2. Concentrazione
Martina
Di solito, arrivo in pista con largo anticipo, prima della gara. Oggi, a maggior ragione, ho bisogno di concentrarmi sul mio risultato: vincere. Non ho nessuna intenzione di lasciare la posizione che mi spetta a Jeffrey, non dopo quello che è successo tra di noi.
Il circuito di Gachnang è a circa un'ora da casa mia e non ci metto tanto a raggiungerlo; non mi dispiace sfruttare tutti i cavalli della mia R8, ma ovviamente dove la strada lo consente. Ho sempre avuto una grande passione per i motori e onestamente non faccio differenze tra le due e le quattro ruote. Cioè, non che si possano considerare esattamente come una cosa sola; dopotutto i due sport differiscono e anche di tanto, però seguo i due mondi in egual misura.
Quando varco i cancelli del circuito, noto di essere tra le prime; anche se non me ne sorprendo più di tanto. Come ho già detto, non mi piace arrivare in ritardo ad un appuntamento del mondiale. Ho bisogno di fare il mio solito 'rito', se così si può chiamare. Non è niente di che, in realtà. Diciamo che è un modo per entrare in sintonia con la mia moto.
Si perché, in un qualche modo, ha un'anima anche lei. Che sia il motore o altro, questo non ha importanza. So solo che avrò bisogno di lei per vincere: questo è tutto quello che conta. Inoltre ho bisogno di trovare la concentrazione necessaria per la gara.
A me basta chiudere gli occhi e pensare alla vittoria o alle quattro volte in cui mi sono sentita sul tetto del Mondo e a due passi dal cielo. Oltre che da me, questa tattica è adottata anche da molti altri sportivi e consiste nel ripesare ad un momento in cui si è stati grandi per affrontare con lo spirito giusto una prova.
Vado verso la zona box. Non c'è ancora nessun meccanico, ma va bene così, la moto era già perfetta ieri. Mi ricordo solo in questo momento che dovrei cambiarmi. Non indosso ancora la maglia del team, però sinceramente c'è talmente poca gente in giro, che posso anche rimanere vestita così.
Mi infilo le cuffiette e faccio partire la selezione casuale. A dire il vero non ho una vera playlist per il pre-gara, qualsiasi canzone va bene. Se proprio non avessi voglia di sentire un brano in particolare, potrei sempre mandarlo avanti.
Mi sento un po' in colpa per non rappresentare il team con la divisa, così mi infilo un cappellino. Ok, ora va decisamente meglio.
Arrivo davanti alla mia moto e la guardo compiaciuta. Il numero 6 è quello che mi ricorda che effettivamente mi sono guadagnata questo posto in MXGP. Un traguardo non da poco, considerando i rischi che ho dovuto prendere, in questi anni.
Mi inginocchio davanti alla ruota anteriore, mantenendomi in equilibrio sui piedi, poi chiudo gli occhi, lasciandomi andare alla melodia della musica. In questo momento ci siamo solo io e la moto ed è fantastico, perché non mi devo preoccupare di altro. Devo solo pensare alla vittoria, solo alla vittoria. Non sarà così difficile ottenerla, no?
Questo è un momento di estrema concentrazione e benché abbia gli occhi chiusi e la musica al minimo — per via di non disturbare i miei pensieri — riesco a notare anche il più piccolo movimento intorno a me. Già, c'è qualcuno all'interno del box. Mi chiedo chi possa essere a quest'ora. Forse è il mio preparatore Paolo, oppure qualche meccanico, anche se lo ritengo poco probabile. Che sia il mio team manager? Nonostante sia poco presente, oggi non potrà mancare. Pensando che possa essere proprio lui, apro gli occhi un momento. Logicamente non vedo niente: davanti a me ho ancora la mia moto.
A malavoglia mi alzo; se sarà davvero il mio capo, gli dirò di non aggirarsi così presto per il box. Abbiamo abbastanza confidenza; il nostro rapporto è più di amicizia, che di lavoro.
Rimango sorpresa quando vedo una figura vestita di bianco e con un paio di occhiali con le lenti dorate in mano. Non ho dubbi, è Sebastian Vettel.
Lo conosco, certo, ma mi chiedo che cosa ci faccia qui, dato che i box della Formula Uno sono dieci volte più complicati dei nostri. Insomma, a noi ci basta un tendone.
Abbastanza scocciata, metto in pausa la musica. Mi devo ricordare di essere gentile con gli ospiti, prima di aprire bocca, e il meglio che posso fare è dire «Dovresti saperlo che i piloti non si devono interrompere, mentre stanno cercando la concentrazione. O te ne sei dimenticato, Vettel?» Ok, forse avrei dovuto sforzarmi un po' di più, ma detesto quando qualcuno mi disturba.
«Scusa, non era quella la mia intenzione!» Esclama lui in italiano. E pensare che io gli ho appena parlato in inglese. Probabilmente avrà dedotto che, data la mia nazionalità, fosse più opportuno scegliere quella lingua.
Vettel fa una faccia sorpresa, ma non mi meraviglio più di tanto; è la reazione che hanno tutti, quando mi parlano, o meglio, quando io parlo a loro. Diciamo che il mio carattere è un po' 'complicato' e c'è bisogno di un po' di tempo, affinché qualcuno possa capirmi. In poche parole, il pilota della Ferrari si è appena reso conto del mio carattere di merda.
Nonostante questo però, sono curiosa. Insomma, Sebastian Vettel sta visitando il mio box. Mi chiedo che cosa ci sia, di così interessante, da vedere. Non posso negare di non essere colpita dal fatto che un pilota di Formula Uno voglia vedere delle moto, e in particolare la mia, dato che quella del mio compagno di squadra è ancora nel camion.
Per quanto mi riguarda, sono cresciuta con la venerazione per la Rossa; anche se attualmente non faccio preferenze nel team di Maranello. Non riesco ancora a credere che Fernando lascerà la Formula Uno, a fine stagione. Lui è stato e sarà sempre il mio favorito.
«Cosa ci fa Vettel, a quest'ora, nel box del mio team?» Chiedo io, anche se lui non sembra sorpreso dalla mia domanda, infatti risponde tranquillamente, indicando il suo braccialetto bianco, con sopra la scritta Paddock.
«Un mio amico mi ha regalato il pass per il weekend, che però non comprendeva il Paddock. È solo un'aggiunta di 10 Euro, perciò mi sono detto, perché no?» Non so cosa voglia insinuare con quei 'dieci Euro', ma non mi va di continuare questa conversazione. Devo andare a cambiarmi e mettermi la tuta per la Gara 1.
Guardo fuori e vedo Paolo passare, ma è al telefono. E io che speravo potesse venire a salvarmi da questo pilota curioso! Ma non c'è problema, so come fare per sbrigarmi da questa faccenda.
«Bene Vettel, è stato un piacere fare la tua conoscenza.» Mi interrompo un attimo.
Ma quante cazzate sto sparando? Di certo non è stato un piacere, dal momento in cui è stato lui a interrompermi. Prima che possa continuare la mia frase però, lui inizia a parlare «Puoi chiamarmi Sebastian, mi metterebbe meno a disagio e sarebbe più appropriato.»
Ma come parla? Sembra uscito da un salone dell'Ottocento.
«Non corriamo troppo, Vettel.» Dico io, rimarcando il suo cognome. Non so perché, ma questa cosa mi diverte un sacco. Ok, forse dovrei smetterla di prendermi gioco del pilota della Ferrari e iniziare seriamente a pensare alla gara.
Questa volta non gli lascio tempo di ribattere e dico «Vado a cambiarmi, buona gara.» Lo guardo solo ora in faccia e, come poco fa, sembra stupito. Oserei dire pietrificato. Muove solo una mano per farmi un cenno, poi distoglie lo sguardo da me, per spostarlo sulla mia moto. Qualunque cosa lo incuriosisca della mia persona, non sono tenuta a saperlo.
Certe volte capita che dei giornalisti mi facciano interviste, dipingendo un ritratto di me per niente naturale. Sono una donna come un'altra, solo che amo anche le moto. Non vedo cosa ci sia di strano; mi sembra una cosa abbastanza normale, provare a mettersi in gioco, a nome di un futuro migliore. Dopotutto, ho sempre amato le sfide: sono nata per rischiare; a volte va bene, a volte va male. Ma quello che conta è fare il massimo sforzo per ottenere il risultato migliore. È un ragionamento che ha senso, no?
A dire il vero, è ancora abbastanza presto per mettermi la tuta. Cercavo solo un pretesto per allontanarmi dai box; queste situazioni mi mettono a disagio.
Non molto lontano da me, vedo alcuni membri del team di Antonio, allora penso di andare da lui. Potrei provare a parlargli, in modo da allearci contro Herlings. Di sicuro due italiani sono molto meglio di un olandese.
Lo trovo quasi subito, è nel retro box con in mano una bibita energetica, la stessa della marca che lo sponsorizza.
«Mar, ehi, chi si vede!» Dice lui, stringendomi in un abbraccio. Tony per me è sempre stato come un mentore e nutro profonda stima nei suoi confronti.
«Tony, ciao, anche tu di buon'ora?» Lui tira fuori il suo telefono dalla tasca e mi fa vedere una foto.
«Sebastian Vettel è venuto a trovarci e non volevo farmi perdere questa occasione! Dovrebbe essere ancora nel paddock, da qualche parte, non è passato molto tempo fa...»
Io alzo gli occhi al cielo, ma poi sorrido «Lo so, è venuto anche a vedere il mio box; penso sia ancora là. È per questo che sono scappata!»
«Mar, sicura che volesse vedere il box?» Io non rispondo e gli dò un colpo sulla spalla «Lascia stare, oggi non è giornata.»
«Cos'ha combinato adesso, l'olandese?» Gli racconto quello che è successo ieri sera e alla fine concludiamo che faremo di tutto per portare il tricolore italiano sul gradino più alto del podio. In teoria è sempre quello che vogliamo, ma certe volte dirlo non equivale esattamente a farlo.
Quando torno al mio box, mi accorgo di essere un pelino in ritardo. Per fortuna il pilota tedesco non c'è più e quindi vado a cambiarmi. Ci metto poco e ritorno già vestita con la tuta e il casco in mano. Lancio una rapida occhiata sullo schermo per vedere il risultato delle categorie che hanno corso in mattinata, ma poi mi avvisano di portare la moto sulla linea di partenza.
Mi infilo il casco e sistemo i miei capelli castani in modo che non svolazzino da tutte le parti. Quando esco, percorro il breve traguardo che porta all'entrata della pista e vado a posizionarmi dietro ai cancelli di partenza. Dopo la presentazione di tutti i piloti, calo la visiera e guardo davanti a me.
È giunto il momento di fare pagare a Herlings un conto salato; speriamo che sappia anche un po' di fango, il che non sarebbe male.
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