46. Tanto da farmi tremare il cuore
Sebastian
È già buio quando esco dalla fabbrica. La seconda prova del sedile è durata più del previsto e ora non vedo l'ora di andare a casa. Prima però devo mangiare.
Un paio di ragazzi della mia squadra mi hanno invitato a mangiare una pizza con loro e ho accettato, a patto di andare via subito dopo cena. Avevo promesso a Martina di essere a casa prima di sera, ma purtroppo non ci sono riuscito.
Odio i contrattempi.
In ogni caso, mangiare una pizza in compagnia è molto meglio che mangiarla da solo. Sono uno degli ultimi ad arrivare al ristorante; quasi tutti sono già seduti con il menù in mano. I posti vicino a Riccardo e ad Antti sono già occupati, quindi mi siedo dove c'è posto.
«Ti abbiamo messo vicino ai due giovanotti della squadra, così potrai conoscerli meglio.» Mi dice Riccardo dall'altra parte del tavolo. Io li guardo e li saluto. Effettivamente sono giovani; avranno più o meno venticinque anni. Non sapevo che mi avessero messo due ragazzi nuovi dal 'mio lato box', anche perché nessuno me ne aveva parlato prima d'ora. Mi presento a loro e gli stringo le mani. Sono entrambi mori; uno porta gli occhiali e l'altro no. Quello senza si chiama Matteo, l'altro invece si chiama Francesco.
Vorrei scambiare qualche parola con loro per fare un po' di conversazione, ma dovrei anche scegliere la pizza, così guardo un attimo il menù. Alla fine opto per una classica margherita, che però ho intenzione di accompagnare con una birra media. Direi che oggi io me la sia meritata.
Quando allungo il menù verso centro tavola, insieme alla pila degli altri, rivolgo l'attenzione sui miei due nuovi colleghi. Li ho già visti nei giorni scorsi, anche se non immaginavo che venissero aggiunti nel 'mio team'.
«Sostituite Mauro e Giovanni?» Gli domando, rivolto ad entrambi. Non avendo molta fantasia, non sapevo proprio come iniziare una conversazione, ma ottengo l'effetto sperato: Francesco, l'occhialuto, risponde «Esatto! Durante gli anni di università abbiamo lavorato in stretto contatto con la Ferrari, in particolare proprio in preparazione per entrare nella Squadra Corse. Ed ora che è finalmente giunto il momento, non riusciamo a credere di iniziare a lavorare per te!» Matteo guarda il suo amico con la faccia tutta rossa. Probabilmente è molto più timido rispetto a Francesco.
«È sempre bello confrontarsi con gente più giovane!» Esclamo io, per fargli un po' di coraggio. Mi ricordano un po' me stesso, anni fa. Non dico di essere entrato in un mondo sconosciuto, ma era tutto così nuovo e, come ogni inizio, mi ci sono voluti alcuni mesi per ambientarmi.
Continuiamo a parlare fino all'arrivo delle pizze. Se Mattia Binotto ha voluto dargli fiducia, vuol dire che li considera assolutamente competenti per il ruolo che andranno a ricoprire all'interno della squadra. Io mi fido di lui.
Come promesso, finito di mangiare la pizza, saluto tutti e mi avvio verso l'uscita del ristorante. Abilito di nuovo la suoneria del mio cellulare e, per pura coincidenza, mi inizia a suonare il telefono. È Mattia e mi sta chiamando con il numero del suo ufficio. Che sia ancora in fabbrica?
«Pronto?» Dico io, camminando verso la mia macchina.
«Sebastian ciao, mi dispiace disturbarti, ma ho avuto un breve meeting con i motoristi e per i dati che abbiamo, siamo pronti per fare il piano annuale delle componenti che presumibilmente verranno usate nel corso della stagione. Come sai, i dati non bastano e, visto che Charles mi ha detto di essere a circa un centinaio di chilometri da Maranello, volevo chiederti se verresti a darci la tua opinione. Io e altri ingegneri abbiamo già valutato tutto in un incontro con i produttori, gli addetti al controllo qualità e i fornitori esterni. Si tratta solo di dare l'ok definitivo per spedire le prime componenti in Australia.»
Ovviamente so perché Charles non può essere qui. In questo momento starà ritornando dalla sua serata con Martina. Non è colpa sua; dopotutto le ha fatto compagnia e di questo ne sono contento, però insomma, ora mi tocca tornare al lavoro ed è già tardi. Tutto quello che vorrei fare è tornare da mia moglie e da mia figlia, ma come posso fare? Non ho altre alternative.
«Sì, dammi dieci minuti e arrivo» Rispondo. Prima di appoggiare il telefono al cruscotto della macchina ed avviare il motore.
«Grazie Seb, sei davvero un grande.» Dice Mattia, tirando forse un piccolo sospiro di sollievo. Se fossi anche io nei suoi panni, mi sentirei uguale. Non penso che gli faccia piacere chiamare i suoi dipendenti all'infuori dell'orario di lavoro. Che poi non è che io abbia un orario di lavoro fisso, ma so sempre che prima di sera dovrei essere a casa.
Anche se non si dovrebbe, mentre guido, cerco il contatto di Martina per poterle parlare. Non ho assolutamente avuto tempo per aspettare che il telefono si collegasse allo stereo dell'auto, e in questo momento, ho i minuti contati. Il minimo che possa fare è avvisarla che arriverò a casa più tardi. Risponde quasi subito.
«Mar? Sono io.» Dico, prima di entrare dal cancello della fabbrica. La pizzeria non era molto distante; sono già arrivato.
«Ciao Seb!» Esclama lei radiosa.
«Tutto bene a casa? Mattia mi ha appena chiamato e mi ha detto di ritornare in fabbrica. Vorrei morire, ma ci devo andare, altrimenti le componenti non partiranno in tempo per arrivare in Australia.» Le spiego io, chiudendo la portiera della macchina.
«Ok, ci vediamo dopo allora?» Mi domanda Martina.
«Sì, appena ho finito torno a casa.» Le assicuro, sperando questa volta di riuscire a mantenere la mia promessa.
«Se quando torni a casa starò già dormendo, ti dò la mia buonanotte. Ti amo, Seb. Stai attento quando torni; se è molto tardi, rimani lì a dormire.» Mi dice, prima che io metta giù. Passo il badge per fare aprire le porte, mentre le luci si accendono al mio passaggio. Ultimamente ho l'impressione di essere sempre qui, ma purtroppo non è solo un'impressione; si tratta della verità.
Raggiungo Mattia in una piccola sala circolare. Con lui ci sono anche altre quattro persone; mi chiedo se siano stanchi quanto me. Di sicuro sì.
Al mio arrivo, Mattia accende il suo pc e ci mostra i dati delle ripartizioni delle componenti. Immagino che la mia presenza non sia del tutto fondamentale, ma se mi hanno chiamato qui ci sarà pure un motivo...
Per fortuna il meeting dura relativamente poco. Mi ritrovo di nuovo fuori dalla fabbrica all'una e un quarto. Le strade sono deserte; se spingerò un po' sull'acceleratore, non dovrei arrivare troppo tardi a casa. Non ho nessuna intenzione di rimanere qui a dormire; ci sono già stato abbastanza.
In macchina, accendo la radio per avere un po' di compagnia. È la prima volta che sto tanto tempo lontano da Martina ed Elise e, forse perché non sono abituato, mi sembra di mancare a casa da un'eternità.
Quando arrivo nella città di Martina, ci metto poco a raggiungere la sua casa. Mi ricordo ancora la prima volta in cui mi sono perso. Ormai ho percorso così tante volte queste strade, che potrei farle ad occhi chiusi.
Tiro fuori le mie chiavi per aprire la porta, poi, al buio, tento di scegliere quella giusta. Ovviamente questa operazione non mi riesce subito; prima provo altre due chiavi che non vanno bene, ma alla fine ce la faccio. Quando entro in casa, trovo un paio di luci accese. Martina è sul divano e sta allattando Elise.
«Ciao Seb.» Mi dice, alzando la testa dalla bambina.
Dio, mi sono mancate così tanto.
«Ciao Mar. Mi dispiace che tu sia ancora sveglia.» Le dico io sincero, prima di togliermi le scarpe e andarmi a sedere sul divano. Sono completamente distrutto.
«Aveva fame perciò...» Spiega lei, lasciando la frase a mezza via.
Le faccio compagnia e intanto ne approfitto per parlare della nostra giornata. Martina mi dice che ha trascorso una bella serata in compagnia di Charles.
«Senti Mar, mi dispiace non essere venuto a casa in tempo. Al lavoro è un po' un casino, quindi sono dovuto restare.» Dico io, mentre lei pulisce la bocca della piccola Elise con un bavaglino.
«Tranquillo, capisco. Non è stata colpa tua.» Afferma, prima di farmi un piccolo sorriso. È ora di andare a letto; abbiamo entrambi bisogno di dormire. Mi fermo brevemente in bagno per svestirmi. Vorrei tanto farmi una doccia, ma sono sicuro che finirò per addormentarmi in piedi, con l'acqua che scorre sopra la mia testa e, nonostante questo, dormire fino al mattino. Per questo, rimando la doccia a domani e mi infilo direttamente sotto le coperte.
Martina ha appena messo a letto Elise nella sua culla. Le abbiamo fatto la cameretta, ma è ancora molto piccola e non ci piace lasciarla dormire da sola.
«Buonanotte tesoro.» Le sussurra, provocandomi dei fremiti al cuore. È incredibile quanto un gesto così semplice mi possa fare emozionare. Vorrei andare da lei e abbracciarla, ma mi ricordo di essere già a letto, così aspetto che arrivi lei da me, e poi finalmente la chiudo tra le mie braccia.
«Ti amo.» Le ricordo, dandole un bacio sulla bocca.
«Anche io. Ci sei mancato questa sera.» Mi dice lei, rannicchiandosi sotto le coperte, contro il mio petto.
«Anche voi. Tantissimo.» Le faccio sapere, prima di appoggiare il viso contro il cuscino e chiudere gli occhi. Così tanto da farmi tremare il cuore, penso, alcuni momenti prima di cadere nel sonno.
—
Buon pomeriggio! Sembra finalmente che io abbia ripreso il mio solito ritmo e in teoria se procederò così, finirò la storia fra un pochino 😏
Ma c'è ancora molto, quindi non preoccupatevi! 💓
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