Capitolo 2: Ventiquattro giorni dopo
06/07/2018 – Jungkook
«Ed è successo tutto così all'improvviso che non ho avuto il tempo di impedirlo, eppure mi sento in colpa. Perché sì, è stata anche colpa mia. E adesso non so che fare perché dovrei stargli vicino, ma non riesco neanche a toccarlo. I sensi di colpa mi stanno mangiando vivo e non so come cacciarli via. Ho attacchi di panico ogni cinque minuti e a me neanche è successo niente, quindi non immagino come possa stare lui. Ha bisogno di qualcuno e io non mi sento all'altezza.» E la cosa peggiore è che era la sua prima volta e... ho aspettato apposta quel giorno solo perché tutto fosse speciale, ma quel bastardo ha dovuto rovinarlo. Per colpa mia, mia... perché l'ho letto quel cazzo di verbale e c'era scritto chiaramente che l'ha fatto per vendicarsi di me. Perché mi odia. Ma non mi importa per me, non mi importa di non essere stato io il primo... mi importa del fatto che la prima volta di Jimin sia stata uno stupro. Dovevo essere io perché solo io l'avrei protetto, solo io l'avrei fatto sentire come merita, soltanto io perché lo conosco come le mie tasche e lo amo con tutto il mio cuore, non un viscido verme geloso che spero rimanga per sempre in galera.
«Lui ti ha chiesto aiuto?»
«Certo che sì! Beh... più o meno, ma per quanto io mi sforzi penso sempre di star facendo errori su errori. Lui dice che va tutto bene, ma dicono tutti così. "Non ti preoccupare, sto bene", solo per farmi stare tranquillo, ma come faccio a stare tranquillo? È successo solo un mese fa, lo sento come se fosse ieri. Davvero non riesco a pensare ad altro. Quando rimango con lui finché non si addormenta e vedo quella faccia angelica, mi chiedo come... come abbia potuto fare una cosa del genere ad un essere così innocente. Io-» singhiozzo e, senza accorgermene, inizio a piangere. Nonostante io abbia pianto ogni giorno da quando è successo... quello... ho ancora lacrime da versare. Come se stessi recuperando i ventun anni della mia vita passati senza mescerne una.
Prendo un fazzoletto dalla tasca dei jeans e mi asciugo le lacrime, soffiandomi poi il naso. Per quanto io cerchi di smettere, quelle continuano a cadere. «Non so cosa fare con lui.»
«Cosa ti senti di fare?»
«Se fosse per me lo prenderei tra le mie braccia e me lo stringerei al petto tutte le volte che lui ha bisogno di me, tutte le notti prima che si addormenti, tutte le mattine prima che si svegli. Se fosse per me lo terrei chiuso in una bolla di sapone che lo protegga da ogni altro male, anche se non ne esiste uno peggiore di quello che ha subito. Vorrei solo tornare indietro nel tempo e cambiare tutto, vorrei solo essermi comportato diversamente, vorrei... non aver fatto lo stronzo quella sera. Sono sicuro che se gli avessi detto le cose in un modo diverso lui mi avrebbe ascoltato e sarebbe rimasto a casa. In più provo dei sentimenti strani nei confronti di Taehyung...»
«Che tipo di sentimenti? Prova a parlarmene.»
«Lo so che lui non c'entra niente con tutto questo, ma è stato lui a rivelare informazioni su Jimin mentre lo stava facendo con quel verme. E come ha fatto della droga ad entrare nel suo pub super sicuro? Mi sento uno schifo a pensare queste cose, ma non posso farci niente.»
«È del tutto normale il modo in cui ti senti. L'importante è che tu non dia la colpa a lui né a te stesso. L'unico colpevole in questa storia è Namjoon...»
«Come faccio a non incolpare me stesso? Se io non fossi mai entrato a far parte della vita di Jimin, a quest'ora lui sarebbe intatto.»
«Ti ripeto che è normale provare certe cose, ad esempio il senso di colpa, ma devi cercare di superarlo e spero che tu sia qui per questo.»
«Sono qui per sfogarmi, per parlare, ma anche stare qua mi fa stare male perché non sono con Jimin e non posso proteggerlo.»
«Lo so che il dolore è forte, ma in qualità di tuo medico ti dico che devi pensare anche a te stesso. Intendo... non lasciarti andare, okay?»
«Come faccio a pensare a me stesso quando la persona che amo è ridotta a un ammasso di sfiducia totale verso l'umanità e di parole dette piano per paura di non so cosa. Non ha più fiducia neanche in se stesso, non ha più la stessa luce negli occhi, non... non è lui.»
«Lui va da qualcuno?»
«No, al momento no, non ne ha mai voluto parlare. E io stesso avrei paura a farlo stare da solo in una stanza con un altro uomo. E credo che neanche lui se la sentirebbe...»
«Non ne ha mai parlato? Mai una volta?»
«Con me no...»
«Magari ne ha parlato con altri suoi amici. Potrebbe essere?»
«Sì, ma... non lo so, il rapporto più stretto lo ha sempre avuto con me, anche se ora ci siamo allontanati un poco ed entrambi soffriamo per la cosa.»
«Parlami di questo, allora. Perché ti sei allontanato da lui?»
«Perché non so cosa fare. Non so fino a quanto posso avvicinarmi a lui senza risultare una minaccia, non so di cosa posso parlare con lui, non so come comportarmi. Vorrei comportarmi normalmente, a volte, ma oltre a non riuscirci di mio penso sia anche una presa per il culo nei suoi confronti. Intendo, dopo quello che ha subito, mica posso mettermi a parlare con lui del tempo atmosferico...»
«E perché no? Secondo me è proprio quello che ci vuole: distrarlo. Se lui non vuole parlare di quell'argomento con te e se tu pensi che qualsiasi altro argomento sia banale vuol dire che avete smesso di parlare. Ma non penso sia quello di cui lui abbia bisogno.»
«È quello il punto, neanche io so di cosa ha bisogno e speravo che venendo qui l'avrei scoperto.»
«Io sono il tuo medico, curo te. Non posso sapere di cosa ha bisogno se non l'ho mai visto né ascoltato. L'unica cosa che posso dirti è che devi essere tu a provare a fare qualcosa. Prova davvero a parlargli del tempo, prova a comportarti in modo più normale; quasi come prima, ma senza forzare troppo la corda. Tu provaci soltanto e alla prossima seduta mi dirai come è andata, d'accordo?»
«Non so se riuscirò a comportarmi normalmente...»
«Devi almeno provarci.»
«Va bene.»
***
Dopo aver pagato la mia parte dallo psicologo, esco dal suo studio e mi alzo la mascherina nera fino a sotto gli occhi, per non essere riconosciuto da nessuno. Vedo la gente in strada ridere e scherzare con amici e familiari, vedo coppie di fidanzati tenersi per mano e lancio la prima maledizione di oggi all'Universo.
Stanco di tutti quei volti sorridenti, mi infilo in macchina e inizio a guidare verso casa. A volte sento un enorme bisogno di starmene da solo per un po': per piangere, per urlare, per pensare a tutti i problemi che ha Jimin adesso. Ma cerco sempre di respingere questo bisogno, che però ogni volta si fa più forte, perché se io sto da solo anche lui sta da solo. E non posso lasciarlo solo, non di nuovo.
Quindi avvio il motore e prendo la strada più breve per arrivare a casa nostra, che ormai non sento neanche più come casa da quando manca il calore di Jimin a scaldarla. Da quando gli manca quella minuscola scintilla che gli illuminava gli occhi e che, nonostante le più che modeste dimensioni, riusciva a provocare un incendio dentro di me. Ormai questo edificio è solo un ammasso di cemento e legna.
Varco la soglia in modo cauto, cercando di non fare troppo rumore in caso Jimin stesse dormendo, ma lo trovo sul divano a guardare un film, coperto dalle gambe allo stomaco dalla copertina del divano nonostante sia Luglio. Quella piccola parte speranzosa di me spererebbe che non sia per la paura, ma quella piccola parte è stata sotterrata da ingenti quantità di fobie e insicurezze. L'unica parte di me che rimane sa che in realtà è proprio quello il motivo per cui è così coperto e la cosa mi fa arrabbiare. Quel verme ha rovinato il mio piccolo. Piccolo, quanto mi manca chiamarlo così.
«Hey...» dico, annunciando la mia presenza.
«Ciao» replica, con un sorriso appena visibile e di cortesia. «Sei stato via tanto, dov'eri?» mi domanda dopo. Inizio a sudare freddo, sto per avere un attacco di panico? Non ho detto a Jimin che sono andato dallo psicologo, ho preferito tacere, perché non voglio farlo preoccupare o attirare l'attenzione su di me, ma mi sentirei male a mentirgli adesso. Cos'è che mi ha detto il dottore riguardo al panico? 'Inspira dal nas--', no, non era così; 'Espira tanta a--', no, neanche così. Non riesco a calmarmi, annaspo in cerca di aria e apro la bocca per farne entrare di più nei polmoni.
«Stai bene?» mi chiede dopo un po', vedendomi in questo stato.
«S-sì, è... sono stato dallo... dobbiamo parlare» concludo, deciso a dirgli tutto. Non posso mentirgli, non posso affatto, aumenterei solo la sua sfiducia. Mi siedo quindi accanto a lui sul divano, cercando di mantenere una distanza adeguata dal ragazzo di fronte a me (che comunque si ritrae, facendomi perdere tre battiti tutti insieme), e provo a respirare più con calma per riuscire a parlare e dirgli la verità.
«Jimin, io... sono andato dallo psicologo. Ogni venerdì uscirò per due ore circa, per il resto del tempo cercherò di stare il più possibile con te, per non lasciarti da solo.»
«O-okay... se ne senti il bisogno va bene.»
«Credo che anche tu ne abbia bisogno» azzardo.
«No.» mi risponde secco distogliendo lo sguardo dal mio.
«Jimin, devi essere aiutato» insisto sapendo di stare andando oltre, ma ci devo provare.
«Io ho te. Mi puoi aiutare tu...»
«No, non posso. Non so mai che cosa fare, non so quale sia la cosa giusta, ho paura di mandare tutto a fanculo. Invece loro sono esperti.»
«Come se sapessero quello che abbiamo passato... come se a loro fosse mai successa una cosa del genere. La persona da cui vai è mai stata drogata e violentata? La persona da cui vai ha mai pensato di star consumando la sua prima volta con l'unica persona che abbia mai amato e invece era solo sotto l'effetto di allucinogeni?»
«Jimin...» cerco di fermarlo, una lacrima che mi solca il viso.
«La persona da cui vai ha mai perso tutto quanto di più importante nella sua vita nel giro di una notte solo perché un brutto bastardo che credeva suo amico voleva "vendicarsi"? Scommetto di no, quindi non mi può aiutare» finisce la frase e si sdraia sul divano senza guardarmi, per farmi capire che ha finito la conversazione.
«Okay...» gli concedo, non mi sento in grado di insistere in questo momento, non ci riesco proprio. «Hai preso le medicine?»
«No» sputa secco.
«Jimin... lo sai che-» lo ammonisco, ma lui mi interrompe, ribattendo: «Non le voglio prendere, mi fanno stare solo male...»
«Jimin, non puoi rifiutarti di essere aiutato. Non posso immaginare quanto sia difficile per te, davvero non posso, però-»
«Ecco, allora non dirmi che mi possono aiutare perché sapere che dovrò prendere quei cazzo di antidepressivi mi fa deprimere ancora di più. Pensa se alla tua età ti dicessero che dovrai prendere una medicina per tutta la vita... come ti sentiresti?»
Ogni giorno ho un attacco di panico, dovrò fare terapia una volta a settimana perché da solo non saprei come farcela, mi sento sempre inutile e d'intralcio, però non posso mettergli sulle spalle pure i miei problemi. Quindi dico soltanto: «Non sarà per sempre, ma devi iniziare. Hai detto che posso aiutarti io, ma se non accetti i miei consigli è difficile...» tiro un po' la corda, sperando di sortire qualche effetto su di lui.
«Okay, va bene...» risponde alzandosi e dirigendosi verso la cucina, prendendo un bicchiere dalla credenza e riempiendolo d'acqua fresca. Afferra la scatoletta ancora piena di pastiglie e se ne posa una sulla lingua, portando poi il bicchiere alle labbra – quelle stesse labbra che tanto mi mancano, ma che adesso come adesso non oso sfiorare neanche con lo sguardo – e mandando giù l'antidepressivo insieme all'acqua.
«Contento?» dice poi lanciandomi un'occhiata e tornando a sdraiarsi sul divano, coprendosi del tutto stavolta.
«Sarò contento finché continuerai a provarci.»
«Non ha senso curare una cosa che non esiste...» dice raggomitolandosi sul divano, coprendosi fino alla punta del naso.
«Che intendi?» domando confuso e necessitante di spiegazioni. La sua depressione non esiste?
«Che non sono depresso, ma nessuno lo vuole capire. Pensati tutti che io sia sull'orlo del suicidio e che basti pochissimo per farmici cadere dentro. Io non sono depresso, ma tutti mi trattate come se lo fossi.»
«Tutti i depressi dicono di non esserlo.»
«Perché non mi vuoi ascoltare? Se ti dico che non lo sono, non lo sono. Io non ho davvero subito uno... una violenza, non a tutti gli effetti. Ero incosciente e non capivo cosa stesse succedendo. E questa cosa mi ha salvato da un trauma forse peggiore di quello che effettivamente ho subito. Ovviamente adesso non posso mentirti dicendo che sto alla perfezione, ma non sono depresso.»
«E invece tu l'hai sentito...» mormoro con un filo di voce.
«Che...?» domanda confuso.
«Lo hai sentito dentro di te ed è questo il trauma. Pensavi che fossi io, ma non era così. Non puoi negare quello che è successo come non puoi negare di avere bisogno di aiuto.»
Jimin si blocca, assorbendo ogni parola che gli sto dicendo. Le assimila tutte, una per una e schiude le labbra non so quante volte per rispondermi, richiudendole subito dopo perché non trova le parole. Infine conclude con un: «Ho sonno» e se ne va in camera sua, lasciandomi da solo in salotto.
Non credo che raggiungerlo sia la cosa giusta da fare, quindi salgo in soffitta per dare velocemente da mangiare ai conigli e poi, dopo essermi lavato le mani, mi metto al lavoro in cucina. Se c'è una cosa che ho imparato a fare in questi giorni è proprio cucinare, anche se non sono perfetto e di sicuro non sono all'altezza di Jimin.
Jimin è rimasto chiuso in camera sua tutto il giorno e io non ho osato disturbarlo, credendo che avesse bisogno dei suoi spazi. Ovviamente, sotto consiglio dei medici, ho rimosso dalla sua camera qualsiasi cosa con cui avrebbe potuto arrecarsi del danno, quindi non sono preoccupato che possa essere successo qualcosa nel frattempo. Tuttavia adesso è arrivato il momento di andarlo a chiamare, perché non voglio che salti i pasti.
«Hey, Jimin?» dico bussando alla porta di camera sua.
«Entra...» sento dire dall'altra parte. Faccio quindi come mi dice e lo ritrovo steso sul letto a leggere un libro.
«È pronto da mangiare» annuncio.
«Okay...» risponde senza guardarmi, inserendo il segnalibro fra le pagine che stava leggendo e chiudendo il tomo, lasciandolo poi sul letto. Ora posso vederne il titolo... e non mi piace.
«Scusami per quello che ho detto prima, io non-» cerco di dire, ma vengo interrotto da lui. «Non devi scusarti per un tuo pensiero» dice morbido. So che in realtà è ancora dispiaciuto e triste, ma non lo dà a vedere. Lo nasconde, come nasconde la sua depressione, ma senza grandi successi.
Mi sposto indietro per farlo uscire e, a una debita distanza, lo raggiungo in cucina.
«Ho provato a cucinare» dico con un sorriso, sperando che anche lui si rallegri.
«Si sente il profumo» risponde riempiendosi il piatto. Riempire è una parolona, siccome prende solo due cucchiaiate del pasto, ma meglio di niente. Abbiamo stabilito insieme il numero due come limite minimo per lui e non lo supera mai, ma almeno mangia qualcosa. Tra poco vorrei provare a spingermi a tre – o a quattro addirittura –, ma stasera ho già fatto abbastanza.
«Sei diventato bravo» mi dice masticando e io sorrido al di fuori, rispondendo con un: «Grazie».
«Jimin... ti posso fare una domanda?» dico all'improvviso, senza pensarci. Volevo davvero provare a chiedergli del tempo, ma poi mi è venuta in mente questa cosa da chiedergli.
«Dimmi...» dice mandando giù anche il secondo boccone, lasciando il piatto vuoto.
«Davvero non vuoi essere aiutato da nessuno...?» domando con tutto il poco coraggio che mi è rimasto in corpo. Jimin si ferma per un attimo sul posto, immobile, smette anche di respirare. Il suo sguardo è fisso in un punto nel vuoto. Dopo attimi interminabili, sospira e poi parla: «Ci ho pensato prima e... forse sì.»
«Okay.»
«Ho paura però.»
«Di cosa?»
«Insomma, non ne ho mai parlato con nessuno perché la cosa mi spaventa.»
«Ti capisco, ma non puoi portarti questo peso dentro, da solo...»
«Lo so. Ma non voglio un maschio...»
Come pensavo, Jimin ha una paura fottuta...
«La persona da cui sono andato è molto brava, ti puoi fidare» dico, perché anche se l'ho vista solo una volta, mi ha trasmesso molta fiducia. Insomma, per quanto io possa fidarmi di qualcuno, oramai. «Però posso chiedere se c'è anche una donna... forse è meglio se non andiamo dallo stesso» aggiungo, pensando che effettivamente non sia una buona idea condividere lo stesso psicologo.
Lui annuisce soltanto e poi forza un sorriso, che nonostante sia falso mi riempie il cuore scaldandomelo. Dio, quanto vorrei vederlo di nuovo così, per sempre...
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Spazio Autrice:
Ecco a voi il secondo capitolo, grazie al quale si entra proprio nel vivo della storia.
Spero vi sia piaciuto ❤️
Vi voglio bene
P.s. i want that ass è arrivata a 6k views, vi amo ❤️
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