5. Paura?
Sebastian
Quando io e Kimi arriviamo alla pista, Martina ha già iniziato a fare il suo allenamento. Kimi parcheggia il quad vicino ad un albero, in modo che sia fuori dai piedi; poi mi dice di seguirlo «Andiamo Seb, ti mostrerò quanto è in gamba il mio pilota!» Esclama lui, visibilmente fiero.
Raggiungiamo una collinetta artificiale, poi ci spostiamo un po' rispetto alla traiettoria ideale. Meglio non rischiare.
«Ancora qualche giro di riscaldamento, poi inizierà a fare sul serio!» Spiega Kimi, mentre con lo sguardo osserviamo il pilota della moto numero 6.
Non a caso ci troviamo nel punto più alto del circuito; da qui c'è una discreta visuale.
«Kimi, dimmi una cosa... Che cosa ti ha spinto a credere in lei? Avresti potuto scegliere chiunque altro, ma perché proprio Martina? Insomma, eri al corrente del rischio che avresti potuto prendere se non l'avessero ammessa alla categoria maschile.» Il mio compagno di squadra non sembra sorpreso dalla mia domanda, suppongo che gliel'abbiano posta già altre volte.
«E perché avere una donna nel team dovrebbe fare così tanta differenza? È vero, ho preso un rischio, ma avevo già visto che quella ragazza aveva talento da vendere! Per fortuna è andata bene, e, in ogni caso, avrei continuato a sostenere Martina; perché stai pur sicuro Seb, una come lei non si trova molto facilmente!»
Come se ci avesse sentito, Martina inizia davvero a fare sul serio e infila una serie di salti atterrando perfettamente in linea con il terreno e mantenendo il controllo della sua moto.
«È un piacere vederla, non credi? Lei ha un modo di guidare, che è estremamente unico. Non saprei come descriverlo, però riesce a combinare l'abilità di una guida corporale, a una grazia pazzesca.»
Non so perché, ma mi viene da sorridere alle parole di Kimi. Non penso che abbia mai speso così tanto fiato per parlare di una persona. Martina dev'essere davvero molto importante per lui.
«Già amico, hai ragione. Mi dispiace solo che i giudici di gara non abbiano penalizzato il suo avversario. Solo un cieco avrebbe preso quella decisione!» Esclamo io, ripesando a quando, dopo l'investigazione di domenica, non sono state applicate sanzioni nei confronti del pilota che ha tolto di mezzo Martina dalla gara e probabilmente anche dal mondiale. Non è ancora detta l'ultima parola, ma se si vuole essere realisti, più di cinquanta punti di distacco non sono pochi da recuperare.
«Seb, nel motocross i giudici intervengono soltanto quando ci sono incidenti gravi, per il resto è tutto considerato come 'normale'. È brutto da dire, lo so, ma purtroppo non tutti gli sport sono uguali.»
Io lo guardo incredulo «Ma l'ha quasi... l'ha quasi...» Non pronuncio la parola 'uccisa', anche se penso che Kimi abbia compreso il senso della mia frase.
«È andata bene, e questo è tutto quello che conta. Ora bisogna pensare a recuperare un po' di punti. Concentrarsi sulle prossime gare è il nostro obbiettivo più importante. E poi sono contento che quel coglione si sia tolto di mezzo! Non era facile gestire Martina quando era contemporaneamente incazzata e innamorata del tipo.» Ammette Kimi, sempre tenendo lo sguardo su di lei.
«Perché? Si sono lasciati?» Kimi mi guarda e non risponde, anche se ho capito quello che voleva dire. Poco dopo però, lui conferma la mia ipotesi «Sì Seb, si sono lasciati grazie a Dio!» Mi viene da ridere a questa affermazione, e al nostro modo di fare gossip all'insaputa della diretta interessata. Vorrei dire qualcosa, ma improvvisamente vediamo la moto di Martina scomparire al di là di una montagnetta di terra, proprio passato il traguardo. La cosa strana è che la moto non ricompare, segnale che qualcosa è andato storto.
Martina
«Mar, magari cerca di stare in sella, invece che continuare a cadere!» Mi rimprovera Kimi, appena dopo essere caduta per la seconda volta. Io sbuffo e mi tolgo per un attimo il casco; sono già bagnata di sudore.
«Sai com'è Kimi, quando ti esce copiosamente del sangue dalla vagina, potresti avere qualche problema di equilibrio!»
Il finlandese si mette a ridere, mentre il suo compagno di squadra fa una faccia schifata. Kimi lo nota e inizia a canzonarlo «Seb, non fare il morto di fig-» Inizio a ridere così rumorosamente che i due mi rivolgono l'attenzione stupiti. Meglio così, il mio team manager certe volte ha bisogno di censure.
«Scusa Mar, non lo sapevo. Per oggi va bene così, vieni a farti una doccia in casa, intanto aiuto Minttu con le pizze.» Mi dice lui, facendomi segno di spegnere il motore della mia moto.
Ma a me non va di finire così il mio allenamento; da tempo ho imparato a mettere tutti i problemi in secondo piano e, anche se sto un po' male, ho bisogno di continuare a girare. Un mondiale non si vince da solo.
In questo momento mi viene in mente Herlings. Oh, se l'avessi qui, gliene direi quattro. Ma forse non servirebbe a molto, parlargli. L'ho già visto in passato. Ho imparato che con lui contano solo i fatti e di conseguenza risponderò con questi, per me non ci saranno problemi.
Così mi infilo il casco di nuovo e ricomincio a girare. Dopo un po', riesco finalmente a concentrarmi soltanto sulla pista e non sento più dolore. Però, con il passare dei minuti, la stanchezza inizia a farsi sentire, il sole sta tramontando e io devo ancora fare la doccia, prima di cena.
Pensando di essere rimasta sola, attraverso il varco che segna l'ingresso del circuito, ma mi accorgo di essermi sbagliata: non solo sola. A malavoglia, mi tolgo il casco e lo appoggio al manubrio. Ma dov'è finito Kimi?
«Il tuo compagno di squadra ti ha abbandonato, Vettel?» Domando io, vedendo il tedesco con le mani in tasca.
«Praticamente sì. Ha detto che doveva andare ad aiutare Minttu con la cena e mi ha lasciato qui, nel caso tu avessi bisogno. Però si è preso il mezzo e ora-» Lo interrompo per evitare che ci sia imbarazzo tra di noi, anche se quello non manca mai, quando ci rivolgiamo la parola.
Decido di fare la carina e lo invito a salire «Ti dò un passaggio io, ti sporcherai un po' i pantaloni di fango, ma di sicuro sarà meglio che farsi chilometri e chilometri a piedi, al calare della sera!»
Lui non dice di no e si appresta a salire «Grazie Martina, accetto con piacere.» Mi dice poi con un sorriso.
Quando sto per prendere in mano il casco, mi accorgo che lui non ha il suo. Sarà meglio che stia attenta, non voglio avere un pilota della Ferrari sulla coscienza.
Mi metto il casco, poi aspetto che Vettel si sistemi, dietro di me. Gli dò un po' di tempo, ma le sue mani sfiorano i miei fianchi a malapena. Senza dire niente, alzo gli occhi al cielo e afferro prima la sua mano destra, la faccio passare intorno alla mia vita, fino ad arrivare al mio fianco sinistro; poi faccio lo stesso con la mano opposta.
Sento il suo corpo vicino, vicinissimo, ma devo lasciare perdere l'imbarazzo, ora la sicurezza è quella che conta veramente. Controllo che la posizione delle sue gambe sia a posto, poi inizio ad accelerare, ma con estrema cautela. Se fossi da sola, in questo momento, potrei perfino divertirmi tra tutte queste splendide stradine, ma adesso non ci penso minimamente.
Non so perché, ma ho quasi... paura. Paura perché non si tratta più soltanto di me e, in un senso più generale, della mia vita, che, ogni tanto, erroneamente credo di poter controllare con troppa sicurezza. Questa volta, appesa alla mia vita, ce n'è un'altra; ed è per questo che ho paura. Non posso cadere, non potrei mai permettermelo. È tutto il pomeriggio che mi gira la testa ed effettivamente ho problemi di equilibrio. Forse avrei dovuto annullare l'allenamento, ma ora questo non conta.
Allora tento di lasciar perdere questo pensiero e mi concentro su quello che ho devo fare: guidare. Faccio il possibile per evitare le buche più grosse; inoltre cerco di non farmi prendere troppo la mano ed evitare le brusche accelerate. Certo, se lui si fosse messo il casco, in questo momento sarei più tranquilla. Ma cosa dovevo fare? Lasciarlo in mezzo al bosco, nell'attesa che Kimi venisse a riprenderlo?
Kimi, che idiota, sono quindi sicura che avrà fatto apposta, ad andarsene!
La risposta è che non potevo fare altro, se non dargli un passaggio. In fin dei conti, lui è stato molto gentile con me domenica. Diciamo allora che questo è un modo per sdebitarmi, anche se ovviamente non glielo dirò.
Tiro un sospiro di sollievo quando vedo il familiare cancello della villa di Kimi. Quando scendo dalla moto, mi accorgo di essere più sudata di quanto non lo fossi già prima. Che schifo, sarà meglio correre subito a fare una doccia.
Noto che Vettel si sta passando più volte le mani tra i capelli, così dico scherzosamente «Mi sa che ti dovrai lavare i capelli, mi dispiace, ho cercato di fare del mio meglio, anche se è da un po' che non piove e per le strade c'era un po' di polvere.»
Lui mi fa un altro sorriso; uno di quelli veri e genuini, e spontaneamente, quasi contagiata da lui, mi viene da sorridere.
«Tranquilla Martina, grazie per il passaggio. E grazie per aver tenuto un pochino a me.» Dice lui, a bassa voce, riferendosi quasi sicuramente alla mia guida 'sicura' e alla sua vita. Sono contenta che non abbia avuto paura e che lui si sia accorto dei miei sforzi. Non era difficile che lo capisse, dopotutto, da pilota a pilota, sono pochi i segreti che si possono mantenere.
Insieme entriamo in casa, ma io non salgo in cucina; mi fermo nel bagno che uso di solito quando Kimi e sua moglie mi ospitano gentilmente a casa loro. Non è la prima volta che mi fermo a dormire, ma questa sera ho voglia di andare a casa; non sto bene e ho bisogno del conforto delle mie coperte e del mio letto.
Entro nella 'mia camera' e mi chiudo la porta alle spalle. Poi mi tolgo la tuta e la lascio sul pavimento, dato che è sporca di fango. Prima o poi dovrò pensare di lavarla; quelle di ricambio non sono infinite.
Faccio partire un po' di musica dal telefono ed entro in bagno. Ho intenzione di godermi una bella doccia rilassante e bollente, nonostante io sappia già che Kimi verrà a bussarmi alla porta minacciando di sfondarla. Mi prenderò tutto il tempo necessario, anche perché non è che muoia dalla voglia di cenare con uno sconosciuto (o quasi). Kimi mi ha parlato del suo compagno di squadra soltanto poche volte, quindi non lo conosco un gran ché.
E non ci tengo neanche a farlo.
Un pilota è già stato abbastanza; non commetterò lo stesso errore.
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