8. Messaggio

Martina

Ci sono delle volte in cui, quando si contatta Kimi, bisogna aspettare per un'intera settimana e mettersi il cuore in pace, prima di ricevere una risposta. Altre volte invece — anche se queste sono rare — risponde subito. E oggi è un giorno fortunato.

Il messaggio di Kimi mi arriva quasi subito, chiaro segnale che sta usando il telefono, a casa. Mi manda il numero dell'idiota e lo accompagna da tre faccine che hanno le lacrime dal ridere. Contento lui, io di sicuro non lo sono.

Tiro fuori il telefono e, anche se sto guidando per tornare a casa, cerco di memorizzare in rubrica il nuovo numero. Siccome la strada è abbastanza impegnativa, lo salvo solo con una "i", che, con molta fantasia, sta per idiota.

Subito dopo metto via il telefono e continuo ad usare la funzione dei comandi vocali; è troppo pericoloso continuare a guardare lo schermo del cellulare.

«Vettel, ma perché mi stai seguendo? Mi sembra di avertelo già detto che io non ho bisogno di una cazzo di baby sitter!» Parlo io a voce alta, sperando che il sistema capisca le giuste parole. Pazienza se sbaglierà, penso che il tedesco sia in grado di interpretare; il messaggio mi sembra abbastanza chiaro.

La risposta non tarda ad arrivare «Se mi fossi fidato di te, ora saresti ancora per terra, in mezzo al bosco! Smettila di sbandare e presta attenzione alla strada. Dico sul serio, che cosa ti salta in mente di fare, eh? Hai una caviglia infiammata! Alla nostra destra c'è solo una staccionata a separare la strada da un baratro e dalla morte!»

Rido per il modo in cui la voce meccanica dell'auto legge il messaggio, sbagliando qualche pronuncia. Dentro di me penso ad una pubblicità di un po' di tempo fa, in parte simile alla situazione in cui mi sto trovando adesso. E rido anche perché Vettel si sta preoccupando per me. Chi crede che io sia? Sta aspettando forse che io faccia un incidente?

«Smettila di seguirmi, sono già a casa ormai. Non è necessario!» Esclamo di nuovo io, prima di pronunciare la frase «Invia messaggio a "i".» Non ho parole, questa situazione sta diventando paradossale.

Non ricevo nessuna risposta, allora tento di lasciare perdere, sperando che Vettel abbia ricevuto il mio messaggio e che presto se ne vada. In ogni caso, ormai sono pochi i chilometri a separarmi da casa.

Purtroppo però mi accorgo che le mie parole non sono state ascoltate. Tipico da lui, penso dentro di me, mentre mi appresto ad entrare nel vialetto di casa con la macchina. Mi chiedo che cosa voglia fare ora il pilota della Ferrari. Spero davvero che se ne vada, in fondo, sono già a casa.

Prendo il mio mazzo di chiavi e spingo un pulsante per far aprire il cancello. Se solo si chiudesse in fretta, potrei essere sicura che Vettel se ne stia fuori, ma è probabile che venga a farmi la ramanzina per aver guidato con il telefono in mano e con una caviglia infortunata.

Mi chiedo come faccia Kimi a sopportarlo; proprio non lo capisco.

Come previsto, appena parcheggio davanti a casa, vedo dietro di me i fanali di un'altra macchina: il SUV di Vettel. Aspetto ad entrare solo per sentire che cosa ha da dire. Penso che presto mi farò due risate e gli chiuderò la porta in faccia. Mi diverto troppo, in questo casi.

Mentre aspetto, disattivo l'allarme è apro la porta principale, tanto per mettermi avanti con le cose. Il letto mi attende, non vedo l'ora di mettermi sotto le coperte!

Sento dei passi farsi più vicini e allora mi volto, nella direzione del tedesco.

«Martina, che cosa ti salta in mente di fare? Scegliere quella strada, dopo tutto quello che è successo oggi! Se non ti avessi trovata... Martina, non dovevi!»

Io sorrido, Vettel sembra arrabbiato.

«Perché ti interessa tanto di me? Ti ho già ringraziato per quello che hai fatto, però ora basta. Sono a casa, sono sana, sono salva e tu te ne devi andare!» Le mie parole risuonano nel silenzio della notte; per fortuna che non ho vicini, altrimenti, sentendo questa conversazione, si sarebbero svegliati già da un pezzo.

Vettel chiude la distanza che ci separa —  anche se si trattava comunque di pochi passi — e mi sfiora il polso destro con le sue dita e mi guarda negli occhi «Martina, mi sono innamorato di te. Non so bene come e quando questo sia successo, forse mentre dormivi, quando io... ti ho guardata per un po' e io...» Fa una pausa, per poi dire tutt'ad un fiato «Martina, sei una donna affascinante e voglio conoscerti, perché so che non sei realmente così come-»

Io lo interrompo, anche se mi dispiace. Non mi aspettavo queste parole da parte sua. «Così come? Vettel, io sono così e basta. Mi dispiace se ti sei illuso di trovare in me un'altra persona.»

Lui ribatte subito, per niente scoraggiato «Martina, pensaci bene. Non penso che questo tuo tentativo di chiamarmi con il mio cognome sia casuale. Hai presente i diamanti? Quelli che si trovano in profondità, nel cuore della Terra? Non sono bellissimi? Eppure non sono così, appena trovati, tra le rocce che custodiscono il loro valore. Ti sei mai chiesta come faccia la gente a stimare il valore delle cose?» Domanda lui, rivolgendosi a me.

Io sono confusa e non riesco a rispondere.

«Martina, io so che stai facendo di tutto per allontanarmi. O forse non te stai accorgendo, però io... io davvero, mi sono innamorato di te. Martina, sei il mio diamante; tu brilli già ai miei occhi e penso che certe volte serva soltanto qualcuno che sappia cogliere la bellezza celata dietro alle cose, dietro alle persone.»

Ho intenzione di dire qualcosa, anche se non ho bene idea di che cosa dire. Parlo usando una citazione, perché non saprei come descrivere meglio come mi stia sentendo in questo momento «Mi hanno piantato dentro così tanti coltelli che quando mi regalano un fiore all'inizio non capisco neanche cos'è. Ci vuole tempo.»

Mi allontano di due passi, aspettando la reazione del tedesco.

«Questo è Bukowski, Martina. Dimmi con tue parole quelli che pensi.» Dice lui, cercando il mio sguardo. Io non sono in grado di sostenerlo, come non sono in grado di sostenere questa conversazione.

«Vattene, ti prego, non so che altro dire.» Mi volto, apro la porta e la chiudo subito dopo dietro di me. Forse vorrei sentire la persona dall'altra parte bussare per entrare, ma poi io la lascerei entrare? No, almeno non penso. 

In silenzio, sento Vettel rientrare in macchina e iniziare a fare manovra per uscire. Forse avrei voluto che non si arrendesse così presto. È vero, mi hanno piantato dentro così tanti coltelli, che non so nemmeno cosa sia un fiore. Petali o lame? Sto iniziando a piangere, senza ben saperne il motivo.

Perché sto così male? Le lacrime continuano a scendere e io non sono ancora consapevole del vuoto che sento dentro. Porto la mano alla tasca centrale della felpa, ma la trovo vuota; il telefono è rimasto in macchina. Allora apro la porta e corro fuori, nel disperato tentativo di non perdere tempo.

Prendo il telefono e torno in casa, poi, subito dopo aver toccato lo schermo per cercare il contatto memorizzato con la sola lettera "i", inizio a camminare per il corridoio dell'entrata. Sono nervosa e sto ancora piangendo. Che cosa mi sta succedendo?

Dall'altra parte del telefono, si sente una voce chiedere «Martina, va tutto bene?» Io continuo a piangere, ormai le lacrime mi impediscono di parlare e credo che no, non vada tutto bene.

«Rispondi Martina, va tutto bene?» Chiede lui insistentemente.

Io prendo fiato e, tra un singhiozzo e l'altro riesco a dire «No, Sebastian, non va tutto bene. Mi dispiace per prima, non avrei dovuto reagire in quel modo. Sebastian, davvero, mi dispiace, tu hai aperto il tuo cuore, mentre io ti ho trattato da schifo. Scusa, mi sentivo in colpa e ti ho chiamato. Ecco tutto, capisco se non mi vorrai più parlare.» Realizzo solo in questo momento di averlo chiamato Sebastian e non con il suo cognome.

«Martina, ascoltami, va tutto bene. Devo venire lì? Sono solo a pochi chilometri di distanza, penso di ricordarmi-»

«No, no, non preoccuparti.» Lo interrompo io, poi continuo «Va bene Sebastian io... sai, anche io voglio conoscerti. Però devi avere pazienza. Hai visto quello che è successo poco fa, sono una persona orribile.»

«Mar, posso chiamarti così?» Chiede lui, titubante.

«Chiamami come vuoi, ora non ha importanza.» Esclamo io decisa. Che cazzo c'entra adesso questa cosa?

«Bene, Mar, devi avere fiducia.»

Io sono sempre più confusa «Sebastian, io non ho fiducia nelle persone, come faccio a-» Lui mi interrompe e mi spiega con dolcezza «E se invece provassi a fidarti di noi? Non potrà mai essere difficile quanto farlo con una persona sola, dopotutto, ci sei anche tu, qui in mezzo.»

Finalmente ho smesso di piangere. Proverò ad aver fiducia, ma come farò?

Sebastian continua «Mercoledì prossimo, al Zugersee, in corrispondenza della capanna di legno e del porticciolo. Vediamoci là, prima non posso, perché ho la gara in Belgio.»

Un sorriso compare sulle mie labbra «Va bene, ci sentiamo poi per l'orario.»

«Certo Mar, se ci sono dei problemi scrivimi. Buonanotte.»

«Buonanotte Sebastian.» Dico io, pronunciando il suo nome con un sussurro. È o non è una parola preziosa? Di sicuro lo è, non può essere altrimenti.

Prima di spegnere il telefono e andare a letto mi rimane un'ultima cosa da fare. Tocco il contatto "i" e lo rinomino con "Seb". Lo guardo soddisfatta; ho fatto un bel passo avanti, da Vettel a Seb in un solo giorno!

Direi che posso essere fiera di me stessa.

Forse Sebastian ha ragione, se avrò fiducia in lui e in noi, potrò migliorare.

Lo spero davvero.

— 

Buongiorno!

Dopo tanto tempo ritorno a scrivere qualcosa in questo spazio, ma è dedicato a Seb: 

Dietro alle nuvole il sole splende, sempre. Non arrenderti Seb non farlo mai. ❤️

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