Journey on the train

Furono forse le quattro di mattina, in cielo erano presenti ancora alcune stelle sparse per l'oscurità, nonostante dall'orizzonte stesse facendo capolino una leggera luce, che pian piano cercava di ritagliarsi uno spazio nella distesa scura, bramosa di illuminare il mondo per un altro giorno, quando Margot lasciò le briglie dei cavalli che si fermarono di botto, i fiati che correvano rapidi e si condesavano in delle piccole nuvolette di fumo. Louis sbatteva i palmi delle mani sul finestrino affinchè Margot lo facesse uscire, ma la ragazza lo voleva lasciare lì dentro; insomma, era ferito, debole e affaticato, come avrebbe potuto portare lui avanti il viaggio? Nonostante volesse farlo riposare, la stanchezza ebbe la meglio sopra di lei e scese dalla sua posizione, mentre da una borsa appesa al fianco della carrozza tirava fuori il cibo per i cavalli che erano stanchissimi. Intorno a loro c'era solo la campagna, a parte qualche casetta sparsa ai piedi delle colline che costeggiavano il paesaggio, per cui Margot li sciolse per permettere loro di muoversi un po'. Il viaggio era ancora lungo, e purtroppo lei non aveva idea di dove fossero. Sì, aveva seguito i cartelli sbiaditi sparsi dopo alcune miglia percorse, ma non aveva mai viaggiato prima, non conosceva le strade, i porti, le città, i paesaggi che superavano, quindi prima, mentre reggeva le redini della carrozza, si soffermava ad osservare il mondo, beandosi di viste mai osservate prima di allora. Venne destata dai suoi pensieri da Louis che incominciò a sfuriare contro il vetro della piccola finestrella, e Margot, sorridendo, glielo abbassò. «Sì?».
«Siete proprio maleducata!».
«Io? Ah beh, scusami se non ti sto facendo soffrire più di quanto tu stia soffrendo ora».
Louis abbassò lo sguardo, stringendosi il vestito sulle spalle. «Scusatemi, ma è il mio compito scortarvi fino al porto di Le Havre, nell'estremo Nord della Francia».
Margot lo ignorò, soffermando lo sguardo sulle casette poco più in là, indicandole con l'indice. «Dove siamo?».
«Se il paesaggio non mi inganna» disse Louis aguzzando la vista, guardando le colline di fronte a lui, «dovremmo essere a Lione»
Margot sollevò un sopraciglio, mentre si toglieva il cappello per riavvivare i capelli appiattiti e sporchi di terra. «E quanto ci manca?».
Louis gonfiò le guance, sbuffando dopo qualche secondo. «Circa quattro giorni, senza soste».
Margot guardò i cavalli che si erano addormentati, le loro criniere che venivano spostate per il vento che si era alzato. «Loro non ce la fanno».
«Dovremmo fermarci per un po’» Louis spinse fuori dal finestrino il braccio e tolse la sicura allo sportello, aprendolo finalmente dopo quasi dieci ore in cui era rimasto chiuso lì dentro. Quando uscì, aveva solo le mutande, per cui si portò il vestito sul davanti, per poi toglierlo subito dopo. «Ops».
«E se andassi in una di quelle case a chiedere della roba per te?».
«No, Altezza..» disse Louis mentre le sue guance si arrossavano leggermente, nonostante Margot non avesse visto niente, non perchè gliel'avessero insegnato, ma perchè le sembrava davvero imbarazzante. «Non posso accettare che lei faccia certe cose per me, semmai io dovrei procurarle certi abiti».
«Ma figurati!» Margot si tirò due lati della camicia. «Questo completo lo sento anche un po' mio adesso» disse, mentre si rimetteva i lembi nel pantalone. Poi si legò i capelli e li chiuse nel cappello, lasciandosi sfuggire qualche ciocca per nascondere i suoi lineamenti femminili. Quando si girò per dirigersi verso quello che le sembrava un negozio, Louis le sfiorò una spalla. Lei si volse guardandolo negli occhi chiari. «Sì?»
«Sono veramente amareggiato per ciò che sia accaduto».
«Louis» disse Margot, sorridendo con un angolo della bocca. «Non è stata colpa tua, ci mancherebbe pure! Anzi, meno male che ci è andata bene!».
«Grazie a lei» puntualizzò Louis sorridendo a sua volta. «Io non ho fatto niente».
«Non potevo lasciare che ti facessero del male» poi si girò, andando verso il negozio, ma Louis si schiarì di nuovo la voce. Margot si rigirò esasperata. «E adesso che c'è?».
«Principessa, sono le quattro di mattina. Crede davvero che qualche negozio sia aperto?».
Margot strinse le labbra: cavolo, non ci aveva pensato. Poi scrollò le spalle. «Ci provo lo stesso. Magari è presente qualche anima pia degna di aiutarci».
Poi non si girò più e andò verso il primo negozio che le capitò davanti. Il silenzio era opprimente e anche inquietante, Margot si sentiva seguita e osservata da qualcuno che effettivamente non era presente, ma appena arrivò al negozio incominciò a bussare agitata. Con sua grande sorpresa, una donna sulla sessantina le aprì la porta, con i fili della lana ancora in mano e i capelli raccolti in una crocchia alta, coperta da una retina.
«Mi scuso tremendamente per il disturbo e l'ora in cui io so-» ma venne interrotta dalla vecchietta che la fece entrare subito dentro, richiudendo la porta. «-no arrivata» terminò Margot mentre si guardava intorno. L'ambiente era spoglio, ma appesi alle pareti c'erano dei lunghi scaffali vuoti che ne costeggiavano tutto il perimetro.
«Dimmi cara. Hai bisogno di qualcosa? Posso prepararti una tazza di tè».
«Ehm, veramente non potrei soffermarmi perchè...sono in viaggio» terminò a disagio, con lo sguardo puntato sopra la vecchietta che si riesedette e riprese a lavorare la lana. «Scusi l'impertinenza, ma...cosa ci fa lei in piedi a quest'ora?».
La signora prese a ridere, facendo rieccheggiare la sua voce stridula per tutto quello che sarebbe dovuto essere un appartamento. «Da quando è morto mio marito, mi alzo sempre alle tre, perchè mi sembra di sentirlo tornare da lavoro. Ma ogni volta che apro gli occhi...beh, lui non c'è, e non tornerà più» disse con disinvolura. Margot annuì a disagio.
«Deve averlo amato parecchio».
«Non esattamente. Cioè, all'inizio no, ma poi il sentimento è riaffiorato nei nostri cuori spenti per le troppe guerre a cui abbiamo assistito. Non puoi capire, cara, quanto cose abbiamo passato nella nostra vita» appoggiò i ferri su un comodino accanto alla poltrona e si alzò in piedi. «Ma basta farmi parlare, altrimenti divento logorroica. Dimmi tu, fiore, di cosa hai bisogno?»
Margot sorrise al piccolo nome che la donna le aveva affibiato e si srotolò le maniche della camicia. «So che potrebbe sembrare maleducato..» iniziò, ma venne interrotta dalla donna.
«Niente è maleducato se detto da una bocca così delicata e gentile. Sai, di persone dolci come te non ce ne sono più in giro come una volta, la povertà ha reso tutti pazzi. Ma dimmi, qualsiasi cosa e vedrò cosa posso fare».
«Mi servirebbero dei vestiti da uomo».
«Posso dartene qualcuno di mio marito..».
«No no, non vorrei procurarle un dispiacere!».
«Ma dai! Sono solo vestiti che ora non odorano più di mio marito - pace all'anima sua - ma solo di muffa. E sinceramente, in questa casetta ce n'è fin troppa» andò in una stanza sul retro, trafficando con dei cassetti, per poi tornare subito dopo con un pantalone e una camicia, entrambi grigi. «Ecco qua..».
«Non ho le parole per ringraziarla» disse Margot mentre prendeva tra le braccia i vestiti che la donna le stava porgendo.
La signora però le bloccò le mani, «Un modo c'è. Fai scendere il tuo amico dalla carrozza lì fuori e accomodatevi, vi preparo la colazione».
«Signora, davvero, non è il caso..».
«Silenzio. Lascia gli abiti e vai a chiamare quel povero ragazzo che là fuori sta morendo di freddo».
Margot annuì convinta e fece cenno a Louis di avvicinarsi, il quale si coprì con l'abito chiaro della principessa, arrancando ad ogni passo con faccia sofferente. Quando fu dentro il minuscolo appartamento e vide i vestiti in mano alla signora, alzò lo sguardo al cielo e mimò ''grazie Signore'' prima di prenderli e dirigersi in una stanza indicata dalla signora.
Quando uscì, Margot constatò che i vestiti gli stessero veramente bene e il grigio gli donava parecchio, poi la signora li fece accomodare entrambi su una poltrona logora e ammuffita, mentre porgeva loro una tazza di tè caldo e dei biscotti in busta.
«Non meritiamo un simile servizio, signora..» iniziò Louis mentre assaporava un biscotto al cioccolato, mentre Margot beveva a piccoli sorsi, con il mignolo alzato.
«Chiamatemi nonna, siete così giovani che potreste essere miei nipoti».
Margot e Louis sorrisero entrambi, per poi restare in silenzio, imbarazzati. E ora che avrebbero fatto?
«Dove andate di bello?» domandò la vecchietta che li guardava con aria sognante.
«In Inghilterra, a Londra» rispose Margot subito, euforica al solo pronunciare quella frase.
«Come mai? Non vi trovate bene qui?».
Louis guardò Margot, e poi spostò lo sguardo sulla signora. «Non esattamente» sussurrò.
Poi la signora si alzò dalla sua poltrona e si avvicinò ai due ragazzi, siedendosi ai loro piedi e stringendo le loro mani. «Sai, fiore, che sei molto simile alla principessa di Monaco?».
«Glielo dicono tutti...» sussurrò Louis mentre si mangiava l'ennesimo biscotto al cioccolato. Si comportava come se fosse un bambino, e Margot si rese conto di non conoscere nulla di lui, se non il suo nome e il suo mestiere, e quella cosa l'amereggiò parecchio.
«No, ma davvero! E' impressionante...» disse la donna spostandole una ciocca scura dalla guancia. «Perchè ti sei travestita da maschio? Sei bellissima..».
Margot strinse le labbra tra i denti e lanciò uno sguardo a Louis che iniziò a muovere la testa a destra e a sinistra, mentre con le labbra mimava tanti 'no' consecutivi.
«Ecco..» iniziò, osservando la donna in attesa di risposte, la quale stringeva ancora le sue mani.
«Hai un comportamento così reale, educato...un linguaggio che invidierebbe chiunque».
Margot annuì e lanciò un altro sguardo a Louis che si mise a tossire.
«Signora, io.. io sono..» perchè non riusciva ad andare avanti? Perchè era così difficile dire la verità?
«Tu cosa, tesoro?».
Louis si alzò di scatto, per quanto le ferite gli permettevano, urtando il tavolino e facendo risuonare la teiera di ceramica bianca. «..in ritardo. Comunque lei è la signorina Eveline Bodreau, una delle figlie dell'uomo più nobile di Monaco».
«Santo cielo!» la donna scattò in piedi ed iniziò ad inchinarsi. «Scusatemi per non avervi riconosciuta, sono mortificata!».
«No, no!» Margot la bloccò e la strinse in un abbraccio. «Non deve. Grazie di cuore per tutto, spero di rivederla presto!».
«Certamente, signorina Bodreau, e la prossima volta mi faccio trovare in condizioni migliori» accompagnò i ragazzi alla porta, e Margot prese Louis sottobraccio per aiutarlo a muoversi lentamente, in quanto aveva la necessità di essere piegato in avanti per procedere. Prima però che si potessero allontanare, la donna li bloccò nuovamente. «Sono le quattro e mezza. Che dite di riposarvi un po' prima di riprendere il viaggio?».

Ovviamente i due ragazzi avevano accettato l’invito e si erano fiondati nuovamente nell’appartamento, mentre la donna li scortava fino alla sua stanza da letto. «Non ho altro posto in cui farvi riposare..» iniziò, ma Louis affannato e con la faccia sofferente le fece un cenno della mano.
«Si figuri, va benissimo» poi Margot lo aiutò a sdraiarsi sul letto e gli sollevò un lembo della camicia sotto suo consenso. La pelle era violacea e c’erano molti graffi più o meno profondi, ma ormai il sangue era seccato. La signora recuperò i suoi occhiali da vista dal comò accanto al letto e quando li indossò vide il mondo in HD, rendendosi conto finalmente di quanto Louis stesse male. «Santissimi numi, lui ha bisogno di essere curato» si avvicinò al torace scoperto e gli appoggiò una mano sopra le costole, al che Louis sussultò per il dolore. La donna contrasse le labbra e tornò nel salotto, sparendo per un po’.
«Sono un disastro».
«Sta’ zitto» disse Margot mentre l’anziana signora tornava con un busto stretto in mano.
«Si può sapere cosa ci fa lei con un busto?!» chiese Louis con gli occhi sgranati, mentre Margot sorrideva.
«Ero un medico, poi nessuno mi ha voluta più. Così mi ritrovo a casa alcune attrezzature che, come vedi, ritornano utili» appoggiò il busto sopra il materasso e tirò fuori dal cassetto delle foglie profumate e una retina. «Queste foglie sono il miglior medicinale naturale, devi tenerle addosso almeno fin quando non arrivate a Londra, lì ti farai visitare».
«Ma io non vado a Londra..» sussurrò Louis, con gli occhi socchiusi mentre la signora gli avvolgeva le foglie e la retina intorno al busto martoriato.
«Ma non avete detto così?».
«Io sono solo il suo accompagnatore» ammise il ragazzo, facendo un cenno in direzione della principessa.
«Oh» fu l’unica cosa che la donna disse, poi prese ad infilargli il busto da sopra la testa, non senza urla da parte di Louis che – steso – sentiva il dolore ancora più amplificato.
Quando gli allacciò i lacci dietro la schiena, gli sfilò la camicia e lo lasciò a petto nudo, mentre da fuori la finestra il sole stava iniziando a rischiarare il cielo.
«Ora dormite..» e la donna si dileguò, senza aggiungere altro, ma appena si richiuse la porta alle spalle, Louis fece per alzarsi.
«Ehi!» Margot lo inchiodò al materasso, «cosa credi di fare!?».
«Non possiamo dormire sullo stesso letto» disse lui semplicemente, guardando la ragazza fisso nei suoi occhi scuri e contornati da delle leggere occhiaie.
Margot socchiuse gli occhi e gli fece il verso. «‘Lasciamo perdere queste sciocchezze’, o sbaglio?» disse, facendo il giro e stendendosi accanto a lui sul quel materasso consumato e scomodo.
«Se lo scoprono, mi uccid-».
«Ma sta’ zitto».
Poi entrambi rimasero in silenzio, mentre lentamente chiudevano gli occhi e si lasciavano cullare dalle braccia di Morfeo.
Quando la signora bussò alla porta, non avevano idea di che ora fosse potuta essere, ma la luce che entrava dalla finestra era davvero forte.
«Ben svegli, cari» disse l’anziana sorreggendo un vassoio pieno di biscotti. «Vi siete ripresi?».
«Diciamo..» disse Louis con la voce impastata dal sonno, mentre Margot si toglieva i capelli che durante quelle ore le si erano sparpagliati sulla faccia, la luce che feriva i loro occhi appena aperti.
«Che ora è?» chiese, mettendosi seduta, mentre Louis si stiracchiava il collo, rimanendo con la testa appoggiata sul cuscino.
«Mezzogiorno, ho dato la colazione anche ai cavalli».
I due ragazzi sussultarono e Margot scese dal letto, allisciandosi le pieghe sui suoi vestiti. «Dobbiamo andare» disse solamente, mentre raccoglieva la camicia di Louis che era caduta a terra.
«Siamo in ritardissimo» disse Louis mentre a fatica cercava di alzarsi sui gomiti, con scarso successo.
«Ma cosa credete di fare?» disse la donna, immobilizzandosi. «Non crederete mica di partire con la carrozza!».
Margot la guardò con la bocca spalancata, «Non abbiamo un mezzo diverso..».
La donna tornò nell’altra stanza e prese due biglietti che teneva nascosti sotto un cofanetto sul mobile accanto all’ingresso.  «Ecco a voi».
Louis ne afferrò uno e lo studiò, con sguardo spaesato. «Cosa sarebbe?».
«Mai visti i biglietti di un treno?».
La principessa ed il cocchiere sobbalzarono a quella frase, guardandosi negli occhi. «Cosa?».
«La partenza è tra mezz’ora, e non è necessario che voi sappiate perché io abbia due biglietti di sola andata per Le Havre…».
La situazione stava prendendo un piega troppo strana e i due ragazzi fissarono la donna, la quale iniziò a battere le mani velocemente di fronte al suo viso. «Allora? Vi preparate o no?».

Un quarto d’ora dopo, furono fuori dalla stazione, Louis seduto su una sedia a rotelle pieghevole offerta dalla donna e aspettavano entrambi vicino ai binari. C’erano solo loro due, e Margot si infilò di nuovo il cappello in testa, mentre vedeva la signora mantenere le briglie dei cavalli reali. «Non preoccupatevi per loro» iniziò la signora mentre li accarezzava entrambi e un fischio si avvicinava lungo i binari arrugginiti. «Saranno in buone mani, come anche la carrozza».
Il treno arrivò pochi minuti dopo, stridendo sul ferro e fischiando in maniera prolungata, e all’improvviso apparve tanta gente che si affrettò per prendere posto sul mezzo appena fermato, con il controllore che spillava i biglietti acquistati. Louis e Margot non avevano mai visto un treno prima di allora, in quanto erano stati creati solo 15 anni prima, e ce n’era uno per ogni Stato europeo. Era lungo, grigio con la locomotiva che fumava e degli uomini che facevano grossi carichi di legna per alimentare il fuoco e per partire e acquisire velocità. La donna diede una spintarella ad entrambi, mentre la gente iniziava a sfuriare intorno a loro. Margot le sorrise e la abbracciò calorosamente, «La ringrazio davvero per tutto quello che ci ha dato, per averci aiutati sebbene non sappia nulla di noi».
«Non bisogna conoscere per comportarsi bene» disse la donna semplicemente, mentre con una mano le dava dei leggeri colpi sulla schiena. «Buonafortuna per tutto».
«Che possa passare un bella vita» disse Margot, ed inconsapevolmente si ritrovò a fare una riverenza, sotto uno sguardo attento da parte della donna. Dopodichè spinse la carrozzella e si avviò con Louis verso il controllore, il quale spillò i loro biglietti e li aiutò a caricarsi sul vagone, senza alcun impegno di bagagli, anche perché non ne avevano nemmeno.
Una volta ai loro posti, Louis ripiegò la testa indietro, mentre Margot si affacciava al finestrino, appoggiando una mano sul vetro caldo, sorridendo alla donna che iniziò ad indietreggiare con i cavalli stretti in mano, mentre il controllore gridava ‘in carozza’ ripetutamente per esortare la gente che si soffermava a salutarsi.
Quando il treno iniziò ad allontanarsi, lasciandosi la stazione alle spalle, Margot rimase con la faccia attaccata al vetro, il paesaggio che le scorreva velocissimo sotto agli occhi e il fumo che avvolgeva il mezzo di trasporto. Le colline passavano in fretta lungo l’orizzonte, lasciando lo spazio a delle vaste pianure in cui si riuscivano a scorgere solo le ombre di quelli che sarebbero dovuti essere dei piccoli villaggi. Il sole era alto nel cielo, e feriva gli occhi scuri di Margot, mentre un uomo anziano seduto sul sedile di fronte a lei e con il giornale sollevato sorrideva con un angolo della bocca. Teneva davanti una foto della principessa ad una conferenza con i sovrani, e spostava lo sguardo dall’immagine alla ragazza che le stava di fronte, socchiudendo gli occhi. Dopo un po’, Margot si rese conto dell’insistenza del suo sguardo e abbassò la testa, guardandosi le mani, mentre Louis riposava accanto a lei. Il vagone era in silenzio, si sentivano solo i fischi della locomotiva e il rumore delle rotaie sui binari, poi ad un certo punto il vecchio si schiarì la gola e attirò l’attenzione della ragazza.
Margot, nonostante i ciuffi che le ricadevano sugli occhi, spostò lo sguardo sul signore che ora le sorrideva, indicando con l’indice la foto della reale ritratta in copertina. Margot sgranò gli occhi e ingoiò a vuoto, non distogliendo lo sguardo dalla foto che la ritreva in conferenza con i genitori.
«Ich habe verstanden, dass du bist» disse l’uomo in un sussurro per non farsi sentire, ma comunque la principessa, grazie alle sue, seppur minime, conoscenze in lingua, capì fosse tedesco e individuò in quella frase un ‘capito’ e un ‘tu’. Quell’uomo sapeva, ma mentre Margot cercava di mantenere un certo autocontrollo, l’uomo si abbassò il cappello sulla fronte e portò un indice alle labbra, sibilando un ‘shh’ che Margot fu lieta di comprendere. Almeno non avrebbe parlato, ma perché non aveva intenzione di dire niente? La principessa annuì riconoscente e lo ringraziò unendo due mani di fronte alla faccia, ringraziando il cielo per quella minima fortuna, dopodichè il vecchio le sorrise e riprese a leggere il giornale, tranquillo.

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