Capitolo 40 - Alza lo sguardo verso il cielo (Parte 3)
*Si consiglia l'ascolto della canzone durante la lettura*
Francesco percepì il suo cambio d'umore, udendo i singhiozzi che non era riuscita a contenere. Si mise velocemente seduto, portandola poi ad alzarsi insieme a lui, preoccupato dalla situazione.
«Ehi, che succede?» Le spostò le ciocche ribelli che le nascondevano il viso, posando infine le mani sulle sue esili spalle.
«Non lo so perché sto piangendo. Io... mi sono ritrovata improvvisamente a pensare a mio padre. Non lo faccio mai, non pensavo facesse ancora così male.»
Si coprì il volto con le dita, poggiandosi sul petto del ragazzo, il quale si ritrovò a stringerla in un caloroso abbraccio e a darle piccoli baci sul capo in attesa che si calmasse.
Restarono diversi minuti in quella posizione, in un silenzio spezzato ogni tanto solo dai singulti di lei. Un'ondata di emozioni distruttive l'aveva travolta, portando alla luce tutti quei sentimenti che pensava di aver superato e che credeva non le facessero più male. Dopo aver preso dei profondi respiri, si scostò dal corpo caldo del bruno, puntando gli occhi in quelli di lui, il quale continuò ad accarezzarla, guardandola con dolcezza.
«Ti va di parlarmene?» Sophie non era certa di voler aprire del tutto quell'argomento. Era terrorizzata di quello che sarebbe potuto riemergere e non sapeva se sarebbe riuscita ad affrontarlo.
Alzò lo sguardo al cielo, notando una piccola stella che continuava a brillare, lottando contro l'alba imminente che l'avrebbe inghiottita a breve; penso alle parole del padre di Francesco, a quanto i problemi sarebbero potuti diventare piccoli se visti da una diversa angolazione, così raccolse tutto il coraggio che quell'astro le stava diffondendo e, tornando a puntare i suoi smeraldi in quelli di lui, iniziò il suo racconto.
«I miei genitori si separarono quando io avevo solamente due anni. Mio padre era il classico uomo padrone, che non permetteva alcuna libertà a mia madre; non voleva neppure che lavorasse, perché aveva paura potesse conoscere un altro uomo, nonostante lui avesse varie amanti sparse nella città.»
Sophie fece una smorfia di disgusto dopo aver pronunciato quelle parole, immaginando come potesse essersi sentita relegata la donna più importante della sua vita in quel rapporto asfissiante.
«Quando una vicina di casa informò mamma delle scappatelle del marito, mentre lei era al mare con me e nonna, tornò a casa prima del tempo, cogliendolo con le mani nel sacco. Prese così tutte le nostre cose e tornò a vivere per alcuni mesi a casa di sua madre e mia zia, portandomi ovviamente con sé. Mio padre non ci provò nemmeno ad avere l'affidamento congiunto, era stato deciso dal giudice che i primi anni avrebbe potuto vedermi quando voleva, ma solo in presenza di qualcuno. Mamma aveva paura che, per farle un dispetto per essersene andata, mi avrebbe potuta portare via, quindi non si fidava a lasciarmi da sola con lui.
Mi disse che i primi tempi veniva tutte le domeniche a trovarmi, giocava insieme a me e pregava lei di perdonarlo, chiedendole di tornare a casa con lui per il bene della nostra famiglia. Quando capì che mia madre non voleva saperne di ricominciare da capo, terminarono pure le visite domenicali.»
Sophie dovette abbassare lo sguardo verso le sue mani, le quali vennero prontamente strette da Francesco, che era restato fino a quel momento in religioso silenzio, con un lieve accenno di rabbia che gli stava scoppiando nel petto.
«Mamma riuscì a trovare lavoro velocemente, ma il giudice aveva ovviamente stabilito un importo che mio padre avrebbe dovuto versarle ogni mese per gli alimenti. Trovammo un bilocale vicino a casa della nonna in concomitanza all'inizio della scuola materna; per mia madre fu una manna dal cielo che ci fosse mia nonna che mi accompagnava e mi veniva a riprendere, così da non dover chiedere permessi i primi tempi, mostrandosi dedita al lavoro.
Non ho molta memoria di quel periodo, credo sia normale che i ricordi così lontani vengano sostituiti da altri, però ricordo un particolare delle elementari; ero seduta sui gradini esterni della scuola, mentre attendevo che mia madre uscisse per la pausa pranzo e venisse a prendermi. I bambini erano rincasati, eravamo rimasti in pochi ad attendere l'arrivo di un genitore. Vidi un mio compagno di classe correre incontro a un uomo, saltargli in braccio gridando entusiasta "papino" e venire avvolto in un caloroso abbraccio. In quel momento mi domandai perché io non potevo avere la stessa fortuna, perché mio padre non veniva mai a trovarmi, stringendomi con lo stesso affetto che vedevo in altri genitori.»
Francesco sentì una lacrima, proveniente dalla sua interlocutrice, bagnargli la mano; abbassò lo sguardo verso quella goccia salata, per tornare poi a puntarlo in quelle profonde iridi verdi che sembravano essere diventate dello stesso colore del mare.
«Ricordo che lo chiesi a mia madre non appena salimmo in macchina e lei mi rispose che papà lavorava molto ed era impossibilitato, ma che avrebbe provato a chiamarlo, chiedendogli se un giorno sarebbe riuscito a trovare un momento libero. Ai tempi non capivo che mi stesse mentendo per non farmi vedere la dura realtà; voleva proteggere la mia illusione di avere un padre che mi amava, nonostante non lo vedessi e sentissi mai. Così la sera lo chiamammo, ero in imbarazzo perché non sentivo mai la sua voce, ma con emozione gli domandai se un giorno sarebbe riuscito a venirmi a prendere a scuola e lui mi rispose di sì. Il giorno dopo annunciai a tutti i miei compagni che forse, quella mattina, avrebbero potuto conoscere il mio papà e lo attesi con ansia fuori dalla scuola al termine delle lezioni. Lo aspettai il giorno dopo e quello dopo ancora, così via... inutile dirti che non arrivò mai.»
Inspirò rumorosamente col naso, cercando di trattenere nuove lacrime che le stavano pizzicando la sclera.
«Oh, Sophie...» Francesco sciolse l'intreccio di una mano per portarsela vicina, farle sentire quel calore maschile che le era stato privato nei primi anni della sua tenera vita, il quale non dovrebbe mai mancare a nessun bambino.
«Aspetta, perché adesso arriva il bello...» Con riluttanza tornò a sedersi composta su quello schienale, sapendo che non sarebbe riuscita a continuare il suo racconto se fosse rimasta tra le braccia del bel bruno.
«Passai l'adolescenza con un motivato odio nei suoi confronti; se da bambina mi davo delle colpe sul fatto che potessi non essere alla sua altezza, da ragazzina capii che mortificarmi non aveva senso, perché non dipendeva certo da me se non ricevevo mai una telefonata al mio compleanno, se non presenziava agli avvenimenti importanti come la mia comunione o la cresima, mentre a quella dei miei cugini sì. Mia madre rappresentava entrambe le figure genitoriali; lo devo a lei se ora sono quella che sono. Per i miei diciott'anni mi regalò un viaggio a Roma, perché da sempre sognavo di vedere la capitale. Quel giorno però, ricevetti un altro regalo inatteso: la telefonata di mio padre.
Non sapevo cosa dirgli mentre mi domandava come stessi e se ero emozionata per quel cambiamento. Da lui avevo ricevuto solo una prolungata assenza e in quel momento, come se niente fosse, mi poneva una raffica di domande e mi invitava ad andare a trovarlo. Ci vollero mesi prima che trovassi il coraggio per farlo e nel frattempo ricevevo una telefonata a settimana. Non capivo a cosa fosse dovuto quel cambiamento, ma ne fui felice. A Pasqua passò a casa portandomi un uovo al cioccolato, che ovviamente non potevo mangiare: non si ricordava che sua figlia avesse l'allergia al glutine. Eppure non mi importò, perché a me era bastato il pensiero.
Una volta saputo l'esito degli esami del diploma presi l'autobus e corsi a lavoro da lui, entusiasta di annunciargli la mia buon'uscita. Non mi aspettavo grandi festeggiamenti sinceramente, ma nemmeno di sentir pronunciare determinate parole.»
Sophie iniziò a ridere istericamente, una risata accompagnata da nuove lacrime che mandò in confusione il povero Francesco, sconcertato da quel racconto. Non riusciva a capacitarsi di come qualcuno potesse disinteressarsi della propria figlia e di come potesse essersi sentita lei, mentre si accusava di colpe non sue.
«Entrai nel suo ufficio con un enorme sorriso, mostrandogli con fierezza il mio ottanta e lui, dopo avermi abbracciata, mi consegnò il suo regalo: un foglio sul quale erano stati stampati una trentina di annunci di lavoro. Aveva cerchiato in rosso quelli che cercavano una figura, anche senza esperienza, come impiegata. Quando gli domandai il perché di quel strano dono, mi disse con naturalezze che dovevo iniziare a costruire subito il mio futuro, così da non dover gravare più sulle spalle di mia madre e sulle sue. Capii in quel momento il perché del suo improvviso interesse; finché non avrei trovato lavoro, lui sarebbe stato costretto a versare ogni mese un importo per gli alimenti a mia madre.
Finsi di ringraziarlo per la sua premura, per poi uscire dal suo ufficio senza più farmi rivedere. Lui continuò a chiamarmi ogni settimana, ma mamma diceva sempre che ero fuori anche quando ero in casa. Non volli più saperne niente di lui e penso che lo capì dopo poche telefonate, visto che non mi cercò più.»
Prese un profondo respiro, prima di aggiungere l'ultimo tassello di quel puzzle, di quella parte importante della sua vita che non aveva mai raccontato a nessuno.
«Mio padre è morto per un incidente quattro anni fa. Era malato e secondo i medici ha avuto un malore che l'ha portato a sbandare, finendo al suolo. Fu mia madre, in lacrime, a darmene la notizia, mentre io ero seduta alla scrivania a leggere. Le dissi solo "okay", sentendomi poi braccata in una stretta che chiedeva conforto. Mia madre aveva amato molto mio padre in passato e, anche se la loro storia era terminata in malo modo, lei gli aveva donato una parte importante del suo cuore e lui gli aveva permesso di avere me, "l'amore più grande che avesse mai avuto"; così mi disse.
Se andai al suo funerale fu soltanto per essere vicino a lei. Persone mai viste mi stringevano la mano per farmi le condoglianze, mentre io restavo impassibile, ringraziandoli della loro presenza, fredda come un diamante grezzo, impossibile da scalfire.
Le lacrime scesero alcuni giorni dopo, quando sentii per sbaglio una conversazione tra mia madre e mia zia, dove le riferiva quello che un'anziana signora le aveva raccontato. Mio padre faceva la guardia in un cimitero, aveva lasciato a quella donna, che aveva perso il figlio e lo andava a trovare ogni giorno, una coppia delle chiavi del cancello, così sarebbe potuta andare a qualsiasi orario. Lei lo ricordava come una persona di gran cuore, che faceva gesti caritatevoli; effettivamente è stato un pensiero molto carino quello di mio padre, ma è pur sempre la stessa persona che se n'è fregata altamente della propria figlia, la stessa persona che si perdeva le recite scolastiche, i compleanni, le feste, qualsiasi cosa facesse parte della mia vita e allora mi chiesi perché quello stesso uomo, capace di provare una simile empatia per un'estranea, non fosse stato capace di volermi bene, di donarmi un briciolo di amore. Perché mi avesse fatto crescere con l'idea che ogni uomo prima o poi mi avrebbe abbandonata, visto che non ero abbastanza neppure per la persona che mi aveva generato.»
Sophie scoppiò nuovamente a piangere a dirotto, stavolta buttandosi tra le braccia del ragazzo che aveva davanti, il quale la strinse con forza, incapace di rispondere a quel quesito. Come aveva potuto suo padre abbandonarla in quel modo? Come aveva potuto stillare in lei dei dubbi così profondi che l'avevano portata non ritenersi degna di essere amata? Vide la fragilità di quella splendida ragazza, innamorandosene più di prima, desideroso di essere il suo punto fermo, quello che non era riuscito ad avere prima.
«Piccola, ora calmati. Nessuno potrà districare i tuoi dubbi, ma non darti colpe che non hai. Quell'uomo non sa cosa si è perso non vedendoti crescere, non potendo conoscere la splendida donna che sei diventata.»
Sophie strinse la giacca di lui, accoccolandosi maggiormente al suo petto, come a volersi fondere per diventare un tutt'uno.
Si lasciò cullare dall'affetto di Francesco, da quelle braccia che la stringevano, facendo fuoriuscire tutte le sue lacrime, fino a calmarsi.
Quando si accorse che era tornata a respirare normalmente, le fece una proposta.
«Ti va di ballare con me?»
*Spazio Autrice*
Buongiorno a tutti, oggi capitolo più lungo del solito, ma era impossibile spezzarlo; siete arrivati tutti interi alla fine? Questa è una parte della nostra Sophie che l'ha segnata molto e non ha mai voluto condividere con nessuno, finora...
Non ho molto da dire perché questo capitolo per me è molto importante e spero che, almeno in minima parte, un po' vi sia arrivato.
Vi aspetto sabato per l'ultima parte di questo capitolo; armatevi di cuffiette, perché i nostri protagonisti balleranno insieme a voi :)
Baci, Sara
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