EXTRA I

Le persone che ci amano non ci lasciano mai veramente. Possiamo sempre ritrovarle. Qui dentro.

[Sirius Black]



Tremava.

Tremava, mentre si sollevava ed i suoi occhi la guardavano.

I suoi occhi. Guardavano.

La sua mano. Si sollevava.

E tremava.

Si stava... davvero... muovendo. E...

Lo sentiva chiaramente... Respirava.

Di nuovo.

Respirava di nuovo.

Ed il cuore... il suo cuore, batteva.

Non più come prima, quando più che un battito vero e proprio, sembrava quasi un eco lontano, perché a battere in realtà era quello di qualcun altro e non il suo.

No.

Adesso era diverso.

Adesso era davvero il suo cuore.

E da ciò... ne derivava solo e soltanto una cosa: era vivo.

Era.

Di nuovo.

Vivo.

Non appena quelle parole presero forma nella sua mente, avvertì il battito accelerare e il respiro farsi più corto.

"Sono vivo"

"Sono tornato"

"Sono..."

Furono questi i suoi primi pensieri e gli occhi si spalancano ancor di più, mettendo a fuoco la scena che lo circondava: pareti bianche e lui... o meglio... il suo corpo... il suo corpo! ... disteso su un letto.

Lo riconobbe subito: era al San Mungo.

Per la prima volta, dopo mesi, si trovava in un luogo diverso.

Per Salazar, era tornato davvero!

Non era più rinchiuso lì... dove... dove... dov'era mor...

Ciò che successe fu automatico: era tornato nel suo corpo in fondo, no?

E in quanto corpo, non poteva reprimere le reazioni dettate dall'influsso chimico delle emozioni: avvertì un groppo in gola che quasi gli impedì di respirare.

Non ne ebbe timore però: non sarebbe morto ancora. Lo sapeva.

La mano si spostò sul petto quasi in un gesto automatico, sfiorando l'unica cosa che rimaneva di quel lungo e, apparentemente interminabile, incubo: la cicatrice lasciata dal proiettile.

La cicatrice.

Fu quello, subito dopo, a farlo scoppiare in una breve risata, permettendogli di sciogliere, almeno in parte, il nodo che avvertiva all'altezza delle corde vocali.

La cicatrice.

Adesso non avrebbe più potuto definire Potter lo "Sfregiato" della situazione.

Anzi, adesso non gli restava altro che entrare a far parte di quel club esclusivo di cui quel maledetto occhialuto deteneva la leadership.

Ed ovviamente, non gli avrebbe lasciato il potere.

Non avrebbe avuto vita facile quel Potter.

Non ora che il re delle Serpi era tornato.

Già... Tornato.

Ebbe un sussulto mentre la risata aumentava e gli occhi si facevano lucidi.

Le dita, rimaste ferme all'altezza del cuore, si spostarono ancora, risalendo lentamente fino al mento.

Fu da lì, che la mano nascose metà dei suoi lineamenti agli occhi del mondo, raggiunta ben presto dalla sua gemella sull'altra metà del viso.

Maledetto corpo.

Maledette influenze emotive.

No.

Nessuno lo avrebbe mai visto in quello stato.

Nessuno avrebbe visto la sua debolezza.

Lui non era un debole.

Ma...

In quel momento...

Piangeva.

Piangeva come un bambino.

E più cercava di fermarsi, tanto più gli risultava impossibile.

Perché piangeva?

Non lo sapeva.

Continuava a porsi la stessa domanda, ma a non trovare una risposta.

Forse era lo stress post-traumatico?

Probabile.

In fondo aveva subìto molto più che un semplice trauma.

O forse... le sue lacrime erano dovute ad altro?

Non aveva mai saputo destreggiarsi nell'arte delle emozioni, lo sapevano tutti.

E soprattutto lui stesso.

Iniziò a chiedersi se magari soffrisse di una qualche forma di bipolaresimo... no... non era così che si definiva nel mondo dei Babbani...

Babbani...

Il fiato si mozzò davvero ed ebbe la terribile sensazione che il cuore si fermasse di nuovo.

Babbani!

Fu quello il preciso istante in cui la sua mente tornò lucida e il suo pensiero si focalizzò sulla cosa più importante.

Lei.

Come aveva potuto non pensarci subito?!

Come aveva potuto far passare quei minuti preziosi riflettendo sullo stupido dettaglio di essere ancora vivo?

"Se le avessi risposto saresti rimasto con lei"

Le parole di quell'entità gli risuonarono nella mente come una campana molto rumorosa.

Una campana.

Una torre.

Il Big Ben.

Un vortice di immagini lo travolse, facendogli ripercorrere quel lungo viaggio sin dall'inizio e le emozioni arrivarono tutte insieme, esplodendo dentro di lui una dopo l'altra come fuochi d'artificio, regalandogli una nuova gamma di sensazioni mai provate prima.

Quindi era questo che sentivano i normali esseri umani?

Stava divagando di nuovo!

Non c'era tempo.

Non c'era tempo per continuare a riflettere su quei dettagli insignificanti!

Si maledì.

Quelle parole iniziarono a ripetersi dentro di lui sempre più velocemente, mentre anche le immagini continuavano a fluire e ad invadere il suo campo visivo.

No.

Non c'era tempo.

Doveva fare solo una cosa, era quella la priorità: trovarla.

Scattò a sedere: sul viso non più una sola traccia umida.

Chi lo avesse visto probabilmente lo avrebbe paragonato ad un fantasma e lui non gli avrebbe dato torto.

Era proprio quello che aveva l'impressione di essere.

Un fantasma.

E se l'incubo non avesse avuto ancora fine?

Se in realtà, in qualche modo, si fosse trovato ancora dentro il limbo?

Quelle domande iniziarono ad arrivare una dopo l'altra, ma a tutte sapeva, ahimè, dare una risposta.

Era tornato. Non c'era alcun dubbio.

Riusciva a sentire la differenza.

Afferrò l'ago infilato nell'incavo del gomito strappandolo via con impazienza.

Si formò una chiazza scura, accompagnata da un leggero calore nella zona.

Sangue.

Il suo sangue.

Sangue vero.

Quello che per così tanto tempo l'aveva tenuto lontano da lei.

Distolse lo sguardo, piegò il gomito per frenare la piccola emorragia e scostò le coperte.

Appena l'avesse trovata... Era pronto ad assumersi ogni rischio.

Non sarebbe più stato il codardo che tutti conoscevano.

Sarebbe cambiato.

Ma, lo sapeva, lui era già cambiato.

Era morto per difendere i suoi genitori.

E quello non era forse l'atto di coraggio più grande che qualcuno potesse compiere?

Quanti Grifondoro potevano dirsi disposti a tanto?

Forse solo lei.

Lei che aveva Obliviato i suoi genitori per proteggerli ma che, ne era sicuro, se ce ne fosse stato bisogno, avrebbe agito esattamente come lui.

Sì.

Ne era certo.

E forse, si ritrovò a pensare, non era poi così terribile avere del fegato, anche se non lo avrebbe mai ammesso.

Spostò le gambe al di fuori del letto, poggiando i piedi nudi sul freddo pavimento.

Gli era stata fatta indossare una di quelle camicie da notte da ospedale che arrivava fino al ginocchio, ma per la prima volta non gli importò nulla del suo aspetto.

Si alzò con prudenza, avvertendo un peso immane sulle caviglie dato dalla gravità.

Non era certo che i suoi muscoli, ormai notevolmente ipotonici a causa di quel lungo periodo di immobilità, potessero reggerlo, ma non gli importava: se necessario, avrebbe anche strisciato.

Rimase fermo qualche secondo, concedendo al suo corpo il tempo di riabituarsi alla posizione eretta, dopodiché mosse il primo passo e, assicuratosi che il ginocchio reggesse, lasciò andare la presa sul materasso.

Caricò tutto il peso sull'arto e mosse il secondo passo.

Andò tutto bene.

Una lieve curvatura delle labbra fu tutto ciò che si concesse: non poteva farsi piegare ancora dall'emozione.

Non poteva perdere ancora tempo.

Dove poteva essere?

Era quello tutto ciò a cui pensò, mentre iniziava a muoversi in maniera sempre più sicura verso la porta.

Le tenebre lo avvolsero completamente, garantendogli un minimo di anonimato.

Anche i suoi capelli, di solito chiaro faro di identificazione, stranamente non rilucevano, come volessero proteggerlo facendolo passare inosservato.

Gli sembrò quasi di rivivere quella scena di settembre, quella con cui tutto era iniziato.

Era notte e c'era la luna piena anche adesso.

A quella similitudine, si bloccò per un secondo, improvvisamente insicuro: girò la testa da un lato e dall'altro, studiando l'ambiente che lo circondava.

Si guardò persino alle spalle.

Non avrebbe mai ammesso neanche quello, ma non appena elaborata l'analogia, l'aveva attraversato un brivido di paura.

E proprio per quella paura adesso si guardava intorno.

Non si sarebbe mai più lasciato cogliere di sorpresa.

Da quel momento in poi avrebbe fatto più attenzione.

Ormai aveva capito.

Era decisamente maturato.

Forse nessun altro in futuro gli avrebbe teso un agguato, ma perché rischiare?

Non ne valeva la pena.

Avrebbe fatto molta attenzione, perché d'ora in avanti, non sarebbe mai più stato solo.

Non avrebbe dovuto proteggere soltanto sé stesso, ma anche e soprattutto qualcun altro.

Non sarebbe più stato solo.

Non era più solo.

Non più.

Sorrise in maniera involontaria, sentendo il cuore riscaldarsi.

Certo, avrebbero dovuto affrontare mille ostacoli: gli amici di lei, la società, i suoi genitori...

Il sorriso sparì così com'era arrivato.

Sentì una fitta al petto, che spazzò subito via quel piacevole tepore che aveva iniziato ad avvertire.

I suoi genitori.

Suo padre...

Sua madre...

Dov'erano in quel momento?

Sapevano del suo "ritorno"?

E se sì, perché non erano lì accanto a lui?

Era forse successo loro qualcosa?

Erano ancora in pericolo?

Strinse i pugni, ricominciando a guardarsi intorno, con ancor più attenzione.

Se fosse successo qualcosa, lui lo avrebbe saputo.

Lei glielo avrebbe detto, no?

Sì, ne era certo.

Un lieve fruscio interruppe i suoi pensieri.

Si mise in allarme, mentre ancora una volta, una figura incappucciata comparve davanti ai suoi occhi, circondata dalla via in cui abitava, ricoperta d'alberi.

Un ricordo.

Scosse la testa, chiudendo gli occhi per scacciare l'immagine e si girò in direzione di quel lieve rumore.

Fu allora che la vide.

Accanto al suo letto, nelle vicinanze della finestra, c'era una poltrona e su quella poltrona, accovacciata sotto una pesante coperta, con la testa piegata e poggiata allo schienale, c'era sua madre.

I capelli, biondi come i suoi, le scendevano lungo la spalla sinistra, arrivandole sul grembo.

Si ricordò di quando l'aveva vista l'ultima volta e poté giurare che non fossero così lunghi.

Quanto tempo era passato?

"Domanda retorica" si rispose.

Tanto.

Troppo.

Il cuore ricominciò a battere all'impazzata, facendolo tornare in sé.

Sua madre.

Era lì.

Davanti a lui.

Era lì.

Lui era lì.

E adesso poteva finalmente riabbracciarla.

Prima che quel pizzicore dietro le palpebre si trasformasse di nuovo in qualcos'altro, dimentico di qualsiasi altro pensiero, prese un respiro profondo e si avvicinò.

Rallentò l'andatura solo per evitare qualsiasi rumore.

Non voleva svegliarla d'improvviso.

Sarebbe stato uno shock, lo sapeva.

L'avrebbe fatto con delicatezza, quella stessa delicatezza che l'ultima volta gli era mancata.

Si fermò ancora, chiudendo le palpebre quando il senso di colpa lo pervase.

Se non fosse riuscito a tornare indietro, non avrebbe mai più potuto vederla. Non avrebbe mai più avuto la possibilità di chiederle perdono per il suo gesto di quella notte, quando aveva litigato col padre.

Non avrebbe mai più potuto chiederle scusa per averla abbandonata.

Un dolore sordo si impossessò di lui, mentre il pensiero che quelle stesse constatazioni fossero state fatte da sua madre solo qualche mese prima e che fino a quel momento avesse cercato di imparare a conviverci, lo invase totalmente.

Si sentì male.

Come poteva una madre abituarsi al pensiero di non rivedere più suo figlio?

Soprattutto dopo che quel figlio l'aveva abbandonata a sé stessa?

Come aveva potuto lasciare che una cosa del genere accadesse?

Era colpa sua.

Tutta colpa sua.

Le dita si conficcarono nei palmi, mentre il pizzicore riuscì nell'intento di trasformarsi in quel qualcosa di più. Si morse il labbro inferiore a sangue.

Era colpa sua.

Aveva giocato a fare l'idiota, e aveva finito per far del male alla persona che contava più di ogni altra.

Piegò la testa verso il basso.

Era uno stupido.

Non era degno di essere suo figlio.

Era solo un immaturo viziato.

Fece un passo in avanti, mentre le dita lentamente, cominciavano ad allentare la loro morsa e le labbra a rilassarsi.

Il suo corpo stava reagendo.

Si stava muovendo da solo.

Stava cercando di fargli capire qualcosa.

Riaprì gli occhi, stupito: cosa voleva dire quella reazione?

Era il suo subconscio a farlo agire così?

Tornò con lo sguardo su sua madre, asciugandosi in un gesto veloce, gli zigomi, uniche vittime di quel principio di pianto.

La osservò respirare.

Il buio che avvolgeva entrambi, non gli permise di distinguere in maniera netta i suoi lineamenti, ma non gli riuscì difficile immaginarli.

Lei glielo aveva raccontato.

E sotto il peso di quel dannato pensiero, cadde in ginocchio davanti la poltrona, la testa di nuovo china.

Avrebbe voluto svegliarla: era quella la sua intenzione sin da quando aveva cominciato ad avvicinarsi, ma adesso non era più tanto sicuro di volerlo fare.

Come avrebbe reagito nel vederlo?

Lo avrebbe abbracciato come sperava, o lo avrebbe allontanato per averla fatta soffrire in quel modo così brutale?

Ancora una volta il suo coraggio stava venendo meno.

E fu quando se ne rese conto, che nella sua testa scattò qualcosa, esattamente come qualche mese prima: avrebbe affrontato le conseguenze.

Non sarebbe scappato.

Perché in fondo, rivedere sua madre, avere la possibilità di parlarle anche solo per un secondo, era ciò di cui aveva più bisogno.

Era egoismo il suo?

Probabile, ma non gli importava.

Se necessario, l'avrebbe implorata di riabbracciarlo.

Solo con lei avrebbe fatto una cosa del genere.

Solo con lei, sua madre, che lo conosceva meglio di come lui stesso era mai riuscito a conoscersi.

Leggermente titubante, allungò una mano che, si accorse, tremava ancora, e la avvicinò alla sua; poi, con delicatezza la poggiò al di sopra.

Nessuna reazione, ma non si aspettava diversamente.

Fece la stessa cosa con l'altra mano.

Poi si fermò.

Avrebbe dovuto chiamarla?

Prese un respiro profondo, ma prima di emettere qualsiasi suono, si allungò in avanti, poggiando la fronte sulla sua spalla, come a volerne trarre la forza necessaria a compiere quel gesto.

Rimase fermo per qualche attimo, ascoltando il respiro della donna e il profumo di lei, così familiare, così "di casa", riuscì a tranquillizzarlo.

Quella vicinanza gli era mancata.

Narcissa gli era mancata.

E... nonostante tutto... si rese conto di avvertire lo stesso nei confronti di suo padre.

Suo padre, che adesso non era lì.

Provò per un secondo ad immaginare come potesse aver reagito alla notizia e a dove potesse trovarsi in quel momento, ma a parte un grande senso di tristezza, non riuscì ad avvertire nulla, né soprattutto a figurarsi alcuna possibile prospettiva.

Si rimise dritto: era arrivato il momento.

L'agitazione tornò su di lui, ma si limitò a rinchiudere tutto dietro la solita facciata imperturbabile.

Iniziò a carezzarle le mani con i pollici, sempre delicatamente, a testa bassa.

-M...- provò a dire, ma non ci riuscì.

-Ma... Madre- riprovò ancora, non fallendo il secondo tentativo.

Riascoltare la sua voce, dopo tutto quel tempo gli provocò un brivido.

Era cavernosa, con una leggera raucedine di fondo.

Se si soffermava a pensare al perché...

Rabbrividì ancora.

-Madre- ripeté, scacciando quel pensiero prima che potesse iniziare a farlo sentire un estraneo nel proprio corpo.

Stavolta parlò in maniera più chiara, mantenendo però un tono di voce basso, vista l'ora tarda.

Ma sua madre continuava a dormire e sembrò non averlo sentito.

Doveva essere stanca dopo tutto quello che aveva attraversato.

Quella bella e, allo stesso tempo, strana notizia, doveva averle provocato una serie di emozioni contrastanti che avevano finito per sfiancarla.

Inarcò leggermente le labbra, sollevando la mano destra e avvicinandola alla sua testa.

Le accarezzò il capo e fu in quel momento che il respiro tranquillo di Narcissa si interruppe.

Sussultò leggermente e lui ritrasse di scatto la mano.

Narcissa trattenne il fiato, rabbrividendo: -Draco- disse subito dopo, come spaventata, lasciando uscire il suo nome in un soffio.

Ma aveva ancora gli occhi chiusi.

Quindi...

Stava sognando?

Non si era svegliata, ma lui non demorse.

-Madre- ripeté ancora, la sua voce ormai chiara e limpida.

La mano di Narcissa si strinse a pugno e quasi lui cadde indietro per lo spavento quando lei scattò a sedere, improvvisamente vigile e con gli occhi sbarrati: -Draco?!- chiese allarmata, spostando subito lo sguardo verso il letto, non accorgendosi ancora di lui.

Ebbe un sussulto quando si accorse che era vuoto.

-M...- iniziò lui, ma non ne ebbe il tempo. Sua madre si era già voltata e dopo essersi istintivamente ritratta, forse per la paura, il suo viso cambiò espressione facendosi sempre più consapevole.

Draco osservò i suoi stessi occhi ricambiare il proprio sguardo, mentre venivano attraversati da migliaia di emozioni diverse: incredulità, turbamento, gioia, felicità e commozione.

-Madre- disse, impedendo alla voce di spezzarsi. Qualsiasi cosa volesse aggiungere subito dopo, non lasciò mai le sue labbra, perché Narcissa lo tirò a sé abbracciandolo stretto, iniziando a piangere.

Non riuscì a non stupirsi: sua madre, che di solito manteneva il controllo ed il sangue freddo in qualsiasi situazione, adesso sembrava un'altra persona.

Lo stringeva con una forza che quasi gli toglieva il respiro.

Lo stringeva.

Lo stava abbracciando.

Non lo aveva respinto.

Lo stava abbracciando!

Non gli sembrò vero.

-Sei... Sei davvero tu?- gli chiese, con voce rotta.

Non seppe che fare, del tutto impreparato a quella reazione.

Lei lo abbracciava.

Era quello che aveva sperato, no?

Ma lui non stava facendo nulla.

Se ne stava lì, inginocchiato accanto a lei, completamente bloccato, incapace di dimostrarle ciò che provava.

No... Non poteva.

Non poteva non reagire.

Lei non meritava che lui mantenesse quella totale algidità.

Le sue idee si schiarirono.

Si affidò al suo istinto.

Seguì l'esempio di sua madre e ricambiò impulsivamente l'abbraccio. Quando le sue braccia si strinsero attorno al suo corpo, sentì il cuore iniziare a battere all'impazzata.

I suoi occhi si riempirono nuovamente di altre lacrime, che questa volta seppe catalogare: gioia.

Era pura e semplice felicità quella che provava.

Felicità mista a commozione.

-Sì... Sì... Sono io... Mad... Mamma- si azzardò a dire, distruggendo anche quell'ultima barriera che l'etichetta gli aveva sempre imposto.

A quella parola, Narcissa lo strinse e pianse con ancor maggior vigore.

-Figlio mio! Sei...- la voce le si spezzò nuovamente, mentre Draco ricambiava la stretta senza farle male.

-Sei... Sei proprio tu! Sei... vivo! Sei vivo! Io credevo... Tutti noi... Tutti noi credevamo...-

Quelle parole lo scossero: come avrebbe fatto a spiegarle la verità?

Improvvisamente davanti a lui si palesò la realtà.

Non ci aveva ancora pensato, ma era così: aveva un grosso problema.

Strinse ancora sua madre: -Sono vivo- si limitò a dire, cercando di nascondere il turbamento.

Le accarezzò la schiena, cercando in qualche modo di dissipare quel nodo allo stomaco che aveva iniziato ad avvertire da qualche secondo.

Non doveva pensarci.

Non in quel momento.

Non quando finalmente dopo tutti quei mesi era riuscito a riabbracciarla.

Tutto ciò che doveva fare in quel momento era rimanere lì, permettendo ai loro cuori di risanarsi l'un l'altro, proprio come solo una madre col proprio figlio avrebbe potuto fare.

Forse era proprio quella la magia più autentica che esistesse e, forse, lui, l'aveva appena capito.

***

Le accarezzò ancora una volta il capo, sorridendole, anche se lei non poteva già più vederlo.

Narcissa si era appena riaddormentata.

Erano rimasti stretti in quell'abbraccio per un'infinità di tempo; troppo poco secondo lui, ma non disperava.

Di tempo, da quel momento in avanti, ne avrebbero avuto quanto ne desideravano.

Narcissa aveva continuato a piangere tutte le sue lacrime e lui glielo aveva permesso: sua madre ne aveva bisogno, per buttare fuori tutto ciò che di oscuro si era annidato in lei durante tutto quel periodo.

Le rimase accanto in ogni secondo, continuando a consolarla con la sua sola presenza e rispondendo alle sue domande.

Com'era prevedibile lei gli chiese anche "com'era possibile che fosse tornato indietro?" e se ricordava qualcosa di cosa ci fosse "dall'altro lato".

"Lei" aveva pensato immediatamente, non dando però voce al suo pensiero.

Lei non era là.

Non poteva essere là...

Ma allo stesso tempo era fuori discussione che avesse potuto davvero non farcela.

Non poteva essere così.

Quel tarlo iniziò a scavare dentro di lui sempre di più: doveva agire.

Doveva fare qualcosa.

Doveva capire dove fosse.

Era vicina.

Di questo ne era certo. Poteva avvertirlo.

Non sapeva come, ma era proprio quello che stava succedendo.

Sentiva un leggero tepore al petto, non più dato dalle forti emozioni di quelle ore.

Adesso era calmo, ma quel calore continuava a persistere.

E gli stava suggerendo qualcosa: lei era lì, da qualche parte.

Lei, che sua madre avrebbe voluto ringraziare personalmente per tutto ciò che aveva fatto.

Lei che, sua madre non riusciva a capirne il motivo visti i trascorsi, si era fatta in quattro per arrivare alla soluzione del caso, come se a lui ci tenesse davvero.

Sorrise: sua madre non lo capiva, ma lui sì.

"C'è un motivo" avrebbe voluto risponderle.

Ma al momento non poteva.

Il suo dovere era solo trovarla.

Magari lo stava aspettando in corridoio, addormentata su una sedia, per l'imbarazzo di incontrare Narcissa e doverle spiegare il motivo della sua visita.

Nessuno, a parte Blaise, sapeva ancora qualcosa. Avrebbe dovuto ricordarlo, altrimenti sarebbe potuta finire piuttosto male... per chi avesse cercato di aggredirlo ovviamente.

Ghignò divertito, accarezzando di nuovo il volto di sua madre che, adesso che la candela sul comodino accanto al letto era accesa, mostrava, nonostante il sonno, tutta la stanchezza e il turbamento che l'avevano attraversato.

Si chinò, lasciandole un lieve bacio sulla fronte, per poi sistemarle le coperte: l'aveva fatta distendere sul suo letto. A lui non sarebbe servito.

Non quella notte.

Assicuratosi che Narcissa dormisse serenamente, fece quindi un passo indietro, volgendo lo sguardo verso il comodino.

Allungò una mano e aprì il cassetto: ed eccola lì, come aveva sperato.

La sua bacchetta.

Sorrise, riafferrandola, mentre una scossa familiare lo attraversò: sembrava quasi che quel pezzo di legno avesse riconosciuto il proprietario e gli stesse dando il bentornato.

Si fermò un attimo ad analizzarla: era stata ripulita, non aveva alcun dubbio, ma andava benissimo così.

Non vedere il suo stesso sangue impregnare quelle fibre lo avrebbe aiutato a voltare pagina più velocemente.

Almeno sperava.

Spense la candela con un soffio e il buio tornò ad avvolgerlo.

Sentì sua madre agitarsi leggermente accanto a lui.

-Lumos- disse sottovoce e la sagoma di Narcissa ricomparve.

Dormiva ancora per fortuna.

"Tornerò presto" si limitò a pensare, guardandola un'ultima volta e girandosi verso la porta.

Prima di uscire di lì, trasfigurò la camicia che indossava in indumenti più consoni alla sua persona: si vestì di nero, il suo colore preferito.

Non avrebbe lasciato che lei lo vedesse in quelle condizioni.

Poco prima stava per uscire in camicia da notte, vero, ma non ragionava lucidamente, doveva ammetterlo.

Adesso invece era tornato in sé e, anche se era successo quel che era successo e tutti, con molta probabilità, lo avevano visto nudo, rendendo di fatti una camicia da notte nulla di cui scandalizzarsi, lui non era di certo un trasandato.

Si aggrappò con forza a quel pensiero, cercando di trattenersi dall'esplodere in improperi.

Era Draco Malfoy.

Era tornato ad essere Draco Malfoy.

Aveva ancora una certa dignità da mantenere.

O da recuperare, a seconda dei punti di vista.

Scosse la testa, allontanando quei pensieri e raggiunta l'uscita, abbassò la maniglia, spiando fuori: la camera si affacciava lungo un corridoio che riconobbe quasi subito: era nel reparto di terapia intensiva.

Era capitato in passato di dover recarsi lì quando il lavoro lo richiedeva, ma adesso che il suo ruolo era diametralmente opposto, gli risultò alquanto strano ritrovarcisi all'interno.

Allungò la testa, arrischiandosi la possibilità di essere visto da qualcuno, ma non gli importò più di tanto.

Avrebbe forse dovuto disilludersi, ma non era ancora certo che il suo corpo potesse sopportare alcuna forma di incanto.

Il corridoio era però per fortuna deserto, anche se sia da un lato che dall'altro, dopo pochi metri, cambiava direzione.

Dove sarebbe dovuto andare?

Si ritrasse, iniziando a riflettere su come comportarsi.

Poi ebbe finalmente un'idea.

-Nox- pronunciò.

La bacchetta si spense e lui la spostò davanti a sé, poggiandola sul palmo.

-Guidami- disse in maniera chiara, mentre tutti i suoi pensieri si focalizzavano ancora una volta su di lei.

La bacchetta tremò, poi si sollevò di qualche centimetro, virando a destra.

Facendo attenzione a non perdere la concentrazione, iniziò quindi a seguire le sue indicazioni.

Percorse il corridoio fino alla fine; poi la bacchetta virò a sinistra e lui la seguì, ma non appena svoltò l'angolo, fu costretto a fermarsi: lo vide subito.

A metà di quel nuovo corridoio c'erano delle sedie poggiate ad una delle pareti e su due di quelle sedie...

Strinse il pugno che aveva ancora libero... C'era Weasel.

Cosa ci faceva lì?

Abbassò lo sguardo, mentre un ricordo gli tornò alla mente: prima che tutto avesse inizio, lei stava con lui.

Lo stomaco si annodò, provocandogli un senso di nausea che lo costrinse ad indietreggiare per nascondersi nel corridoio da cui veniva.

Si poggiò al muro, lo sguardo perso nel vuoto: come stavano le cose?

Non avevano mai avuto la possibilità di parlarne: a dire il vero, lui non aveva nemmeno mai pensato a quel rosso.

Ma adesso che era lì, avrebbe dovuto farlo.

Lo stomaco si strinse ancor di più: lei lo aveva preso in giro? Stava con Weasel e anche con lui?

Al solo pensiero, un conato di vomito fece fatica a non risalire.

Strinse le palpebre e i pugni: no, no! Lei non era così.

Non poteva essere così.

Se c'era una cosa che aveva capito di Hermione Granger era che per lei la sincerità veniva prima di ogni cosa.

Non gli avrebbe mai giocato uno scherzo del genere.

Non ne sarebbe stata in grado.

Lei non sapeva mentire come lui, figuriamoci simulare dei sentimenti che in realtà non provava.

Sentimenti?

Spalancò gli occhi, scrollando la testa...

Gli aveva detto che lo amava.

Lo amava.

Glielo aveva detto solo alla fine, quando tutto era terminato.

Che senso avrebbe avuto farlo se era convinta che non lo avrebbe mai più rivisto?

No... Non era possibile.

Non era da lei.

Non si sarebbe mai avvicinata a lui come aveva fatto se non avesse realmente provato qualcosa.

Lo aveva odiato con tutta sé stessa per tanti anni; non avrebbe mai potuto condividere con lui tutto ciò che aveva effettivamente condiviso, se a muoverla non fossero stati sentimenti reali.

No... Doveva fidarsi di lei.

Doveva imparare a fidarsi di lei, come si fidava di Blaise.

Glielo doveva.

Tornò a respirare un po' più tranquillamente.

Si sarebbe fatto spiegare tutto con chiarezza e se lei avesse avuto qualche remora, avrebbe preteso delle spiegazioni.

Ecco, sì.

Era quella la giusta strada da seguire.

Espirò, mentre il suo stomaco si rilassava.

Tornò ad avvicinarsi all'angolo del corridoio e sbirciò nuovamente.

Weasel se ne stava immobile, ma la sua era una posizione strana: più che seduto, sembrava stravaccato su quella sedia con i braccioli.

Stava dormendo.

Ghignò di nuovo, leggermente schifato: neanche quando dormiva sapeva avere un minimo di decenza.

Si trattenne a stento dall'insultarlo a voce alta.

Era fondamentale passare inosservato, così riprese in mano la bacchetta e riprese la sua ricerca.

Non si stupì quando l'oggetto lo condusse proprio in direzione di quel maledetto pseudo Purosangue e, più si avvicinava, più i dettagli della postura diventavano chiari.

La testa era poggiata sulla mano, che a sua volta era sorretta dal gomito posato sul bracciolo.

Di nuovo si trattenne a stento dallo spintonargli il braccio.

Avrebbe pagato fior di galeoni per vedere quella sua testaccia vuota sbattere contro quell'affascinante bracciolo di legno, ma non era il momento.

Tornò sui suoi passi, superando Weasel velocemente e in maniera silenziosa.

La bacchetta lo condusse ancora lungo il corridoio, ma non per molto.

Due metri più in là, virò di nuovo, indicando una porta.

Era arrivato.

Il cuore riprese a battere veloce, mentre si rese conto che il calore nel suo petto era ormai aumentato da qualche minuto.

Era lì, dietro quella porta.

E se si trovava dietro quella porta, poteva voler dire soltanto una cosa: non era una semplice visitatrice.

Ingoiò, a disagio.

Che cosa le era successo?

"Se le avessi risposto, saresti rimasto con lei"

Cosa volevano significare quelle maledette parole?

Era morta?

No, impossibile.

Non si sarebbe di certo trovata lì.

Ma se lui era lì, nel mondo reale... e lei sarebbe rimasta con lui solo se le avesse risposto... allora poteva voler dire soltanto una cosa...

Rimase senza fiato.

Possibile che...

Fece un passo verso la porta, allungando una mano: lo avrebbe scoperto subito.

Poi però si fermò.

Se davvero era ricoverata, con molta probabilità al suo capezzale ci sarebbe stato qualcuno.

Come si sarebbe giustificato?

Cosa avrebbe detto in sua difesa?

Perché era lì?

Ma doveva entrare.

Doveva capire cos'era successo.

Rifletté ancora per un secondo, poi si decise.

Afferrò la maniglia e la abbassò.

Non era un codardo.

Non più.

Spinse la porta e la luce del corridoio ruppe l'oscurità che albergava nella stanza.

Entrò rapidamente, richiudendosi la porta alle spalle.

Gli occhi ci misero un po' ad abituarsi, ma gli permisero di riconoscere l'ambiente senza difficoltà: la stanza era esattamente identica alla sua.

Prima di inquadrare la sua figura, il suo sguardo corse alla poltrona accanto al letto, fortunatamente vuota.

Fu solo allora che, facendosi forza, spostò gli occhi su quel letto, sulle lenzuola bianche e poi su lei.

Quando la vide, il cuore sembrò perdere un battito.

Ogni pensiero venne meno.

Perse contatto con tutto ciò che lo circondava, concentrandosi esclusivamente su di lei.

Il cuore prese a battere più rapidamente, il respiro si fece più pesante; gli sembrò quasi di soffocare davvero questa volta.

Non poteva credere a ciò che stava vedendo.

Fece un passo avanti, poi un altro ed un altro ancora.

Avrebbe continuato a camminare se il materasso non lo avesse bloccato: le era giunto accanto. Non era possibile andare oltre.

Quello era tutto ciò che gli era concesso.

Lo avrebbe seguito se solo lui si fosse deciso a risponderle.

Quella era una punizione dunque? Una punizione per non averle detto chiaramente ciò che provava?

Ma lui non avrebbe potuto farlo. Non era da lui usare certe parole.

Non avrebbe saputo neanche articolarle quelle sillabe!

Quindi perché prendersela con lei?!

Che colpa ne aveva?

Nessuna!

Doveva esserci lui al suo posto! Le cose sarebbero dovute rimanere com'erano!

Erano passati mesi! Ormai tutti stavano iniziando ad abituarsi alla sua assenza! Quindi perché adesso i ruoli si erano capovolti?!

Era ancora viva, ma vederla in quello stato fu ugualmente straziante.

Erano ricorsi alla medicina Babbana e questo voleva dire soltanto una cosa: la situazione era grave.

Quando i Medimaghi univano la Magia alle tecniche babbane il motivo era solo uno: erano arrivati all'ultima spiaggia.

Strinse i pugni, chiudendo gli occhi.

Era colpa sua! Solo e soltanto colpa sua!

Sperò solo di aver avuto la giusta intuizione.

Il suo corpo si piegò in avanti senza che riuscisse a controllarlo, preda di un improvviso dolore di cui non seppe trovare l'origine; le braccia si protesero leggermente in avanti e la sua mano, ancora stretta, sfiorò qualcosa di molto freddo.

Riaprì gli occhi di scatto, ritraendosi, cercando la fonte di quel gelo.

Non gli ci volle molto per capire si trattasse della mano di lei

Scioccato la prese tra le sue e la strinse.

Era gelida come se...

Il leggero ticchettio del monitor accanto al letto gli ricordò che no, non era così.

Il cuore batteva ancora e quel tubicino che dalla bocca arrivava ai polmoni, le permetteva di respirare.

Era ancora viva.

Gelida, ma viva.

Dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non crollare.

Il senso di colpa lo stava ormai sbranando pezzo dopo pezzo, ma non poteva cedervi.

Sollevò lo sguardo, ricercando i suoi occhi.

Avrebbe dato qualsiasi cosa per rivederli aperti.

Per poter rivedere anche solo per l'ultima volta il suo sguardo.

La gola si serrò, mentre un fiume di parole cominciò ad affollarsi nella sua mente: quante cose non aveva ancora avuto la possibilità di dirle? Doveva raccontarle ancora molto della sua vita, di lui, ma soprattutto, doveva dirle la cosa più importante.

Quella che l'avrebbe salvata.

Le carezzò la guancia, scostandole i ricci ribelli dal volto, come aveva preso l'abitudine di fare durante quelle rare volte che era stato concesso loro di rimanere insieme.

Un gesto intimo, che conosceva soltanto lui e che gli piaceva non poco.

Anche la pelle del viso era gelida, ma socchiuse gli occhi, cercando di ignorarlo e di immaginare invece di trovarsi ancora con lei davanti a quel camino; di averla accoccolata tra le sue braccia, la sua pelle tiepida che cercava comunque riparo e protezione contro la sua, più fredda.

Lei che si era dimostrata così forte all'esterno per tutti quegli anni e che lui non era mai riuscito a capire.

Non ci aveva mai provato in realtà.

Troppi ostacoli li avevano divisi; troppi pregiudizi; troppe barriere, imposte solo ed esclusivamente dalla sua cecità.

Ancora una volta la colpa era sua.

Se solo l'avesse osservata meglio; se avesse deciso di passare dalla parte giusta prima, avrebbe potuto rendersi conto che la forza che tanto ostentava, non era altro che un'armatura profondamente simile alla sua, indossata per sopravvivere a quello che le era capitato.

Quanto dolore aveva dovuto sopportare nella sua breve vita?

Molto più del suo, ne era certo.

Quando lui era solo un bambino viziato, lei era già diventata una donna.

Un'altra carezza, mentre le stringeva la mano.

Si era accorto della sua fragilità in quella prima notte, quando l'aveva raggiunto fuori di sé, credendo gli fosse successo qualcosa.

Fu durante quella loro prima volta che gli sembrò finalmente di riuscire a tradurre, almeno in parte, il testo di un libro che fino a quel momento gli era sembrato impossibile anche solo aprire.

Fu durante quella prima volta che capì che lei era qualcosa di più della semplice donna forte che aveva sempre visto.

Che non pensava solo a sé stessa come aveva sempre creduto, ma che in realtà si preoccupava sempre per tutti quanti.

Che metteva il bene degli altri prima del suo.

Anche quello di lui.

E lo dimostrava il fatto di aver mantenuto quel segreto, che ormai li legava a doppio filo, per tutto quel tempo.

Perché aveva taciuto?

Era una domanda che si era sempre posto, a cui era riuscito a trovare una risposta solo dopo quella notte.

La sua fragilità era proprio quella: preoccuparsi per gli altri.

Ma allo stesso tempo, era proprio quello il suo più grande punto di forza.

Adesso però, come al solito, era arrivato tardi.

Avrebbe potuto dirle tutto, ma avrebbe funzionato?

Avrebbe potuto ricambiare quella frase, ma avrebbe sortito qualche effetto nelle sue condizioni?

La risposta gli sovvenne immediata, ma la scacciò, prendendo a riflettere.

Si sedette accanto a lei, non lasciandole mai andare la mano.

Doveva esserci una soluzione.

Doveva farla tornare indietro.

Era suo dovere, non solo perché lei doveva continuare a vivere la sua vita, ma anche perché doveva conoscere la verità; doveva sapere che quei sentimenti che con molta probabilità anche lei aveva fatto molta fatica a controllare e ad accettare, erano ricambiati.

Sì... Doveva dirglielo.

Anche se non era sua abitudine esternare ciò che sentiva.

Doveva fare un tentativo.

Magari avrebbe funzionato.

La gola gli si serrò ancora; la salivazione si azzerò.

Strinse di nuovo la mano libera a pugno.

Dannazione, era così difficile!

Avrebbe preferito salire su un Ippogrifo piuttosto che aprirsi in quel modo.

Piegò la testa in avanti, respirando profondamente: non era il momento di fare lo stupido.

Si prese tutto il tempo di cui ebbe bisogno per calmarsi e quando riaprì gli occhi e tornò a guardarla, sentì finalmente qualcosa all'altezza del petto che gli infuse coraggio.

-Io...- iniziò, ma venne interrotto da un rumore improvviso alle sue spalle.

Un tonfo che lo fece trasalire, seguito da poche parole stizzite: -Che diavolo ci fai tu qui?!-

Scattò in piedi, allontanandosi dal letto di almeno un metro mentre si girava verso la porta e le lasciava andare la mano come si fosse appena scottato.

Il movimento delle dita della ragazza che ricadevano inermi sulla coperta però, non sfuggì al nuovo arrivato che, dopo aver lanciato una breve occhiata al pavimento (dove un bicchiere di plastica di media grandezza giaceva rovesciato al contrario, riversando sulle assi di legno quello che dall'odore sembrava essere un caffè piuttosto forte), tornò subito con lo sguardo su di lui: -Che stavi facendo Malfoy?- gli chiese sospettoso.

Passava lo sguardo da lui ad Hermione, soffermandosi molto di più su di lei, alla ricerca con molta probabilità, di qualche segno di percosse o altro.

Quanto si sbagliava quel maledetto "Sfregiato".

Gli sarebbe preso un accidenti quando e se avesse mai scoperto la verità.

Il divertimento che provò in quel frangente, lo aiutò almeno per un secondo a rilassarsi.

Il silenzio si allungò per cinque secondi abbondanti, che lui sfruttò per recuperare il controllo e mascherare ogni cosa.

La sua espressione tornò quella di sempre: fredda e impassibile.

E seppe di aver avuto successo, quando Potter accese la luce della stanza e non ebbe alcun sussulto incrociando il suo viso.

Adesso però aveva un grosso problema: cosa si sarebbe inventato?

-Cos'è successo?- chiese quindi, sollevando solo di pochi centimetri il braccio per indicarla.

La sua voce ormai era tornata del tutto normale e si premurò di utilizzare il tono strascicato di sempre.

Cercò di fargli credere di essere il vecchio Draco Malfoy e per certi versi gli risultò strano pensarlo: quanto era cambiato? Quanto lo aveva portato a cambiare?

Ma quello non era il momento giusto per pensarci: doveva affrontare Potter.

E quello era l'unico modo: fingere di non sapere.

Del resto nessuno poteva immaginare che lui in realtà conoscesse ogni cosa.

Tutti lo avevano creduto morto per mesi, quindi avrebbe dovuto sfruttare quel vantaggio per proteggersi.

Per proteggerla.

-E' in coma...- gli rispose l'altro -O almeno è quello che credono i Medimaghi- continuò con voce incrinata, distogliendo lo sguardo per recuperare la bacchetta e occuparsi del disastro.

"E' quello che credono"

-Perché?- chiese subito lui –Che ci facciamo qui?- aggiunse.

Perché Potter aveva detto quelle parole? Non credeva che fosse in coma? Cosa voleva dire?

Quello però non gli rispose subito, prendendosi tutto il tempo necessario per ripulire il pavimento.

-Potter!- lo richiamò quindi impaziente e finalmente lui ebbe una reazione.

Tornò a guardarlo: -Qual è l'ultima cosa che ricordi Malfoy?-

Strinse i pugni, sentendo il nervosismo salire: perché stava tergiversando?

-Non mi hai risposto! Ti ho chiesto...- iniziò, ma venne interrotto.

-Lo so cosa mi hai chiesto, ma sto cercando di dirti qualcosa che non credo ti piacerà sapere, nel modo più delicato possibile. Non stupirti. Mio malgrado sei un buon Auror e mi serviresti ancora. Non credere che lo faccia per fare un favore a te-

Certo... Stava cercando di dirgli che era morto e tornato in vita.

Ovvio.

Un buon Auror?

Lui era il migliore, altro che "buono".

Si morse la lingua: c'erano cose più urgenti.

Continuò quindi a guardarlo con la stessa espressione infastidita, rimanendo in silenzio ancora per qualche secondo, cercando di figurarsi nella mente una propria reazione verosimile alla notizia che stava per ricevere.

Dovette ricorrere a tutte le sue migliori qualità di attore per far sì che quella pantomima andasse a buon fine.

Non sarebbe stato difficile.

-Stavo per rientrare a casa e qualcuno è comparso alle mie spalle- disse quindi.

-Sei stato aggredito e rapito- lo corresse lui, spostandosi poi verso la poltrona accanto alla finestra.

-Che stai dicendo Potter...-

-Ti hanno ucciso Malfoy- lo interruppe di nuovo Harry e la parte di lui che stava orchestrando le sue reazioni non riuscì a fare a meno che applaudire a quell'innata sensibilità che contraddistingueva quel Grifondiota.

Meno male che stava cercando un modo gentile per dirgli la verità, altrimenti come minimo quella volta sarebbe morto davvero di crepacuore.

Ma ancora una volta non poté pensarci, doveva reagire; Potter lo stava già guardando dubbioso.

-C... Cosa?- chiese, fingendosi incredulo.

-Mi hai sentito- disse l'altro, sedendosi.

-COSA?!- gridò, avvicinandosi a lui di gran carriera.

Harry si limitò a rialzare lo sguardo: -Einar Athos Nott. E' lui il tuo assassino. Theodore e Pansy erano suoi complici- gli spiegò.

-Cosa vai blaterando Potter?! Io sono vivo, non mi vedi forse?- disse afferrandosi i vestiti –Sei forse diventato del tutto cieco?!- lo provocò, inevitabilmente divertito.

In fondo gli era mancato poterlo prendere in giro per ogni minima sciocchezza.

Ma quel Potter che aveva davanti non ebbe la reazione che lui si aspettava: sospirò stancamente, portandosi le mani alla fronte e piegandosi in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia.

-Senti- gli disse serio, abbassando le braccia, rimettendosi in piedi e fronteggiandolo –Non ho proprio voglia di litigare. Ti ho spiegato cos'è successo. Puoi non credermi, ma ti basterà prendere un calendario e controllare la data. E' il quattro di Giugno. Sei stato rapito a Settembre e per tutti questi mesi eri morto. Il tuo corpo ha subito un'autopsia, sei stato sepolto e poi riesumato. Non so come sia possibile tutto questo, non chiedermelo. L'unica cosa che so è che adesso tu sei vivo e vegeto, qui, davanti a me e sto facendo ricorso a tutto il mio autocontrollo per non trascinarti dal Medimago di turno questa notte e farti analizzare per trovare una spiegazione plausibile. Tu sei di nuovo vivo, mentre lei è lì da quattro mesi ormai e non accenna a svegliarsi. Hanno parlato di coma, ma io ci credo poco e sto esaurendo le energie nel tentativo di fare ricerche su una possibile cura per riaverla indietro. Non sono bravo in queste cose; lei lo era e ha sempre cercato di insegnarmi. Mi ha sempre aiutato quando ne avevo bisogno. Mi ha salvato per sette anni di fila e ora che è lei ad avere bisogno di me, io non riesco a ricambiare. Mi sembra di combattere contro i mulini a vento. Ginny è completamente distrutta e...- si interruppe come se stesse per dire qualcosa di sbagliato, ma si riprese quasi immediatamente –Quindi, a meno che tu non voglia renderti utile nella ricerca di una soluzione, ti chiedo di smetterla. E' già abbastanza difficile così-

Disse quelle parole senza mai distogliere lo sguardo da lui. Draco non lo aveva mai visto così serio e, in fondo, lo capiva benissimo.

Nonostante dovesse mostrarsi disinteressato, capiva totalmente Potter.

Si sentiva nello stesso identico modo ed era tornato indietro da poco più di due ore.

Quattro mesi.

Erano passati quattro mesi da quando avevano affrontato i Nott?

Da quando lei gli aveva detto quelle parole?

Era in "coma" da quattro mesi?

Coma...

Doveva ancora capire perché lui non ci credesse.

-Non è in coma?- chiese, pentendosi subito dopo della sua avventatezza, ma spinto da un inevitabile interesse.

Anche Harry se ne stupì, Draco se ne accorse immediatamente, ma quello si affrettò a nasconderlo: -Non credo. Non ne mostra i segni. Di solito chi è in coma non risponde agli stimoli dolorosi o verbali. Lei invece sì-

Sgranò gli occhi: -Che vuol dire?-

-Ha stretto le palpebre ogni qualvolta le è stato inferto uno stimolo doloroso, come se lo sentisse e provasse del vero dolore. E ogni qualvolta abbiamo provato a chiamarla, ha iniziato ad agitarsi come se avesse un incubo, ma non si è mai risvegliata. Più che coma, sembra sia semplicemente addormentata e che non riesca a svegliarsi. Non sappiamo più cosa fare- gli spiegò.

Ne rimase scioccato, girandosi a guardarla da lontano: era "addormentata"?

La mente iniziò a lavorare freneticamente sullo stesso tarlo che aveva preso a tormentarlo nella sua stanza, più prepotente di prima e il dubbio si trasformò quasi in certezza.

Si erano scambiati? Se lei fosse rimasta intrappolata dall'altra parte?

"Saresti rimasto con lei"

Quindi era questo che voleva dire?

Se le avesse detto che l'amava si sarebbe risvegliata anche lei?

Prima di iniziare ad insultarsi da solo però, tornò a voltarsi verso Potter: -Hai parlato con Blaise? Ci sarà una qualche pozione...- chiese, ma subito si interruppe quando notò la smorfia malcelata del Grifondoro.

-Potter, dov'è Blaise?- disse quindi, allarmandosi.

Il suo interlocutore si girò verso la finestra, rivolgendogli le spalle: -E' in coma. E su di lui ne siamo certi. E' stato quasi colpito da un Avada, ma Hermione si è messa in mezzo con un Protego molto potente. L'onda d'urto l'ha sbalzato indietro, facendolo sbattere in maniera piuttosto violenta contro la parete e i frammenti dell'incantesimo lo hanno raggiunto. Ha avuto un'emorragia cerebrale e ha subìto un delicato intervento. Sono passati quattro mesi anche per lui- gli spiegò con calma, ma per lui quelle parole furono come lava incandescente.

Blaise rischiava la vita?

No. No.

Non era vero.

Non poteva essere vero.

E com'era accaduto per sua madre, si ritrovò a pensare a cosa avesse dovuto sopportare il suo migliore amico quando aveva scoperto della sua... morte.

Chiuse gli occhi, reprimendo ogni singola emozione com'era abituato a fare, ma questa volta riuscendoci a fatica. Come poteva essere stato così egoista da pensare solo a sé stesso e alla sua frustrazione?

Come aveva potuto non pensare a loro? Alla sua famiglia.

A sua madre. Suo padre. Suo fratello.

Suo fratello che avrebbe dovuto sposarsi e diventare padre da lì a poco... molto poco.

Sentì quasi la terra mancargli sotto i piedi ripensando alla data a cui si trovavano ed ebbe quasi paura a chiederlo, ma doveva...

-Astoria sta bene?- gli domandò cercando di rimanere impassibile.

-Adesso sì. Ha partorito prematuramente, da quasi un mese, ma adesso sia lei che il bambino stanno bene-

Il bambino.

Era un maschio.

Nonostante il dolore provato, non poté impedirsi di sentire un po' di felicità per l'avvenimento, ma adesso, era suo preciso dovere fare in modo che il nuovo arrivato non divenisse orfano. Era suo dovere ricambiare il favore che lei e suo fratello gli avevano fatto.

Sentì una scarica di adrenalina percorrerlo da capo a piedi: li avrebbe salvati a qualsiasi costo.

Quando Harry tornò a guardarlo, non notò nulla di diverso nella sua espressione e lui si limitò a due semplici parole: -Ti aiuterò- ma se lui ne fosse rimasto stupito o meno, non gli fu dato saperlo, perché si limitò ad assottigliare le labbra e ad annuire brevemente.

Annuì a sua volta, poi si girò di nuovo verso di lei: se avesse potuto chiamarla per nome, lo avrebbe fatto; se avesse potuto avvicinarsi a lei l'avrebbe fatto.

Se avesse potuto...

Si bloccò, colto improvvisamente da un pensiero.

Raggiungerla.

Se avesse potuto raggiungerla!

Ma certo!

Se lei era intrappolata dall'altro lato, allora forse aveva ancora una possibilità.

L'avrebbe aiutata ad uscire da lì.

Sì, avrebbe fatto così.

C'era ancora una speranza.

Avrebbe provato ad addormentarsi.

Doveva provare ad addormentarsi.

Si girò di nuovo verso Potter: -Dov'è Blaise?-

-Due stanze più in là, uscendo sulla destra. Credo troverai Astoria con lui. Sarà felice di rivederti- gli rispose.

A quel pensiero, sentì il cuore riscaldarsi.

Si limitò ad un cenno di assenso, voltandosi quindi verso la porta dopo un'ultima occhiata veloce al letto, che Potter non poté vedere, arrendendosi al fatto che in quella realtà non avrebbe potuto fare nient'altro.

Era quasi giunto all'uscita, quando un pensiero improvviso lo colpì e di nuovo i dubbi tornarono a infastidirlo.

Doveva saperlo.

Avrebbe potuto chiederlo direttamente a lei, ma la curiosità in quel momento prevaleva di gran lunga, rendendolo impaziente.

E poi, la presenza di Potter e non di quel pezzente lì dentro, doveva significare qualcosa.

Ne era certo.

Potter aveva nominato la Piattola e, ci scommise la sua Firebolt, stava per nominare Weasel subito dopo, ma si era interrotto quasi immediatamente.

Quindi... Questo significava che...

Ghignò.

Era successo qualcosa.

-Potter- lo richiamò.

Avvertì un leggero spostamento d'aria in lontananza che gli fece capire che si era girato nella sua direzione e lo stava ascoltando.

-Toglimi un'ultima curiosità- disse, non nascondendo il leggero tono ironico e voltandosi nuovamente verso di lui.

L'altro sollevò un sopracciglio: -Cosa vuoi sap...-

-Perché mai tu sei qui dentro al suo capezzale e Weasel è lì fuori stravaccato su una sedia come un elfo domestico non particolarmente addomesticato?- lo interruppe.

Il già poco colorito che lo Sfregiato aveva sulle guance, sparì totalmente.

Abbassò il sopracciglio e distolse lo sguardo da lui.

Lo sapeva: era di sicuro successo qualcosa.

Dopo qualche secondo tornò su di lui: -Era stanco, così ci siamo dati il cambio- disse, visibilmente teso.

Stava mentendo: era palese.

Ghignò di nuovo: -Aaah! Voi stupidi Grifondioti. Non ce la fate proprio a mentire eh? Siete troppo nobili di cuore- lo prese in giro.

-Non sto mentendo!- protestò Harry, evitando il suo sguardo.

-Potter- lo riprese, annoiato guardandolo con aria di sufficienza.

-Non è affar tuo Malfoy-

Ecco. Appunto. Aveva appena dato la conferma ai suoi dubbi.

Ma su una cosa aveva in parte ragione: ufficialmente non era affar suo.

Ufficiosamente sì.

Quindi avrebbe saputo.

E l'unico modo era...

-Non è affar tuo Malfoy- lo scimmiottò non togliendogli mai gli occhi di dosso. Avrebbe funzionato. Ne era certo –Dicono che i Grifondoro siano nobili e puri di cuore, ma chissà quanti segreti avete tenuto nascosti tra le mura di quella torre in tutti quegli anni ad Hogwarts, non è così Potter?- gli chiese, andando ovviamente a segno.

Punto sul vivo, l'altro fece l'errore più banale che anche il più inesperto tra gli Occlumanti non avrebbe mai commesso: ricambiò il suo sguardo.

E prima di avere il tempo di ribattere, Draco si era già intrufolato nella sua mente alla ricerca della verità.

E non ci mise molto a trovarla.

Davanti a lui comparve un salotto.

Lo riconobbe: era quello di casa della Granger.

E ciò che vide lo lasciò senza parole: non credette ai propri occhi.

C'era Potter e davanti a lui Weasel.

E all'improvviso il primo dava un pugno al secondo, intimandogli di stare lontano da lei.

Ma essendo dentro la sua mente, non ci mise molto a captare ciò che era successo poco prima.

Ciò che quel maledetto pezzente indegno aveva confessato.

Quindi era questo ciò che era successo?!

Quel bastardo l'aveva tradita?!

Sentì la rabbia montargli dentro ad ondate.

Quel... Quel...

-MALFOY!-

Si sentì strattonare e venne riportato bruscamente alla realtà.

Non capì nulla per qualche secondo, finchè non sentì un dolore improvviso alla schiena e recuperò la lucidità, rimettendo a fuoco la scena.

Potter gli stava addosso, tenendolo bloccato contro il muro, guardandolo furiosamente: -Non osare mai più, razza di stronzo!-

Rimase per un attimo stupito: Potter si era liberato. Com'era possibile?

-Non credere che sia ancora lo sprovveduto di qualche anno fa Malfoy! Ringrazia il cielo che tu sia ancora convalescente, altrimenti ti avrei già pestato!-

-Suvvia Potter...- iniziò a dire ghignando –Più garbato! Te la prendi per un così piccolo scherzo innocente?-

-Stronzo!- gli rispose l'altro, premendolo contro il muro per un secondo per poi lasciarlo andare. Mossa studiata in modo perfetto, perché il suo fisico, ancora debilitato, non riuscì a reggerlo, facendolo scivolare inevitabilmente a terra.

Ringraziò Salazar che ci fosse quella parete, altrimenti la sua caduta sarebbe stata sicuramente molto più imbarazzante.

Si fermò un attimo, rimanendo sul pavimento per riprendere fiato: -Ti sono mancato, eh?- disse sghignazzando leggermente. Prendere in giro Potter era la cosa che in vita sua lo aveva sempre divertito di più.

-Taci, idiota platinato- gli rispose quello, tornando indietro a sedersi sulla poltrona.

Ghignò di nuovo e con lentezza si rimise in piedi dandosi un contegno, prima di voltarsi e guadagnare l'uscita ancora una volta.

-Ci si vede- disse e senza attendere risposta uscì.

Quando la porta si richiuse alle sue spalle, il ghigno sparì, lasciando posto ad un'espressione di gelida rabbia.

Spostò lo sguardo lentamente alla sua destra: Weasel era ancora lì, addormentato su quella sedia, in posizione ancor più scomposta di prima, ma ancora con la testa poggiata sulla mano e il gomito sul bracciolo. In un attimo seppe cosa fare.

Per fortuna del pezzente, il Crucio era ancora illegale, per cui dovette accontentarsi di qualcosa di un po' meno doloroso.

Prese la bacchetta e dimentico che il suo corpo potesse non sopportarlo, si Disilluse.

Rimase fermo qualche attimo, per assicurarsi che tutto andasse bene, ma, con molta probabilità a causa dell'adrenalina, il suo fisico non diede alcun segno di cedimento, così tornò su Weasel.

Sollevò la bacchetta e pronunciò a bassissima voce un Incarceramus.

Corde si liberarono apparentemente dal nulla e in un attimo, si avvolsero intorno alle caviglie del rosso legandole insieme. Altre iniziarono a stringersi attorno al torace e al braccio che non reggeva la testa, legandolo alla sedia come un salame.

Quando fu soddisfatto, si allontanò: Potter gli aveva detto due porte a destra, giusto?

Arrivato a destinazione si girò di nuovo verso il maledetto e sollevò la bacchetta, ghignando.

Stavolta non si trattenne: con un colpo di bacchetta gli strattonò il braccio e tutto successe nell'arco di un secondo.

Il braccio si spostò di scatto; la testa, non più sorretta, cadde verso il basso, sbattendo in maniera piuttosto dolorosa contro il bracciolo.

Come Draco aveva previsto, sentendosi cadere, per riflesso quell'idiota cercò di alzarsi di scatto, ma le corde lo trattennero trascinandolo rovinosamente a terra.

Sentirlo urlare e imprecare per il dolore, fu una delizia per i timpani: dal suono secco che seguì con molta probabilità doveva essersi lussato una spalla.

"Ottimo lavoro" si disse compiaciuto.

Rimetterla a posto sarebbe stato molto più che un semplice dolorino per essere caduto da una sedia.

Avrebbe voluto assistere, ma non era il momento di perdere tempo.

La porta accanto a lui si stava aprendo, così come quella della stanza di lei.

Potter uscì nello stesso momento di Astoria, attirati entrambi dalle grida del pezzente che stava creando un notevole trambusto.

In lontananza riusciva già a vedere le infermiere che stavano accorrendo.

-MALFOY!- sentì urlare a Potter.

-Cosa c'entra Malfoy, Harry?! Aiutami!- gli rispose Weasel, con le lacrime agli occhi, continuando a lanciare gridolini come una femminuccia.

Astoria accanto a Draco guardava la scena dubbiosa e lui si prese solo qualche istante per studiare il suo aspetto: era pallida e notevolmente smagrita rispetto all'ultima volta che l'aveva vista.

Era arrivato il momento di rallegrarla almeno un po'.

Si girò verso di lei, poggiandole le mani sulle spalle.

Sussultò, lanciando un grido di paura, così si affrettò a tornare visibile, con un ghigno divertito stampato sul volto.

Gli occhi le si illuminarono e la mano corse alle labbra mentre la bocca si spalancava per la sorpresa.

-Sei... Ti... Ti sei svegliato...- gli disse sotto shock.

Lui annuì leggermente: -Ciao Tori- rispose sorridendole con sincerità.

Lei non ricambiò il saluto, ma si lanciò sul suo collo abbracciandolo di getto.

Pianse e fu solo quando ricambiò l'abbraccio che Draco si rese conto di quanto effettivamente fosse dimagrita.

-Sei tornato davvero?! Sei... Eri... Eri ancora vivo! Sei qui! Non sei morto!-

-Sono qui- le rispose, sentendo il cuore accelerare.

-Ti prego non te ne andare più- lo implorò lei, la voce rotta dal pianto.

-Non lo farò- la rassicurò.

L'affetto di lei era sincero.

Lo sapeva.

Ci aveva messo un po' di tempo ad accettarlo, sospettoso com'era, ma alla fine aveva dovuto ammetterlo a sé stesso: Astoria gli voleva bene in maniera sincera.

Rimasero fermi per qualche minuto, senza dire nient'altro.

Non ce n'era bisogno.

Avrebbero avuto molto tempo per parlare.

Ben presto però dovettero separarsi, divisi da un unico fastidioso grido:

-MALFOY! SEI SVEGLIO! SEI STATO TU, NON E' VERO?!-

Weasel si era accorto della sua presenza.

Astoria lo lasciò andare, sollevando lentamente gli angoli della bocca, aprendosi in un leggero sorriso.

Spostò lo sguardo sui due Grifondoro e ridacchiò: -Ne sai qualcosa?- gli chiese poi, la voce ancora rauca, intrisa di un leggero velo di sarcasmo.

Draco tornò a guardarla, cercando di assumere l'espressione più innocente e finta possibile: -Chi, io? Mi offenderei se pensassi il contrario- ghignò.

Lei si aprì in un sorriso vero e proprio, prendendolo per mano: -Vieni con me. E' ora di conoscere tuo nipote- gli disse.

L'emozione lo fece vacillare per un secondo.

Suo nipote... Non aveva mai pensato ad una definizione del genere.

Fece un passo avanti, ma prima di entrare, riafferrò la bacchetta, puntandola contro quella maledetta donnola starnazzante.

-Silencio!- pronunciò e dopo neanche un secondo tutto tacque.

Weasel cominciò a imprecare senza voce e Potter continuò ad aiutarlo come possibile, ma solo dopo aver lanciato al suo indirizzo ben più un paio di imprecazioni.

Astoria invece lo guardò con finta severità, ma lui alzò le mani a mo' di difesa:

-Che c'è? Sbaglio o se i neonati si svegliano è impossibile farli riaddormentare?- 





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Spazio Autrice: 

Beh, beh, beh? ;) Piaciuto??? :D Ecco a voi il primo dei tre extra che ho scritto ;) 

Mi sembrava doveroso inserire almeno una volta il P.O.V. di Draco e non potevo scegliere occasione diversa da questa ;) Spero vi piaccia ed ovviamente spero abbiate capito tutti dove si va a collocare all'interno della storia ;) 

Avrete sicuramente notato le similitudini con il "finto" risveglio di Hermione, quindi vi chiedo: chi si azzarda a dirmi perché? ;) Sono sicura che ormai l'abbiate capito :D

Wattpad oggi sembra letteralmente esploso xD Ed io vi ringrazio uno per uno per le splendide parole che mi avete rivolto <3 Non dico altro  però, conservando tutto per i ringraziamenti ;D 

Il prossimo capitolo sarà l'EPILOGO, ma ricordatevi questo: 

FINCHE' NON LEGGERETE LA PAROLA FINE, VORRA' DIRE CHE NON E' ANCORA FINITA ;) 

Tenetelo a mente 

E mi raccomando

Stay Tuned (ancora per poco) :*

Iron9208(Arlen) 


P.S. Quanto piacere ho tratto nello scrivere di Ron? xD Ahahahahah 

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