Note Intrecciate

« And burn just right
Oh and I don't ever think I can
Ever learn how to love you right 
»

[Tribulation - Matt Maeson]


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La musica scalpitava forte nella testa. Si infiltrava sotto la porta chiusa dell'ufficio buio e traspariva oltre il sottile vetro crepato che dava sulla strada, insinuandoglisi a forza nelle orecchie. Una serie di galoppanti melodie tra loro discordi, che stavano seriamente minando la sua concentrazione. E a lui non piaceva perdere la concentrazione.

Kaz Brekker era chino sulle carte che ingombravano la scrivania del proprio ufficio, il bastone dalla testa di corvo appoggiato al bordo del tavolo e le lunghe dita bianche premute sulle tempie, come se stringersi il cervello nella morsa più brutale possibile potesse servire a rendergli il lavoro serale più fattibile. Attorno a lui, come in una gabbia di caos, la città veniva agitata dalla festività annuale per la fine della Piaga, e centinaia di voci sovrapposte invadevano le vie di Ketterdam.

Era in quei rari momenti di esasperazione pulsante che una parte di lui rimpiangeva che la Piaga di un paio di anni prima non fosse reale e non avesse sterminato veramente le sagome pullulanti e chiassose che adesso lo tormentavano, a dispetto della precauzione di porte e finestre chiuse. Se la popolazione fosse stata decimata davvero, lui non avrebbe accusato tutto quel mal di testa. Era già il secondo anno che la città festeggiava la miracolosa ripresa dalla malattia mortale con fuochi d'artificio a incendiare il cielo e balli scatenati a scuotere le piazze, mentre nei locali l'alcool scorreva a fiumi.

C'era ancora paura per il possibile ritorno della morte strisciante, ma, poco più di un anno prima, quegli idioti del Consiglio dei Mercanti – o quello che ne era rimasto dopo che Kaz si era assicurato di rendere la loro vita un inferno – avevano decretato il via libera per l'abolizione delle quarantene e l'ufficiosa fine della Piaga, inaugurando questa cretinata della festa nazionale per ingraziarsi il popolo stremato.

L'anno prima Manisporche era riuscito a risparmiarsi il delirio, lontano da Ketterdam, a veleggiare sullo Spettro all'inseguimento di trafficanti umani sulla costa nord di Novyi Zem. Ma quest'anno, nel cuore dei suoi diciannove anni di esistenza, Kaz Brekker si ritrovava a maledirsi per aver sopravvalutato la propria capacità di poter trovare una quiete interiore anche con la festa che imperversava dentro e fuori le mura del Club dei Corvi, circondandolo come un animale braccato. La realtà dei fatti era che i caratteri sui documenti sotto al suo naso si stavano mescolando in una nube scura indecifrabile, e i suoi pensieri erano altrettanto annebbiati. Diede la colpa alla fiamma tremolante della candela quasi completamente consumata e alla sempre più scarsa illuminazione, ma sapeva perfettamente che, in un'altra situazione – e con un numero ragionevole di ore di sonno sulle spalle – sarebbe stato abilissimo di leggere anche nelle tenebre, la vista acuminata da predatore.

Mentre una Q si distorceva in una C, Kaz sentì un impulso di solidarietà per Wylan.

Inutile, pensò irritato mentre allontanava con uno sbuffo il mazzo di copie di contratti illeciti rubati qualche giorno prima da una cassaforte in un ufficio della Stadhall.

Mentre raddrizzava il collo irrigidito dalla posa scomoda delle precedenti ore, la porta del suo ufficio si socchiuse lentamente. Una falce di burrosa luce da locale in festa si allungò nel semibuio, distendendosi lungo il pavimento impolverato e arrampicandosi sulla sedia di Kaz. Il raggio dorato gli divise in due il volto imbronciato, scintillando in modo sinistro nei suoi occhi cerchiati. La momentanea visione di un gruppo di Scarti ubriachi venne però oscurata da una figura sottile stanziata contro la luce.

Senza poterlo impedire, Kaz sentì i propri tratti alleggerirsi in un sorriso sollevato.

Inej era tornata.

Era una visione rara vederla entrare nell'ufficio tramite la porta principale. In una sera normale, sarebbe penetrata dentro dalla finestra, scavalcando agile il davanzale, accompagnata da fruscii invisibili che Kaz avrebbe colto con un ghigno celato nell'oscurità.

Di solito lei rimaneva nell'angolo, un'ombra confusa tra ombre, mentre l'intimità del loro silenzio veniva increspata soltanto dal raschiare lieve della punta della penna impregnata d'inchiostro, che Kaz faceva scorrere sulla carta ruvida. I loro respiri si sincronizzavano senza sforzo, anche nella distanza, come se il solo esistere nello stesso minuscolo ecosistema intrecciasse i loro cuori sulla stessa frequenza.

Non c'era bisogno di parole: avevano passato troppo tempo a leggersi nel pensiero a vicenda per avere necessità che la voce spezzasse l'incanto di quegli istanti. Rimanevano taciti entrambi, a nutrirsi della reciproca presenza nella penombra per interi minuti, con la notte che si infittiva attorno a loro. Almeno fin quando Inej, in passi cadenzati, spinta da un segnale fantasma, si avvicinava alla sedia di Kaz e con cautela gli faceva scivolare le dita attente nel reticolo di capelli scuri. Carezze delicate che lui accettava con un sospiro, senza smettere di scrivere.

Non l'avrebbe mai ammesso, ma era in favore di quei momenti che aveva permesso ai propri capelli di crescere più del solito, senza accorciarli con la rigidezza del passato. Guardandosi allo specchio, ora, coglieva con stupore il modo in cui le ciocche sempre più lunghe si arricciassero sulle punte, svelando boccoli ribelli che ricordava coprire in ciuffi irregolari il viso di Jordie. Era con ancora più meraviglia che si accorgeva di quanto quella somiglianza non gli facesse male e che, anzi... iniziava a piacersi davvero. Iniziava a cambiare davvero. Adesso, ogni notte, Inej con quelle onde nere ci giocava con grazia, attorcigliandosele sui polpastrelli e massaggiandogli le tempie stanche.

Era quando il suo palmo fresco scivolava sulla sua guancia che Kaz cessava di lavorare e, abbassando le palpebre, abbandonava il peso della testa contro la mano di lei.

Questo nel migliore degli scenari.

Ma quella non era una notte normale, e la finestra dell'ufficio di Kaz era stata chiusa da quest'ultimo a doppia mandata, nel tentativo quasi disperato di scacciare il baccano esterno. Inej avrebbe potuto scassinarla senza problemi, ma lui le fu grato di avergli risparmiato il frastuono dei botti.

La ragazza si richiuse gentilmente la porta alla spalle e Kaz mise a fuoco il suo sorriso.

Doveva essere appena tornata da Quarto Porto, dove Kaz l'aveva mandata a indagare in seguito ad una soffiata secondo cui sarebbero stati compiuti traffici loschi grazie alla confusione delle feste. Non aveva ferite evidenti, quindi il giovane dedusse che lo Spettro avesse passato una serata tranquilla.

– Immagino Ketterdam sia una delizia stanotte se sei tornata così presto – ruppe lui, lasciandosi ricadere indietro sullo schienale della sedia.

Inej scrollò le spalle.

– La stadwatch stava già pattugliando la zona e ha fatto sparire le tracce di quei criminali mentre arrivavo io – rispose con un sorriso obliquo, rivolgendogli un'occhiata d'intesa – Erano dei polli qualunque, disorganizzati e neanche lontanamente pericolosi come aveva detto Rotty.

Kaz grugnì.

– Qualunque tipo di pollo siano, non mi piace quando la stadwatch si intromette nel mio lavoro.

– Il tuo lavoro è intrometterti nel loro, Kaz – ridacchiò Inej, inclinando la testa di lato con fare divertito.

– Per questo è così fastidioso – ribatté lui.

Lanciò uno sguardo alla candela, la debole fiamma quasi totalmente annegata nella cera bianca.

– È stata una notte terribile – aggiunse, la stanchezza che gli intorpidiva la voce. Afferrò un documento che stava falsificando e su cui era colato troppo inchiostro nei punti sbagliati e lo accartocciò con frustrazione tra le dita affusolate – Questa idiozia della Festa della Fortuna mi farà perdere la testa entro mattina – strinse il foglio nel pugno mentre appoggiava la fronte sull'altra mano. I capelli corvini gli colarono sulle nocche come una cascata di tenebre.

Percepì Inej avvicinarsi e avvolgersi con garbo una sua ciocca attorno al dito.

– Non dirmi che hai un trauma anche con le feste – bisbigliò con ironia – Anche se confesso che non mi sorprenderebbe.

Kaz sospirò.

– Ho il sospetto di avere un trauma riguardo a tantissime cose – esalò piano – Ma qui si parla di frivolezza inconsistente in nome di qualcosa che non è mai esistito. Che inutile spreco di risorse – commentò con disprezzo graffiante.

– Loro non lo sanno che la Piaga non è mai esistita – replicò Inej, il tono quieto che fu come un balsamo sull'animo esausto di Manisporche – Sono persone terrorizzate che hanno bisogno di svago. E com'è vero che mi sono infiltrata nella Corte di Ghiaccio, tu troverai un modo per trarre vantaggi anche da questo – fece fare un altro giro al ciuffo attorno all'indice – Pensa solo a come domani la città sarà silenziosa e quante informazioni la folla si sarà lasciata alle spalle.

– Lo vorrei adesso, un po' di silenzio – mormorò lui – Il divertimento non dovrebbe essere tanto rumoroso.

– È solo musica – constatò Inej con semplicità – Alle persone piace ballarci sopra, Kaz.

E fu allora che un lampo di rigidità gli corse sulle spalle, rapido come l'accenno involontario di un sussulto, tanto piccolo che per un momento Kaz sperò che lei non l'avesse notato.

Ma Inej era proprio accanto a lui, ad accarezzargli la testa, e conosceva il significato di ogni suo minimo fremito. Ladra di segreti capace di decifrare con incredibile abilità il codice che spesso lui stesso faticava a sbrogliare pensando alle proprie serrature.

Il movimento delle dita della ragazza nella sua chioma si cristallizzò, e Kaz capì con orrore che lei, ancora una volta, era penetrata in una fortezza inespugnabile.

– Kaz...

Lui si irrigidì, questa volta visibilmente. Il suo sguardo, nascosto dietro alla mano che gli sosteneva il capo, si soffermò solo per un secondo sulla testa lucida del corvo sul suo bastone, su cui dardeggiavano i riflessi ambrati della candela morente.

– Kaz, tu... non balli – era un'affermazione ridicola, detta in quel modo, ma la tristezza nella voce di lei rese quelle parole più simili ad una preghiera sussurrata sui fumi di un campo di battaglia. Come l'improvvisa rivelazione di un lutto.

Il ragazzo si lasciò scorrere nervosamente le dita sulla faccia e raddrizzò le spalle. Non guardò Inej, ma sentì la sua mano sgusciare lontano dai suoi capelli.

– Che scoperta incredibile, Spettro – l'amarezza di quella frase Kaz se la sentì sulla lingua, come il gusto residuo di un liquore scadente.

Erano due anni che Kaz aveva promesso a se stesso di non nasconderle più niente. Aveva combattuto contro il ghiaccio che gli riempiva l'anima, aveva deciso di permettere al tepore di emozioni umane di scioglierlo dall'interno, di dimostrare a Inej che poteva essere un mostro nel modo giusto, al suo fianco. Aveva scoperto la magia delle fragilità, ammirato come il capirle e affrontarle lo rendesse più forte. Rabbia, sempre, ma ora con uno scopo più nobile della vendetta sterile.

Eppure quella debolezza era troppo irrisoria per essere espressa ad alta voce. Anche con se stesso. Anche con Inej.

Una cretinata.

Kaz Brekker, Manisporche, il Bastardo del Barile, capo degli Scarti e di cui l'intera Kerch conosceva la spietata reputazione... che non può ballare e se ne vergogna.

Umiliante. Ridicolo.

Soprattutto perché, solo due anni prima, pensieri del genere gli sarebbero apparsi come i frutti di qualche delirio. Due anni prima avrebbe ringraziato la sua gamba malandata per l'esonero da una pratica tanto frivola come la danza. Due anni prima la musica era soltanto un fastidioso rumore di fondo senza sostanza, non il monito crudele di qualcosa che lui non avrebbe mai potuto raggiungere.

Era stata una sera di circa un anno prima a imprimere quella crepa nella sua mente in rapida evoluzione.

Succedeva, una volta ogni tre mesi, più o meno, durante i periodi meno ingombrati da frodi da tracciare (o svolgere) e schiavisti da punire, di trascorrere la cena a casa di Wylan. Pasti caldi con salse raffinate, il tetto che non cade a pezzi, mobili pregiati e lisci, non bucherellati dagli spari... Era un universo distante da tutto quello che Kaz aveva sempre conosciuto, ma doveva ammettere che rivedere Jesper e Wylan, osservarli bisticciare per argomenti insensati mentre Inej rideva dietro un calice di vino, era straordinariamente piacevole, come una pioggia di scintille su un cuore arido.

Quella sera, però, dopo un budino di riso talmente carico di zucchero che Kaz aveva pensato di poter nascondere e rivendere per un centinaio di kruge giù al Barile, Wylan si era seduto dietro al pianoforte. Note tiepide, pregne di allegria contagiosa avevano iniziato a saltellare sulle pareti candide del soggiorno. Jesper aveva fischiato, afferrando con entusiasmo la mano di Inej, che solo un istante prima era seduta sul bracciolo della poltrona accanto a Kaz... e i due avevano iniziato a ballare.

L'eleganza di lui unita alla grazia di lei. Giravolte e risate, mentre i due amici muovevano i piedi, le mani intrecciate al ritmo sempre più incalzante affiorato dalle dita di Wylan.

Ma Kaz non muoveva nemmeno la testa a tempo. Li osservava impassibile, avvertendo come in un incubo la temperatura della stanza che sembrava calare di botto, e un disagio appiccicoso gli ricopriva la pelle.

Quando Inej era tornata a sedersi vicino a lui, le guance arrossate e gli occhi brillanti, Kaz non aveva espresso nulla, limitandosi a inghiottire il freddo che si sentiva addosso e a restare immobile. Nessuno ci aveva fatto caso. Anzi, se lui avesse dimostrato una qualsivoglia curiosità riguardo al loro divertimento, probabilmente gli altri si sarebbero affrettati a misurargli la febbre. Ma era stato da quella sera che Kaz non era più riuscito a togliersi dalla mente l'immagine di Inej che rideva, roteando con armonia mentre Jesper la sorreggeva prontamente.

E la fitta della sua gamba, per la prima volta da tanto tempo, aveva assunto il colore di una maledizione.

– Allora è questo – la voce piatta di Inej gli provocò un respiro un po' più profondo degli altri – Tu vorresti... – e le parole sembrarono morirle in gola.

La musica parve intensificarsi, proprio oltre la porta dell'ufficio. Qualcuno stava suonando una chitarra scordata, una voce femminile cantava in un kaelish acerbo.

Kaz non rispose. Guardava la parete scrostata davanti a sé, senza osare voltarsi verso di lei.

L'aveva già smascherato, in un tempo da record, e lui ora non intendeva farle vedere il dolore che avvertiva distorcergli il volto, la vergogna che gli irrigidiva le labbra.

Poi, però, dopo un lunghissimo attimo, la ragazza allungò una mano aperta verso di lui, il palmo in alto. Kaz lo vide con la coda dell'occhio. Nella sua, di mano, pressò con ancora più forza il foglio di carta appallottolato.

– Kaz – lo chiamò, e il ragazzo si accorse che la sua voce era tornata gentile, delicata come seta, come quando pregava – Balla con me.

Un brivido lo attraversò con la violenza di un fulmine. Serrò la mascella, senza rispondere, ma lei non desistette.

– Kaz, balla con me – ripeté Inej – Non è una richiesta.

Lui strinse la bocca in una linea ancora più sottile, ma alla fine girò il collo verso di lei. Non sorrideva, ma nei suoi occhi scurissimi Kaz scorse le stesse scintille di quella sera a villa Van Eck. Ed erano per lui.

Con attenzione, avvicinò le dita nude alle sue e le strinse. Un famigliare fremito di orrore lo trafisse, ma durò solo una frazione di secondo. La pelle di Inej era morbida come sempre.

Piano, come se stessero camminando su un filo, Inej lo tirò in piedi. La pallina di carta rotolò a terra.

Kaz incespicò, la mano libera a cercare la saldezza del bastone, ma Inej la prese con la propria prima che lui potesse allungare il polso verso il corvo. Kaz le lanciò un'occhiata brusca, ma in risposta le labbra dello Spettro si schiusero in un sorriso.

Erano vicini come un fiato. Kaz poteva sentire i loro cuori battere allo stesso ritmo. Il ritmo di una ballata di Kerch che traspariva da sotto la porta, note rozze, dello stesso sapore di casa.

La gamba faceva male. Un male terribile. Ma Kaz, deglutendo a vuoto, si impose di ignorarlo. E Inej, con prudenza, si inclinò appena da una parte, dandogli il tempo di recuperare l'equilibrio e seguirla.

La propria goffezza gli imporporò le guance. Si odiò, ma Inej non batté ciglio, oscillando attenta dalla parte opposta.

Non c'era eleganza, o grazia, in quei movimenti. Erano incerti, strascicati, imperfetti. Kaz perdeva la stabilità e Inej lo sosteneva senza contestare, permettendogli di appoggiarsi a lei, accogliendo la sua debolezza e cullandola con pazienza.

Mano a mano, il dondolio aumentò in velocità. Kaz aveva i tratti del proprio volto compressi in una concentrazione quasi dolorosa, ma aveva le guance in fiamme e i suoi occhi luccicavano. Dentro di lui si agitavano emozioni a cui non riusciva a dar un nome, potenti come cascate, vibranti come la marea che cattura le navi in secco e le trasporta verso l'orizzonte.

Era più alto di Inej, ma in qualche modo era lei a guidarlo, sicura, concedendogli gli errori, anticipando le sue insicurezze.

La gamba faceva male.

Ma non importava più.

Le loro dita si intrecciarono ancora più fittamente.

Kaz, con meraviglia crescente, si sentì sorridere.

E ballarono.

Non seppe quanto durò. Per quanto lo riguardava, sarebbe rimasto aggrappato a lei per un'altra eternità, gli imperi sarebbero crollati e risorti, guerre vinte ed eserciti sconfitti... e a lui non sarebbe importato. C'era solo quel frammento di Ketterdam. La penombra, il respiro caldo di Inej, il perdersi nei cieli senza stelle dei rispettivi occhi nerissimi.

E quando una fitta prepotente alla gamba gli fece sfuggire un sibilo e scivolò su di lei, abbracciandola nel buio, Kaz capì che i loro cuori si stavano toccando.

Lei ricambiò la stretta. Prima che Kaz potesse prevederlo, le loro labbra si sfiorarono.

E la candela si spense.


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Cover credits: @ / gigidrxws su Instagram

Note dell'autrice:

Grazie infinite a chiunque sia qui qwq
Questa è la prima shot scritta seriamente su Sei di Corvi, dopo un lunghissimo periodo di assenza su Wattpad e di rifiuto delle vesti di autrice. Il Grishaverse mi ha salvato da un periodo stranissimo della mia vita, e non ringrazierò mai Leigh Bardugo abbastanza per avermi tratto fuori da quella nebbia <3

Ho voluto rappresentare  qui un Kaz più umano, rispetto a quello descritto nei libri. Voglio credere che il tempo abbia lenito i suoi gorghi interiori. Meno rigido, meno terrorizzato di abbassare la maschera. Un pochino più simile a quello che mi piacerebbe lui possa diventare, con Inej al suo fianco.

Voti e commenti sono accolti con amore <3

Nessun rimpianto. Nessun Funerale,

Coss

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