Che cos'è l'Hurt-Comfort?
Quando si legge qualcosa, un libro, un racconto, insomma, un'opera di narrativa che ci descrive una vicenda, si è sempre, seppure talvolta inconsciamente, attratti da un particolare o da una situazione che spiccano e catturano la nostra attenzione più di altri. Al sottoscritto, come a voi lettori, capita di frequente: cosa succede, allora, se quel particolare viene isolato, individuato e messo in luce, affinché una serie di produzioni letterarie siano appositamente incentrate su di esso?
Questo è il ragionamento che è alla base della sottocategoria, passatemi il termine, hurt-comfort. Nel tentativo, che è anche una delle motivazioni della stesura di questo articolo, di voler chiarire di cosa si tratti, si può definire l'hurt-comfort come quella situazione in cui un personaggio subisce dei danni fisici o morali, che siano essi provocati da malattia, da una ferita o un attacco e un secondo personaggio si prende cura di lui. Spesso, in questo frangente, l'autore si premura di lasciare grande spazio all'esaltazione di sentimenti di dolore, paura e sofferenza, con la speranza di suscitare empatia e angoscia nel lettore.
Non siate ingenui, però: il filo sottile che unisce il desiderio dell'autore di voler, letteralmente e appassionatamente, recare del male ai propri personaggi alla voglia, a tratti morbosa e forse un po' ingenua, del lettore di immergersi nella vicenda è più resistente di quel che crediate. Queste scene, questi contesti di tedio e dolore fisico, di pianti, urla e abbracci sofferenti, di salvataggi estremi e cure disperate, mi hanno sempre attratto. Quando dico "sempre", lo intendo nella maniera più letterale e veritiera del termine: ricordo giochi e imitazioni ludiche della prima infanzia in cui bramavo a inscenare una qualche sorta di puerile tragedia, quasi con vergogna, facendola passare come casuale, persino priva di significato. È quel che capita sovente, quando non si sa dare nome a qualcosa.
In luce di ciò, ho pensato che, forse, i pareri di diversi scrittori e lettori estimatori del genere potessero esserci utile per delineare i contorni di questa passione letteraria e operare una breve indagine psicologica, senza nessuna pretesa professionale, che possa aiutare a far capire a me, nonché a voi lettori, le dinamiche alla base dell'attrazione del sub-genere attuando quindi un'analisi deduttiva da una breve raccolta dati. Per questo motivo, ho chiesto a gli utenti di Hurt/Comfort Italia – fanfiction&fanart, un gruppo Facebook abbastanza popolato, che conta all'incirca cinquecento membri, di rispondere liberamente ad alcune domande per poi raccogliere i responsi e valutarne il contenuto.
La prima domanda si concentrava sul momento di consapevolezza che l'hurt-comfort fosse una dinamica che affascinasse l'utente in quanto lettore. La maggior parte degli intervistati ammette che questa passione sia qualcosa già presente nei giochi d'infanzia, durante i quali amavano far ammalare una bambola o un personaggio di fantasia e attuare uno scenario in cui l'altro se ne prendeva cura. Tuttavia, la piena e conscia cognizione dell'esistenza di queste dinamiche è concomitata con la scoperta del fatto che esista una categoria a racchiuderle, manco a dirlo. C'è chi ha scoperto l'hurt-comfort esplorando i diversi tag in siti di scrittura, chi l'ha scoperto proprio con l'entrata del gruppo Facebook o chi con il passaparola di un amico.
La seconda domanda, invece, proponeva al lettore una breve esplorazione del sé, al fine di individuare le cause per cui, stando alla personale opinione, si venga attratti dall' hurt-comfort. C'è chi ha ricondotto questa fascinazione all'idea confortante e consolatoria di qualcuno che si prenda cura di un'altra persona o, in generale, di un rapporto basato sull'affidamento da un lato e sull'empatia dall'altro, che rimanda a dei comportamenti ancestrali e innati nell'essere umano. Inoltre, anche il senso intimità che si stabilisce in una condizione di assistenza sembra fare leva sull'empatia del lettore che si immedesima, immancabilmente, con la sofferenza e le paturnie che vivono i protagonisti, nonché con il desiderio di vedere la situazione tragica risolversi per il meglio. Molti ritengono che uno dei motivi alla base di tale attrazione si riconduca all'attuabilità del genere a situazioni in cui c'è un grande coinvolgimento psicologico da parte del lettore, in quanto vengono affrontati temi di una certa profondità, nonché in cui si opera un'indagine approfondita dei ruoli del personaggio curante e di quello bisognoso di cure. Anche vivere e appassionarsi a una scena nella quale si assiste al dolore e alla sofferenza sembra un punto di forte attrazione per il lettore, che si sente maggiormente spronato a prendere parte e a immedesimarsi nel momento, provando le stesse sensazioni dei personaggi.
Proseguendo sulla scia dell'analisi soggettiva, con la terza domanda si è indagato sul tipo di emozioni che leggere o assistere a una scena hurt-comfort provochi nel lettore o spettatore. C'è stata quasi una risposta univoca, in questo caso: infatti, sembra che l'empatia, come era lecito d'altronde aspettarsi, sia quella che leghi la cerchia di appassionati e ricercatori di questo sottogenere. Tutti i lettori hanno descritto, senza eccezioni, che la sensazione provata durante l'immedesimazione in una scena hurt-comfort è il classico sfarfallio nello stomaco, simile a quando si è molto innamorati, nonché sentimenti di alta intensità e struggimento, sbilanciamento e fragilità. In poche parole, il lettore diviene vulnerabile tanto quanto i protagonisti coinvolti nella vicenda e crea un filo diretto con la loro emotività.
A conclusione di questa esplorazione, l'ultimo quesito era una domanda diretta al lettore, che chiedeva semplicemente se, al momento della lettura, egli si immedesimasse maggiormente con il personaggio malato e bisognoso di cure o con quello responsabile di prendersi cura della vittima. Le risposte sono state variegate ed equamente bilanciate tra le due scelte, sebbene una mi abbia colpito in particolare e nella quale, mi sono poi reso conto, mi rispecchio ovvero l'identificazione con il villain, il cattivo della situazione, proprio colui che infligge il danno. Credo che questa risposta sia da ricondursi sottilmente al ruolo dello scrittore che sceglie di inserire una dinamica hurt-comfort nella vicenda che sta narrando, il quale inserisce se stesso nel ruolo duale di carnefice e divinità super partes e decide le sorti del personaggio cui lui stesso ha recato del male.
Nell'ottica di questa breve indagine analitica e soggettiva, è evidente come l'hurt-comfort, per quanto sia una categoria letteraria e cinematografica piuttosto comune, alla quale la maggior parte delle persone non forniscono nemmeno un nome o un'etichetta, veda il suo successo proprio perché arriva a toccare corde quasi ancestrali nel lettore o nello spettatore, connesse a degli istinti umani profondi. Ci farebbe davvero piacere se anche i nostri lettori si esprimessero al riguardo e ci facessero sapere cosa ne pensano sull'argomento, se questo articolo è stato spunto di riflessione e se si rivedono in qualcuno degli intervistati.
Attendiamo curiosi.
Kendra_cat.
(colgo l'occasione per ringraziare Rossella, l'amministratrice del gruppo Hurt/Comfort Italia e tutti gli intervistati che si sono prestati a contribuire all'articolo).
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