Capitolo 55 (prima parte)

«Non pensavo che avessi la patente C» dico, seduta accanto a Mike in un furgoncino. Per fare un viaggio solo con tutti i miei averi, pianoforte incluso, ha deciso di affittarne uno solo per poche ore: il tempo di caricarlo, arrivare da mio padre, scaricarlo e poi riportarlo all'autonoleggio.

«Non ci ho messo niente a prenderla, ho solo dovuto fare qualche guida in più.»

Mike è stranamente in vena di chiacchierare, così mi racconta come è andata la trasferta di ritorno da Pistoia – dove hanno giocato ieri – del cibo che hanno mangiato e di come Léo abbia finalmente disputato un'ottima partita. Crede in parte abbiano aiutato i tre falli di Marco in pochissimi minuti, che gli hanno permesso di restare più a lungo sul parquet e di continuare a giocare senza preoccuparsi di piccoli errori.

«Dopo devo anche passare all'aeroporto» mi dice, per la terza volta. So già che deve andare a prendere la madre e mi ha già avvertita che lei è molto curiosa di conoscermi.

«Sarà felice di vederti» commento, cercando di essere positiva. In realtà sto cercando in ogni modo di cacciare via la mia paura nell'incontrare la nuova famiglia di mio padre.

«Lo è di più di vedere Liam» sorride Mike. Scocca un'occhiata al GPS del telefono, perché non conosceva la via in cui dobbiamo arrivare. Ha solo notato che è nello stesso quartiere dove vivono Liam e Audrey, nella zona ovest di Villafiore.

Mio padre è andato a vivere all'altro capo della città rispetto a dov'è mia madre.

Arriviamo a destinazione e parcheggia di fronte al portone. Un portone normale, come sono quelli dei palazzi di inizio Novecento, con una vetrata a sormontare l'entrata e una bella luce schiaffata proprio al centro, come se fosse un rosone di una chiesa e dovesse illuminare chissà quale funzione religiosa.

Deglutisco, perché non so se mi sento pronta. Il cuore batte forsennato nel petto, ho paura di conoscere la vita che mi aspetterà una volta che sarò arrivata nell'appartamento di mio padre.

«Stai bene?» Mike mi sta guardando e la sua voce baritonale riesce a toccare le corde giuste del mio animo, quelle che sanno risuonare in armonia per riportarmi alla pace.

«E se dovessi trovarmi male? Se scoprissi che sua moglie e suo figlio mi odiano e sono odiosi?»

«Non avevi parlato con lei?» mi chiede, pacato.

«Sì, ci ho parlato... ma se fosse stata solo una gentilezza di facciata?»

Sorride, cercando di tranquillizzarmi con un solo sorriso. «Se stai qui a pensarci, non puoi saperlo. Dai, andiamo. Per scaricare il pianoforte mi servirà anche il suo aiuto.»

Prende il telefono dal bocchettone dell'aria condizionata, a cui l'ha attaccato con il solito aggeggio che usa anche nella sua auto e scrive un messaggio – immagino a mio padre. Ha capito quanto sono tesa e vuole pensarci lui, gliene sono grata.

«Arrivano» dice infatti, confermando la mia ipotesi.

«Lui e chi?»

«Il tuo fratellastro. Come si chiama... Tiziano?»

Annuisco, devo ricordarmi anch'io che ha un nome.

Sistemo la sciarpa attorno al collo e scendo sul marciapiede. Scocco un'occhiata nervosa al portone, non riesco ancora a pensare di dover entrare lì dentro. Mi avvicino al retro del furgone insieme a Mike, che lo apre e mi passa uno a uno i trolley che mi hanno prestato Elena e Sasha, oltre al mio zaino e a quello di Daniele.

«Il pianoforte lo prendiamo dopo?» mi chiede.

«Vuoi lasciarlo così in mezzo alla strada?» mi agito, perché più di tutto ho paura che capiti qualcosa al mio tesoro più grande.

«Attenta a queste, in mezzo alla strada.» Papà è arrivato e sorride, accennando alle valigie.

Deglutisco e tengo per me che i "tesori" più piccoli sono custoditi nello zaino che ho già issato sulle mie spalle, perché al suo fianco c'è il mio fratellastro. Ha la guancia piena di brufoli, due occhi scuri come i miei, dal taglio simile, mentre i capelli neri sono tagliati corti poco sopra l'orecchio, in maniera disordinata, come se ogni ciocca non avesse deciso che direzione prendere e ognuna se ne andasse per conto proprio. Indossa soltanto una felpa, mentre io sono avvolta dal cappotto.

«Voi due pensate a quelli» ci dice papà, indicando i trolley e il secondo zaino.

Ci carichiamo ed entriamo nel portone, senza rivolgerci la parola. L'interno è illuminato a giorno, un ascensore si trova a pochi passi, dopo aver superato tre gradini. Lascio una delle valigie a terra e porto l'altra su, mi volto per recuperare l'altra che avevo preso, ma... Tiziano è stato più svelto di me e l'ha già portata davanti all'ascensore.

«Che ci hai messo dentro? Pesano un quintale» accenna una risata. Non sembra avercela con me.

«Vestiti, soprattutto. Poi qualche libro di scuola o libro normale.»

«Che leggi?» mi chiede.

«Romance» rispondo asciutta. Spero di aver nascosto il rossore, dentro il portone fa più caldo che fuori e io sono imbacuccata. Non posso dirgli che leggo i libri porno di Sara Livieri, alias Little Baby.

«Non sembra interessante.» Stringe le spalle e, appena l'ascensore arriva, apre la porta e mi aiuta a portare dentro tutte le valigie per un solo viaggio.

«Me li ha consigliati un'amica.»

«Non ho libri romantici, ma se vuoi puoi leggere i miei. Ho soprattutto fantasy e fantascienza, però.»

Mi sta tendendo la mano, vuole essere mio amico?

«Se ho tempo, sì. Questo periodo è molto incasinato per me.»

Si gratta il braccio da sopra la felpa. «Per la storia con Mike?»

«Non solo. Sto lavorando, devo comporre e devo incastrare anche il vedermi con lui.»

«Anch'io con Alice... è un bel casino. Almeno non vai a scuola.»

L'ascensore si ferma, così portiamo fuori i miei bagagli.

«Alice?» gli chiedo. Ormai siamo in confidenza.

«Sì» sussurra. «I miei non lo sanno, quindi devo vederla di nascosto.»

È arrossito. Sembra un ragazzo a posto, e io che mi facevo mille problemi...

«Non glielo dirò.»

Infila la chiave nella toppa. «Ricambierei il favore, ma sanno tutti di te e Mike.»

Appena apre la porta vengo investita dal profumo di una torta nel forno. E anche da una donna che appena mi vede pretende di stritolarmi.

«Lavinia, che bello conoscerti!» La nuova moglie di mio padre mi libera, per stringermi il viso con entrambe le mani. Ha degli occhi chiari, che sprizzano gioia da tutti i pori, aiutata anche dal color rosso acceso dei capelli e dalla maglietta con Minnie disegnata sopra. «Come stai?»

«Scombussolata» rispondo, con tutta la mia sincerità.

«Mamma, lasciala respirare, dobbiamo portare ancora la roba in camera. E stanno salendo con il pianoforte, devi aprire bene tutta la porta» le dice Tiziano. Mi fa cenno di seguirlo, così non posso guardami intorno – noto solo che tutto l'ambiente è illuminato dalla luce del mattino.

«Scusala, è sempre così» mormora, superando la porta della cameretta. Una porta-finestra a due ante si affaccia sul terrazzo, permettendo a tutta la stanza di essere illuminata. Due letti a castello sono addossati alla parete, incastonati in un mobile di legno, accanto a una libreria dell'Ikea stipata di romanzi. Di lato c'è una scrivania con sopra un libro scolastico aperto insieme a un quaderno, mentre accanto a me e alla porta della stanza, c'è una televisione con PlayStation annessa.

«Di solito non sono ordinato, ma stavi arrivando tu e non sapevo come regolarmi» continua a dire. «Ti ho fatto spazio nell'armadio per mettere le tue cose, in camera di mamma e papà.» Mi guida fuori dalla stanza ed entra nella porta accanto. Lì apre l'anta di un armadio e mi indica i cassetti, su cui ha scritto i nostri nomi sopra a uno scotch di carta. «Così non mischiamo nulla. Puoi appendere i vestiti a sinistra, mentre io tengo lo spazio a destra. Sotto i vestiti, le scatole con le scarpe.»

«Sei organizzatissimo» commento, ammirata.

«Non sono io, è mamma!» ride. «Mi ha dato una mano, altrimenti ti ritrovavi con il pavimento di là pieno di calzini.»

Ci ritorniamo e noto così che è lavato di fresco. Guardo i due letti a castello e mi sento così triste nel pensare che a papà sarà venuto in mente chissà quanto tempo fa che avrebbe voluto vivere tutti insieme. E che io e Tiziano, per forza di cose, avremmo condiviso la cameretta. Ho gli occhi lucidi, mi sento sopraffatta dalle emozioni.

Forse non saremmo mai stati una famiglia normale, ma almeno saremmo stati una famiglia. Invece, non conosco da fin troppo la sensazione di essere accudita da persone che dovrebbero volermi bene. Gli ultimi tempi con mia madre sono stati un disastro. Fatico a credere come potessi considerare "casa" un luogo che non mi apparteneva più, ma in cui ero costretta a stare.

«Ti senti bene?» Tiziano deve essersi accorto che sono commossa.

«Sì, mi stavo chiedendo se tu dormi nel letto sopra o in quello di sotto» cambio discorso, provando a sviarlo.

«In quello di sopra. Per te non è un problema, vero?»

«No, va bene. Anzi, è meglio. Così se rientro tardi dal lavoro non ti sveglio... Cioè, quando non dormo da Mike.»

«In che senso?» mi chiede, confuso.

«Lavoro due sere a settimana. Mike viene a prendermi e andiamo a casa sua» spiego in breve. «Ma se è in trasferta, devo tornare a casa.»

«Ha senso.» Mi fa cenno di passargli il cappotto, che appende dietro la porta della cameretta, accanto al suo, insieme alla sciarpa. Si siede sulla poltroncina di fronte alla PlayStation e mi guarda, assorto. «Non sapevo come sarebbe stato avere una sorella» dice. «Ho sempre saputo che c'eri tu... Ma pensavo che mi odiassi. Cioè, io ho avuto papà per tutto questo tempo e tu invece no.»

«Non odio te, non mi hai fatto niente.» Serro le labbra, inumidendole. Come siamo arrivati a fare discorsi così seri? «Ho odiato papà, però, per tantissimo tempo. Credevo che non gli importasse più di me.»

«Be', no. Ogni tanto parlava di te, diceva che suonavi il pianoforte e che eri bravissima. Un po' ho avuto il peso di essere il secondo, perché tu sembravi perfetta. Volevo essere come te, avevo anche provato a suonare la chitarra quando ero più piccolo... Ma non mi piaceva.»

«Non devi essere come me. Cioè, io credo che...»

Vengo interrotta da dei suoni all'ingresso di casa, accompagnati dalla voce di mio padre e quella di Mike, mescolate a quella di Noemi – la donna-stritolatrice.

«Mettiamo a posto il pianoforte» dice Tiziano alzandosi in piedi. Mi precede verso il soggiorno spazioso, le cui pareti sono occupate da librerie e vetrate. Scopro così e solo ora che hanno un terrazzo gigantesco che circonda tutto l'appartamento, riesco a vederlo ovunque ci sia una finestra.

«L'ultimo piano ha i suoi benefici» concorda papà, accortosi della mia meraviglia. Spinge il pianoforte per l'ultimo tratto che rimaneva perché entrasse in casa, mentre Mike fa scorrere le rotelle per indirizzarlo meglio all'interno dell'appartamento.

Anche lui si guarda intorno, incuriosito dall'ambiente. «Bel posto» si complimenta con mio padre e Noemi. Lo ringraziano e lei inizia a spiegare che hanno reso tutto possibile comprando entrambi gli appartamenti del piano e facendo dei lavori che dessero un aspetto più armonico.

Smetto di ascoltare, perché mi pesa capire che hanno iniziato quei lavori solo quando mia madre aveva cacciato mio padre.

«Mamma, non credo che a Mike importi qualcosa.» Tiziano prova a salvarlo dalla sua parlantina.

«In realtà è interessante» dice lui, cercando di essere cordiale.

Guardo il pianoforte con un nodo alla gola. È un grosso cambiamento sia per me che per lo strumento. L'ultima settimana ci ha visti sballottati da una parte all'altra e solo ora possiamo aver trovato un posto da definire "casa".

«Secondo me sta bene qui.» Papà indica uno spazio del salone in cui non c'è niente – credo che l'abbiano liberato apposta prima che arrivassi.

«Se non vi dà fastidio che suoni in mezzo alle scatole...» provo a dire. La mano di Mike mi accarezza la schiena, come a restituirmi un po' di conforto e sicurezza in me stessa.

«Non sei in mezzo alle scatole, falla finita» taglia corto mio padre.

Prima che chiunque altro possa avvicinarsi al pianoforte, lo sposto io, muovendolo sulle ruote. Lo posiziono parallelo a una parete e perpendicolare a una delle grandi vetrate della stanza. Accenno un sorriso, con il cuore più leggero. È coperto da un sottile strato di polvere, a causa del viaggio che ha dovuto fare ancora una volta, ma non è nulla che non si possa rimuovere con un panno.

«Vuoi dargli una pulita?» mi chiede Noemi, porgendomi un detersivo e uno strofinaccio.

La ringrazio e mi metto all'opera, mentre mio padre attacca a parlare con Mike di qualcosa che forse si stavano dicendo già prima. Sento le parole "Oasi" e "ampliamento", che bastano per farmi capire che si tratta del lavoro per Faggi.

Alzo la copertura dei tasti e li sfioro uno a uno, come se togliendo la polvere da loro potessi rimuovere anche quella che sento addosso e che, in questo momento, mi rende aliena dal mondo. Dovrei prendere parte ai discorsi tra papà e Mike, dovrei essere gentile e carina con Noemi, allo stesso modo in cui Tiziano lo è stato per me... Ma non riesco.

In una settimana il mio mondo si è ribaltato. Solo sette giorni fa ero in quella spa con Mike e non c'era niente che volessi più dei suoi baci. Vorrei tornare a quelle carezze segrete, alla lettura dell'ultimo libro di Little Baby, e non pensare al viaggio di ritorno, né a ciò che è accaduto nelle ore successive.

Mi risveglio dai miei pensieri solo quando Noemi mi porge una fetta di torta al cioccolato appena sfornata.

«Sei libera di suonare quando vuoi, non disturbi.»

Mi volto appena e noto il mio ragazzo seduto sul divano addossato al muro mentre parla con papà. Tiziano sta ciondolando in piedi – vorrebbe andarsene da qualche parte ma sembra bloccato soprattutto per educazione.

Mike mi guarda e mi rivolge un sorriso di quelli che mi fa sciogliere. Lo sento mormorare uno "Scusa, Dario", poi si alza e mi raggiunge, sedendosi accanto a me al pianoforte.

«Ti troverai bene qui, ne sono sicuro» mormora. Il suo viso è a pochi centimetri dal mio, devo controllarmi per non rispondergli con un bacio che non può neanche diventare niente più di un bacio – mentre ho un bisogno disperato del suo calore che mi dona una pace irreale.

«Sono scombussolata.»

«È normale. Ce la farai, amore mio, sei più forte di quanto credi.» La sua voce ridotta a un soffio mi intontisce.

Sono sicura di avere altre tre paia di occhi puntati addosso, ma non importa. Lo abbraccio e mi lascio stringere dalle sue braccia. Sto cercando di non piangere, perché sto provando una di quelle emozioni forti che mi travolgono visceralmente.

Scioglie l'abbraccio e ne approfitta per rubarmi il dolce al cioccolato che avevo posato sul pianoforte insieme al tovagliolo con cui me l'ha porto Noemi.

«Mike!» lo richiamo, sorpresa, mentre lui fa fuori la fetta in un paio di bocconi.

«Scusa, ma era buona» ride. «Mi farò perdonare, te lo prometto!»

«Non puoi» scherzo insieme a lui.

«Invece sì.» Si sporge verso di me e mi scocca un bacio sulla guancia, che mi fa avvampare di imbarazzo.

Papà non ha mai visto me e Mike insieme e così complici, non deve vederci mentre ci baciamo!

«A colazione, dopodomani, cioccolata con panna. Ti va bene?»

«Sai farti perdonare» sorrido, imbambolata.

«Visto? Ora devo andare, devo passare anche da Liam.»

Spazio autrice
Lo so, il capitolo è molto lungo... ma spero che vi piaccia e che mi faccia perdonare <3

Non aggiungo nulla, perché altrimenti lo allunghiamo ancora XD

Baci a tutti,
Snowtulip.

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