Notte senza stelle

Ciao gente! Questa è la one-shot che ho scritto per il concorso 'L'antro delle parole' di Beatrixheart96 . Premetto che è la prima volta che scrivo al presente e non sono tanto esperta, quindi qualche errore potrebbe esserci, ma non troppi. Buona lettura (:

Questo decreta la storia: i semidei sono eroi, i mostri sono i cattivi e le arpie sono disagiate. E stupide.
Mangiano persone, sono brutte, incapaci.
Questo decreta la nostra società: esistono le arpie forti, le deboli, quelle generose, le tirchie. E poi ci sono io. La disagiata tra le disagiate, la debole tra le deboli. Asociale. Scarsa. Nikoleta.
Il mio nome significa 'conquistatrice di popoli'. Conquistatrice di sfortuna, piuttosto.
Noi arpie non siamo poi così male, in fondo. Certo, abbiamo anche noi i casi di antipatia estrema, ma molte non sono così crudeli. Non mangiamo semidei, per fortuna. Ci limitiamo a volare. Già, volare.
È il tramonto. Guardo le mie compagne volare mentre pulisco le mie piume. Osservo i miei quattro metri di ali bianche a chiazze nere e sospiro. Non finirò mai, il fango è incrostato fino all'osso. Mi lascio cadere all'indietro, sospirando. Guardo il cielo, poi mi giro su un fianco. L'erbetta del prato è verdissima, con qualche fiore bianco. Ne annuso uno. Tutto perfetto, monotono, tranquillo. Se non fosse che mi assale una profonda paura, terrore soffocante, più profondo di quanto gli occhi possano vedere. Le vene delle mie braccia diventano viola, le osservo. Il terrore, come metallo sciolto, cola sulle mie scapole, mi strappa le ali. Ho un sussulto doloroso, mi sembra di stare sanguinando. 'Non ho più le ali' penso. Sorrido, non sapendo di avere un aspetto terrorizzante. Non so di avere la pelle bianca come la farina e gli occhi simili a due capocchie di spillo. Sorrido, perchè penso di essermi liberata dal peso delle ali che non so utilizzare.
Le fitte di dolore si fermano. Sbatto gli occhi. Che è successo? Mi guardo intorno. Le ali, incrostate di fango sono ancora al loro maledettissimo posto. Due compagne arpie mi fissano a bocca aperta, poi aprono le ali bianche e volano via. Mi alzo in piedi, inciampo, cado. Sento la mia energia calare. Sono debole. Sono sempre stata debole. Eppure un secondo fa una forza incredibile mi ha assalita quasi a strozzarmi...
Mi rialzo, corro via, mi inoltro nel bosco. Devo chiarirmi le idee. Quando ancora le mie ali non erano così ingombranti, andavo spesso a fare dei giretti nei dintorni. Osservo il cielo tra i rami della foresta, tante macchioline nere turbinano, come per prendermi in giro. Dopo qualche minuto mi guardo le spalle. Gli alberi e le radici scure entrano nel mio campo visivo insieme agli ammassi di piume. Dovrei tornare indietro, ma sento come se dovessi andare da qualche parte. Sento come se dovessi correre, non posso arrivare tardi. Tardi dove? Dove sto andando? Sento che se continuo così lenta finirò per-
— Ahi! — sbatto a un ramo, mi si impigliano le penne in una radice. Non tornerò mai viva. Ma da dove devo tornare? Sbuffo e continuo ad arrancare, posizionando i piedi con attenzione nel sottobosco. Non posso permettermi di cadere ancora dalle nuvole. Non so volare, mi schianterei al suolo.
Mi fa male la schiena, colpa del peso che porto. Quattro metri di ali bianche a chiazze nere, per me sono un ostacolo. Anche i capelli lunghi continuano a impigliarsi tra le foglie. Come mi è venuto in mente di allontanarmi dal villaggio? Le passeggiate non sono il mio forte, soprattutto nel bosco. Torno a guardarmi le spalle e penso a cosa sarei capace di fare se sapessi volare. Mi immagino di volteggiare come una foglia, di lasciarmi cadere per poi aprire le ali e planare. Tutti quegli incredibili giri della morte, le battute di caccia. Sono sola, da sempre. O meglio, da quando ho deciso che sarebbe stato così. Sento ancora la voce della capo clan che mi avvisa 'Attenta, un'arpia che non vola rischia di non sopravvivere per molto'. Mi ha avvertita, adesso sto impazzendo. Sono l'unica arpia che non sa volare, e ora sono immischiata in un macello. Dovevo decidere prima, ora sono in ritardo, non posso più partecipare alle lezioni. Continuo a trascinare quegli ammassi di piume e carne sull'erba, cosciente che tra poco raggiungerò la valle e sarà tutto più facile. Sento la testa strattonata all'indietro. Mi giro, tiro via la ciocca dal le foglie e spezzo il ramoscello per la rabbia. Percepisco un improvviso dolore al collo, mi guardo le mani. Le vene si stanno scurendo fino ai gomiti, sento come se qualcosa mi stesse tagliando le ali. Mi guardo le spalle. Sono ancora al loro posto. Di nuovo. Perchè continuo a sentire quel dolore immenso se alla fine nemmeno mi sono ferita? Mi metto improvvisamente a correre, raggiungo la valle. È tutto così aperto, grande. Sorrido. Vorrei fermarmi,, ma non posso, qualcosa mi chiama via. Per nome. Mi fermo e ascolto. Non sento nulla. Allora perchè mi è sembrato che il vento chiamasse il mio nome?
— Ehilà! — chiamo. Per tutta risposta, il vento mi scompiglia i capelli.
Nikoleta
Di nuovo — Cosa vuoi? — sussurro, sapendo che non avrei ricevuto risposta. Sospiro e torno ad arrancare. La valle è grande, ma la attraverso, arrivando a una piccola macchia di betulle attraversata da un ruscello. Guardo il cielo. Un ultima macchia bianca attraversa le nuvole scure di ombre, in direzione dell'accampamento.
— Ciao betulle, mi dovrete sopportare per un po'. — dico, poi allungo le ali in acqua per finire di pulirle. Prendo un limbo della veste verde che porto addosso e inizio a strofinare. Quando finisco è ormai notte fonda. Un brivido mi assale, ma comunque esco dalla macchia e trovo un punto più aperto, poi spalanco le ali. Otto metri e mezzo di apertura alare. Mi sforzo tantissimo per tenerle spalancate, ma una ventata arriva, come per farmi cadere.
Nikoleta
Ancora. Il vento continua a chiamarmi. Devo ripartire, ma non posso, di notte è pericoloso.
Torno nella macchia e mi sdraio accanto alle radici nodose di un albero. Vorrei chiudere gli occhi, ma ho paura. Ho paura di tutto quello che sto facendo. Osservo tra le fronde degli alberi spora di me. Nemmeno una stella è lì per salutarmi. Nessuno mi sta osservando. E se ripartissi? Non ci sarebbe nulla di male se mi incamminassi. Osservo il mio riflesso nello specchio d'acqua insieme a quello della luna e penso. Che c'è di male a pensare? Dopotutto nemmeno le stelle possono vedermi, stanotte. Socchiudo gli occhi, schiudo le labbra e prendo un bel respiro, scivolando nel sonno.
Mi sveglio nella notte. "Fa freddo qui per terra" penso.
Socchiudo un occhio e vedo la luce della luna illuminare le mie ali quasi accecandomi. Mi alzo in ginocchio brevemente, poggio la testa su un'ala e con l'altra mi copro la schiena, risdaiandomi. Una coperta portatile. Apro anche l'altro occhio. Non deve essere passato molto tempo da quando mi sono addormentata. La luna si staglia molto in alto rispetto al suo nascere originario, devono essere passate un paio d'ore. Sorrido, torno a chiudere gli occhi. Poi mi ricordo che non era mia intenzione addormentarmi. Mi alzo in piedi, barcollo, appoggiandomi a un albero. Torno a sedermi a terra, strofinandomi gli occhi. La vista mi si spanna e mi accorgo che ho le mani impiastrate di inchiostro nero. Tornò a toccarmi le guance e le palpebre, ricoperte di lacrime scure. Un punto interrogativo prende forma nel mio cervello "...Cosa?". Poi capisco. Quello che mi sta accadendo è la conseguenza della mia scelta di non volare. Violare la mia natura. Il vento mi sta guidando verso il momento del mio giudizio. Potrà essere la mia salvezza come la mia rovina. mi guardo i piedi, coperti dalla veste verde scuro, e torno a incespicare verso dove mi guida il vento. Passano i minuti, e la luna sale, e sale, e sale, quasi voglia arrivare a toccare il bordo dell'universo, senza mai decidersi a scendere, godendosi la solitudine che le stelle le hanno lasciato. Quasi voglia darmi più tempo per raggiungere la mia fine. È crudele, la luna. Mi osserva mentre a passi lenti attraverso l'erba morbida della valle, l'acqua fredda del ruscello, le foglie ruvide. A un tratto vedo un piccolo raccoglimento di alberi, fitto. Sono stremata, ma posso farcela, sento che ci sono quasi. Mi avvicino, mi inoltro. Continuo a graffiarmi con rami e rovi, ma avanzo comunque. Le mie ali, una volta bianche e nere, ora sono quasi completamente rosacee di sangue. A una tratto la luce della luna torna ad abbagliarmi. Ho superato quella macchia. Ora una sporgenza di roccia si apre davanti a me. Sono sul ciglio di un burrone. Mi poggio all'albero con una spalla e con l'altra mano mi strofino gli occhi. La luna mi osserva come un occhio, il vento mi ha condotta dal lei, che si affaccia sul buio sconosciuto di ciò che si trova oltre il burrone, quasi mi salutandomi. Sorrido, come per ricambiare. Finalmente pace. Chi sa cosa succederà ora? Non so proprio immaginarmi che fine può fare un arpia che non vola. Fantastico un po', sedendomi a terra vicino alla sporgenza appuntita. Il tempo inizia a scorrere più lentamente. Sento qualcosa di umido toccarmi le guance, mentre un dolore fortissimo mi assale le spalle e il cranio. Le mie braccia si riempiono di strisce viola, e immagino anche il mio viso. Cedo inginocchiata. Mi sfioro il volto con la punta dell'indice e osservo la mia mano. La vista è offuscata, ma intravedo macchie nere impiastrate sul rosa pallido della mia pelle piena di graffi. Ancora quel marcio che mi esce dagli occhi come lacrime. penso a cosa stia vedendo la luna in questo momento. Un'arpia accasciata sull'erba secca, mentre piange lacrime nere e il suo sangue sta marcendo, mentre le sue spalle e le sue ali sono impiastrate di sangue e ricoperte di graffi. Quanto devo fare paura...
Paura.
Sento l'impeto di lanciarmi dal burrone, ma mi trattengo. Se solo ci provassi, anche con le spalle perfettamente a posto non sarei comunque capace di controllare il mio volo. Inoltre percepisco tutto troppo lentamente e in modo offuscato, e ciò mi da anche sui nervi. Tra le fitte di dolore e i brividi, mi viene da pensare a come una delle mie compagne avrebbe affrontato una simile caduta. Mi immagino le sue ali bianche accartocciate sulle spalle stendersi e raccogliere il vento, che muove leggermente le penne nei suoi turbinii. E la luna bianca, che illumina i suoi occhi vigili e sicuri, la guarda ammirata come l'occhio del cielo, apprezzando tutta la sua maestosità nell'essere un'arpia. Immagino lei mentre plana, i muscoli della schiena tendersi, le braccia strette al corpo accarezzate dall'aria gentile e le sue gambe snelle e agili illuminate dai raggi degli astri, che, sì, nel mio sogno ad occhi aperti non l'anno abbandonata. Poi penso a cosa succederebbe a me se per errore fossi precipitata al suo posto. Mi immagino inciampando goffamente su un sasso grigio argenteo, precipitando giù per quel burrone. Penso al rumore dei miei strepiti, quasi sentendoli provenire dalla macchia scura dietro le mie spalle, la mia voce stridula e graffiante. Mi vedo cadere giù, poi giù, e ancora più in basso, solo i punti candidi delle mie ali pezzate illuminate dalla luce vaghissima della luna disapprovante. Penso a come la mia insignificante figura si sarebbe persa tra le fronde di quell'oscurità che vagamente vedo riversarsi giù dal precipizio, e a come la luna pensi che era meglio rimanere nel buio con le stelle, per giocare con loro a nascondino, al posto di perdere tempo con una tale disagiata. Per finire, immagino il mio corpo tra le rocce, che giace per terra in una pozza di sangue, le ali ormai completamente color porpora, totalmente dimenticato dal resto del mondo e dagli astri, che non si sono neppure presi la briga di venire a controllare cosa è successo. Le mie tristi membra deboli ed esanimi accasciate sulla ghiaia in mezzo al nulla...
Una fitta di dolore più forte mi riporta alla realtà. La mia pelle diventa sempre più chiara e le vene violette sono sempre più evidenti, le mie dita sempre più fredde, e le mie guance sempre più impiastrate di marcio nero. Mi sento esplodere la testa e delle lame di cristallo affilatissime stanno penetrando ormai da minuti nelle mie scapole. Perchè non sta passando? Mi strofino gli occhi per vedere meglio, mi giro verso la luna e la guardo.
Sussurro — Ti prego, aiutami
Lei continua a fissarmi, ma non accade nulla. Presa da un fugace attimo di collera spaurita, afferro il coltello che porto nella cintola e con un colpo rapidissimo, che però mi sembrò lento e impastoso, taglio i miei capelli all'altezza delle spalle, alleggerendo il peso che porto. Mi giro e osservo le mie scapole, il coltello macchiato di marcio nero ancora in mano, e con estrema lentezza, lo avvicino all'attaccatura dell'ala sinistra. Una fitta di dolore alla mano mi costringe a lasciarlo cadere nell'erba secca. Bene. La luna non vuole che io ponga fine al mio dolore in questo modo? Allora tenterò con un altro. Mi sollevo sulle gambe. È stato straordinariamente semplice. La veste, ormai verde e grigio scura per il sangue e le lacrime, mi ricade dolcemente sulle gambe. guardo il cielo con aria di sfida e poi abbasso lo sguardo sulla sporgenza di roccia prima del burrone. Alzo il tallone sinistro.
Sei passi
Cinque passi
Quattro passi
Tre passi
Inciampo e cado, urtando il ginocchio a una pietrina appuntita.
Due passi
Oramai riesco a vedere perfettamente dove la mia vita avrà fine. Osservò le mie ali splendere sotto la luce della luna, che si avvicina sempre di più all'orizzonte scuro, come per volermi incontrare e accogliermi tra le sue braccia quando non ne avrò nemmeno più io. Sorrido, e i rivoli neri di freddo che mi scorrono lungo le guance incontrano gli angoli della mia bocca, inondando per capillarità il minuscolo spiraglio tra un labbro e l'altro. Schiudo leggermente le labbra e assaporo la morte nera che scivola dai miei occhi fino all'inferno. È dolce. Alzo ancora il tallone sinistro.
Un passo
Nessun passo
Aria
Aria, aria fresca che mi risveglia dal torpore, lava via il dolore e la febbre gelata e mi spanna gli occhi. Mi incita a non lasciare andare tutto così. Osservò velocemente ciò che vedo. Vuoto sopra e sotto di me, le ali che mi avvolgono, i miei capelli che mi si spiaccicano sulla nuca mentre cado di schiena a testa in giù. Mi riscuoto, stendo le ali mostrando alla notte e alle stelle assenti la mia intera e maestosa apertura alare di otto metri. Il vento sospira e sospinge il mio corpo lentamente verso il basso, ma io non voglio atterrare. La me stessa etica di qualche ora fa non avrebbe mai pensato una cosa del genere, ma io voglio volare e librarmi come solo un'arpia può, lasciarmi indietro tutto il dolore e la sofferenza. Ora che mi trovo tra la braccia del vento e sotto gli occhi della luna, mi chiedo, come posso mai aver rifiutato di imparare a volare?

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