Notte di luna piena
Urla nel buio, soffocate dal rumore della pioggia battente. Ogni supplica era vana, il dolore indescrivibile, e fiotti di sangue si separavano dalla carne martoriata... Infine giunse la morte. Il bagliore di un fulmine illuminò per una frazione di secondo il corpo senza vita di una giovane donna appesa a un grosso gancio da macello; accanto, un uomo robusto che ammirava compiaciuto la propria opera. Mentre il fragore di un tuono echeggiava sopra quel cielo oscuro, l'individuo impugnò una scure e cominciò ad accanirsi sul corpo esanime, lacerandone ogni centimetro e finendo con l'amputare la gamba destra. Rideva come un pazzo ad ogni singolo colpo inferto.
. . .
Annie si svegliò di soprassalto, sudata e disorientata; quell'incubo era stato tanto terribile quanto realistico. Si mise a sedere sul bordo del letto e, sentendo una serie di tonfi, si accorse che un forte vento faceva sbattere l'anta socchiusa della finestra della camera, quindi andò a richiuderla.
Quand'è che ha iniziato a piovere così? Notò che era ancora notte fonda.
Tornò a coricarsi ripensando al volto terrorizzato di quella donna e, seppur con difficoltà, riuscì infine ad assopirsi. Fu una notte senza sogni, così come lo furono quelle successive e, col passare del tempo, il ricordo di quell'incubo svanì del tutto.
Approfittando di un giorno soleggiato di fine settimana, raggiunse un prato poco distante da casa, si sdraiò in mezzo all'erba e provò ad appisolarsi. In una fase iniziale di dormiveglia cominciarono a balenarle davanti delle figure poco distinte, immagini in movimento che divenivano più nitide a mano a mano che cadeva in un sonno profondo. L'incubo era tornato e questa volta lei si trovava davanti al capannone, faccia a faccia col cadavere di quella donna che la fissava con occhi vitrei privi di vita; ma la cosa più inquietante erano le labbra... Le sue labbra si stavano muovendo molto lentamente, formulando in labiale un'unica parola, in loop continuo.
«Annie... Annie...»
«No... non sono stata io a farti questo, lasciami in pace!» gridò la ragazza, o meglio, quella era la sua intenzione: dalla sua bocca non uscì altro che un debole sussurro. Si accorse perfino di essere paralizzata, di non riuscire a muoversi, e intanto il cadavere continuava a fissarla dritta negli occhi.
«Annie, svegliati!»
Si sentì strattonare, quindi riaprì gli occhi e sollevò il busto di scatto, dando una testata al malcapitato che le stava davanti. Sussultò. «Alex! Scusami tanto, non volevo. Ma cosa pensavi di fare? È pericoloso svegliare qualcuno in questo modo.»
Il ragazzo le si sedette accanto, ancora stordito dal colpo. «Cavolo, hai la testa dura» si lamentò massaggiandosi la fronte. «Ti stavi agitando nel sonno, poi hai cominciato a pronunciare parole senza senso, così ho pensato che stessi avendo un incubo e ho iniziato a scuoterti. Il resto lo conosci già.»
Rimasero a guardare in silenzio le nuvole attraversare il cielo limpido. Alex era uno dei pochi che poteva definirsi amico di Annie; si erano conosciuti in università ed erano compagni di corso.
«Allora,» disse sarcastico, «cos'hai sognato di così interessante?»
La ragazza gli diede uno spintone e sorrise, poi chiuse gli occhi e tentò di ricordare. «Non ne ho idea; è svanito totalmente dai miei ricordi» rispose. «Piuttosto, che ci fai qui? Dovresti essere a casa a metterti in pari con gli studi.»
«Senti chi parla! Lo so bene, ci stavo giusto andando. Sono solo passato ad assicurarmi che fossi pronta per il falò di questa sera; mi serve una conferma della tua presenza. Ravviveremo la serata con delle storie di fantasmi.»
«È questa sera?» Annie si rimise in piedi, mentre Alex la guardava con uno strano sorriso stampato in volto. «Mi era proprio passato di mente.»
«Ma non mi dire» rispose l'altro, ridendo.
Lei alzò gli occhi al cielo e sbuffò. «Grazie di avermi avvisata, ci sarò di sicuro.»
Per quanto si sforzasse, Annie non riusciva proprio a concentrarsi sullo studio; tentava piuttosto di ricordare ciò che aveva sognato, chiedendosi perché un semplice incubo l'avesse turbata così tanto, ma l'unica cosa che riaffiorava erano delle chiazze di sangue sparse ovunque. Il resto era solo ombra. Rassegnata, chiuse i libri e decise di concedersi un po' di riposo, così da essere al pieno delle forze in vista della serata che l'aspettava. Appena riuscì ad addormentarsi, si ritrovò di nuovo sotto la pioggia battente, davanti al cadavere di quella donna; il suo sangue ancora fresco gocciolava dalla gamba mutilata all'altezza del ginocchio.
Si svegliò di soprassalto. Terza volta! Aveva fatto lo stesso incubo per ben tre volte.
Terza...? Come faccio a dirlo, se non ne ho mai alcun ricordo?
Le ci volle un po' per accorgersi che il cellulare stava squillando, guardò l'orario e scoprì che mancava meno di un'ora all'appuntamento. Era Alex a chiamarla, si limitò a dirgli che lo avrebbe raggiunto in pochi minuti, così riattaccò e corse a darsi una sistemata.
Raggiunto il punto di incontro stabilito, lei, Alex e altri due compagni, Eric e Anthony, allestirono tutto il necessario per accendere un falò. Lo fecero ai margini del bosco, lontano dal resto della gente, e mentre le braci si trasformavano in fiamme, nella zona calava un lieve manto di nebbia.
«Molto bene, questo renderà tutto più tetro. Se qualcuno di voi ha paura, scappi ora o taccia per sempre!» esordì Anthony, entusiasta.
«Credo di aver visto qualcosa muoversi nel bosco, tra la nebbia» rispose Alex.
Annie, che dava le spalle alla boscaglia, si alzò di scatto e lo ammonì per lo spavento che le aveva fatto prendere. Constatò comunque che si trattava di un falso allarme, così tornò a sedersi.
«Avete tutti le torce elettriche? Ci toccherà percorrere un bel tratto di strada al buio per tornare a casa» disse la ragazza.
Fecero tutti cenno di assenso e si guardarono intorno: il posto cominciava ad affollarsi, ma nessuno osava spingersi lungo i margini. Scoccata la mezzanotte, i quattro tirarono a sorte per decidere chi avrebbe raccontato la propria storia per primo.
«Anthony, inizi tu» disse Alex.
«Perfetto!» esclamò il ragazzo.
E cominciò a raccontare. Dopo di lui fu la volta di Eric, poi di Annie e infine di Alex. Tutti raccontarono storie inventate da sé o leggende popolari e, sebbene quasi nessuna riuscisse a suscitare paura, si stavano divertendo. Andarono avanti per circa un'ora, interrompendo solo per alimentare le fiamme del falò; la nebbia continuava a rendere il posto più tetro.
«Bene, pausa finita. Si ricomincia» annunciò Alex. «A chi tocca?»
«Oh, state raccontando storie di fantasmi? Le ho sempre adorate.» Sobbalzarono appena si accorsero della presenza di una donna che se ne stava in piedi, a pochi passi da Annie, vicino al margine del bosco. Nessuno l'aveva sentita arrivare. «Posso unirmi a voi?»
La osservarono per alcuni istanti. Era alta e giovane, i capelli biondi che le arrivavano fin sotto le spalle, vestiva in una lunga camicia da notte bianca e, sebbene accennasse un sorriso, il suo sguardo era assente... vuoto.
Fu Annie a rompere quell'imbarazzante silenzio: «Ma certo, siediti pure accanto a me.»
Solo quando la donna aggirò il ceppo su cui sedeva Annie i quattro notarono quanto lenta-mente si muovesse: zoppicava da una gamba, quasi la trascinava. Non appena si sedette, la ragazza fece subito le presentazioni: «Il mio nome è Annie, questi invece sono Alex, Anthony ed Eric, miei amici» disse indicandoli a uno a uno.
«Mi chiamo Elise, lieta di conoscervi.» La donna sorrise e le strinse la mano.
La ragazza sussultò.
«Le tue mani sono gelide! Scaldale un po'.»
La donna annuì e fece come le era stato consigliato, quindi ricominciarono a raccontare storie. Per tutto il tempo Elise se ne stava in silenzio ad ascoltarli e, di tanto in tanto, ad abbozzare un sorriso. C'era qualcosa in lei che inquietava Annie. Forse aveva a che fare col fatto che non le toglieva gli occhi di dosso. La vide distogliere lo sguardo solo quando Anthony attirò la tua attenzione, chiedendole se volesse partecipare ai racconti.
Elise ci pensò un po', poi acconsentì. «Non ho molta fantasia, ma c'è un incubo che mi perseguita da diverse notti. Potrei usare quello, con qualche variazione.» Gli altri annuirono e lei cominciò a raccontare. «Non molto tempo fa, da qualche parte in questi boschi, c'era un florido villaggio in cui viveva una bellissima donna. Un giorno un uomo si invaghì di lei e cominciò a pedinarla e a molestarla, le chiese perfino di sposarlo. Naturalmente lei non accettò» disse Elise che, per qualche ragione, aveva cominciato a tremare. «Non potendosi opporre al rifiuto, quell'uomo decise che se non poteva averla lui allora non l'avrebbe avuta nessun altro. Così attese il crepuscolo, a pochi passi dal piccolo capanno davanti al quale la donna soleva passare durante le notti di insonnia...»
«... Poi è arrivata la pioggia» continuò Annie, lo sguardo perso nel vuoto, e tutti puntarono gli occhi su di lei. «Scusatemi... è stato istintivo. Credo di aver sognato qualcosa di simile, ma non me ne resta il ricordo. Continua pure, per favore.»
Elise le sorrise. «Arrivata la donna, lui la portò con forza dentro il capanno. Lei si dimenava, urlava... ma non c'era nessuno che potesse sentirla. Colto da una rabbia indescrivibile, la appese a un grosso gancio da macello e, non soddisfatto, la colpì più volte con una scure fino ad amputarle una gamba.» Fissò le fiamme del falò come in trance. «Nessuno ha mai trovato l'assassino. Ogni notte di luna piena lo spirito della donna vaga senza meta in questi boschi, ignara di essere morta... Almeno finché non si ritrova davanti al proprio cadavere. Guarda caso, questa notte c'è proprio la luna piena.» Indicò il cielo.
Alzarono tutti lo sguardo e, notando che la donna diceva il vero, furono scossi da un brivido.
«Che storia! Sarebbe bello incontrare questo spirito» esclamò Anthony.
«In effetti sarebbe bello vedertela fare addosso» lo stuzzicò Eric.
Anthony alzò le spalle. «Sarebbe un giusto prezzo da pagare per raggiungere la felicità.»
Solo quando la gente cominciò a ritirarsi si resero conto di quanto si era fatto tardi, così rimisero in ordine e spensero il falò, prima di ripartire.
«Potreste... potreste riaccompagnarmi a casa? È buio e non ho con me nulla che possa aiutarmi a illuminare il cammino» disse Elise tormentandosi le mani.
I quattro si scambiarono un rapido sguardo.
«Dove si trova casa tua?» le chiese Eric.
«Oltre il bosco, non molto lontano da qui.»
I ragazzi deglutirono, tirarono fuori le torce elettriche e le chiesero di far strada, così si inoltrarono nella boscaglia; per fortuna la nebbia si stava diradando. Adattarono il loro passo a quello zoppicante di lei, chiedendosi cosa le avesse causato quell'invalidità, pensiero che nessuno dei ragazzi formulò ad alta voce. Camminarono per almeno quindici minuti prima di raggiungere l'uscita del bosco silenzioso. Si ritrovarono davanti a un terreno aperto con numerose ombre di piccoli edifici in legno. Ma il buio consentiva loro di vedere solo fin dove arrivava la luce delle torce.
«Vivi in questo posto?» domandò Anthony e la donna annuì in silenzio. «Dovrebbero metterci dei lampioni.»
«Forse c'è un blackout» ipotizzò Annie.
Iniziò a piovere, così affrettarono il passo, per quanto fosse possibile.
«In che direzione dobbiamo andare?» Alex si guardò attorno con aria cupa, quel posto lo metteva in soggezione.
Elise puntò lentamente il dito davanti a sé e ricominciò a camminare. I ragazzi proseguirono in silenzio, guardandosi intorno: quel posto metteva i brividi.
«Sento solo io questa puzza di morto?» domandò Eric a bassa voce.
Annie, Alex e Anthony la sentivano quanto lui, ma il vento che si stava innalzando ne limitava il tanfo. Raggiunsero infine quello che doveva essere un piccolo capanno degli attrezzi, quindi ne illuminarono l'interno. Anthony e Alex si lasciarono cadere di mano le torce, quelle di Annie ed Eric invece rimasero salde tra le mani sudate e tremanti dei due: all'interno del capanno giaceva il cadavere di una donna sfigurata dagli occhi vitrei, appeso a un grosso gancio e con una gamba amputata. Tutto coincideva.
Nessuno osò proferire parola, Annie riuscì con fatica a spostare il suo sguardo dal cadavere a Elise, finché questa si voltò verso di lei e le sorrise, lo sguardo spento, indicando il corpo. «Ecco, è qui che mi hanno uccisa.»
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