica mia, calmati ti prego. Sono certa che tra lui e Annie non sia successo nulla!»Giorgia cercò di riscuoterla. Sophie, alle sue parole, si immobilizzò e tornò a osservarla, stavolta vedendola veramente. Sentir pronunciare il suo nome fu un duro colpo, il quale le artigliò gli organi, smorzandole il respiro.
«Lo difendi anche tu, ora?» chiese in completo affanno. Nei suoi occhi si poteva leggere la richiesta di aiuto nell'essere solidale con lei; aveva bisogno che la sua migliore amica, in quel momento, fosse la spalla su cui piangere, la sua confidente, il suo porto sicuro, invece della sua coscienza.
Giorgia le accarezzò i capelli, dandole poi un bacio sulla fronte, prima di rimettersi in ginocchio davanti a lei.
«Io starò sempre dalla tua parte, ma non voglio vederti soffrire inutilmente.Vai da lui, parlate di nuovo e-». Sophie si alzò di scatto, strinse gli occhi e si tappò le orecchie con le mani, scuotendo la testa. Si allontanò, senza dire una parola, finché non arrivò davanti alla porta che l'avrebbe condotta fuori dall'appartamento.
«Ho bisogno di stare da sola!» Affermò rotta, voltandosi un'ultima volta verso l'amica, per poi uscire.
Una parte di lei, forse dettata dalla speranza, era certa che Giorgia avesse ragione, ma ce n'era un'altra, ben consistente, che diffidava del bel Motolese;non riusciva a pensare con lucidità, si sentiva soltanto affogare in un mare di dubbi e tribolazione, senza riuscire a emergere. L'unica sua certezza, oltre al consistente dolore, era il senso di incompletezza che provava da quando Francesco se n'era andato. Il dolore la avvolse con il suo oscuro manto,trascinandola negli abissi, dai quali non sarebbe più riemersa.
*Spazio Autrice*
La nostra Sophie sta soffrendo molto in questo momento. So che tante di voi non capiscono il suo comportamento, ma cercate di mettervi al suo posto: ha sbagliato a non far parlare Francesco, questo è certo, ma è una donna che ha subito dei tradimenti in passato, con scarsa autistima, e queste cose l'hanno resa diffidente e abbastanza prevenuta.
L'appuntamento è al prossimo capitolo, incentrato sul bel Motolese e sul suo post-rottura.
Bacioni, Sara.
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