Capitolo 52 (terza parte)
L'appartamento di Jérémy e Alizée è esattamente come lo immaginavo. Un ambiente tranquillo, con piante da interno che decorano gli angoli, mobilia dai colori tenui e impregnato di una sensazione di calore affettuoso che mi ridà un po' di forza al pensiero di aver appena lasciato il nido familiare. Loro stanno costruendo qui il loro.
Un paio di disegni incorniciati sono appesi al muro. Uno ritrae Alizée all'esterno, credo sul balcone, circondata da due vasi da cui spuntano fiori di ibisco color arancione.
Lei avanza con sicurezza sul tappeto che ricopre il pavimento e va dritta verso la cucina per offrirmi qualcosa, mentre io continuo a guardare il mobile che ospita la televisione e un decoder, uno scaffale pieno di libri in diverse lingue. Romanzi in italiano, inglese e francese... Avevo già notato che sono poliglotti, perché passano con una facilità estrema da una lingua all'altra, ma non credevo che leggessero anche in inglese e italiano.
Faccio scorrere l'indice sul dorso delle copertine. Sono soprattutto classici, di ogni epoca. Chissà cosa avranno compreso Alizée e Jérémy del Decameron, visto che l'italiano del Trecento non è immediato neanche per noi. Mi diverte il pensiero di loro due seduti sul divano a leggere e a domandarsi il significato di termini antichi.
La padrona di casa torna da me, con un succo di frutta rigorosamente biologico e due bicchieri. «Meglio che tu stia qui» dice, con il suo tono dolce e musicale. «Sasha ha molto lavoro in questi giorni.»
Rispetto al rimanere in casa di Elena e Pala da sola – visto che dovrà partire anche lei per l'Eurocup – preferisco anch'io essere sua ospite.
«Tu non lavori?» le chiedo.
Assottiglia le labbra, come se le stesse richiamando all'interno per non parlare. Ho detto qualcosa di sbagliato?
«Non c'è niente di male» preciso. «Però è diverso dalle altre. Elena lavora, Sasha anche, io... be', io ho la musica, quindi lavoro anch'io...»
«Non ti preoccupare.» Mi rivolge un sorriso tiepido, riempie entrambi i bicchieri e me ne porge uno, prima di sedersi sul divano di fronte al televisore e invitarmi a prendere posto con lei. Distende le gambe sulla parte ad angolo, sistemando i cuscini dietro la schiena. Ora il pancione si vede bene, a differenza della prima volta che l'ho incontrata. «Sto studiando. Ho lavorato per anni nel bistrot di mio padre e mio zio. Non avevo una bella situazione familiare, ero costretta a stare lì. Non venivo pagata e non avevo alternative, fino a quando non ho conosciuto Jérémy. Quando siamo venuti qui sono accadute un po' di cose, è lungo da spiegare. Mia cugina nel frattempo è diventata titolare del bistrot e mi sta mandando gli stipendi di cinque anni di lavoro. Ho frequentato alcuni corsi quando sono arrivata a Villafiore, sia di italiano, sia di inglese... Quando la situazione con il bambino avrà trovato un suo equilibrio, potrei farlo anche con lo spagnolo. Sto prendendo delle certificazioni e mi sto specializzando. Non so cosa ci voglio fare, ma so che mi piace studiare.»
Non parla mai del suo passato in Francia. Non sapevo che avesse lavorato in un bistrot, né che avesse una cugina. Cosa aveva detto Sara? Che non sapevo cosa hanno vissuto le altre, inclusa Alizée, che ne sembra tormentata. Per questo evita l'argomento?
«Quindi fai qualcosa. Io non saprei cosa fare senza il lavoro e le Sinfonie da comporre.»
«Ultimamente ho tante cose a cui pensare. La stanza del bambino, i preparativi del matrimonio... Per fortuna ci stiamo portando avanti con tutto in modo da non essere sommersi all'ultimo secondo.»
«Sapete già se è maschio o femmina?»
«No.» Intreccia le dita sul grembo. «Abbiamo deciso di non saperlo fino all'ultimo, così non ci facciamo troppe aspettative su come sarà. Abbiamo comprato dei vestiti unisex, e dipinto la sua camera di vari colori, in modo che non sia collegato al suo essere maschio o femmina. Abbiamo pensato che fosse meglio così. Ciò che importa a entrambi è che sia sano e felice. Sembra che stia molto meglio di me, mentre per la felicità... quella la vedremo dopo.»
La sua voce è melodiosa, chissà se posso rievocarla con la musica... Ha un bel tono placido, che sa tanto di familiarità e di esotico al tempo stesso – credo per via dell'accento. Mi piace ascoltarla, è sempre così riservata che sentirla parlare a ruota libera è strano.
«Voi siete a posto, lo crescerete bene. O la crescerete bene.»
Accenna un sorriso, chiudendo gli occhi, e si porta un braccio sulla fronte, come se avesse mal di testa e volesse esorcizzarlo così. «Scusami, Lav, non sono molto di compagnia. Sono distrutta.»
Si volta verso di me, così ricambio il suo sorriso accennato. Mi piace stare con lei, mi dà la sensazione di essere una di quelle persone con cui potrei stare in silenzio senza che diventi pesante.
Il telefono, che ho posato sul divano accanto a me, vibra per una chiamata di Mike. Scocco un'occhiata al cielo buio fuori dalla finestra, immagino che siano arrivati a Venezia a quest'ora: non dev'essere stato un viaggio troppo lungo.
«Cioccolatino» dico in un soffio, con un sorriso stampato in faccia. La giornata è stata così frenetica che ho bisogno di ascoltare la sua voce. Faccio cenno ad Alizée che vado nella stanza degli ospiti, in cui ho poggiato le mie cose per la notte, e lei alza il pollice per dirmi che ha capito.
«Amore, stai bene?»
«Sì, sto bene.» Mi siedo sul bordo del letto. «Sono stati tutti fantastici con me. Stasera e domani sono da Alizée, quando Elena e Pala tornano vado da loro.»
«Va bene. Ecco, io... devo parlarti di una cosa.»
Una morsa negativa mi stritola le viscere. Non è mai un buon segno quando si dice così, giusto?
«Lavinia, ci sei?»
«Sì.»
«Non volevo preoccuparti, non è una cosa grave. Cioè, è importante, ma...»
«Puoi dirmelo direttamente?»
Lo sento trarre un sospiro profondo. Se fosse qui con me, mi abbraccerebbe e il suo fiato mi scalderebbe il collo. «Non dovevo chiederti di venire a stare da me. Per me è stato spontaneo, ma ho sbagliato. E così ho ripensato a tutto, di noi, proprio a tutto. In realtà mi ci ha fatto pensare Teo, ma poco cambia. Non vorrei che la nostra relazione fosse andata troppo veloce.»
«Troppo veloce? Mike, io... non lo so. Non ne ho mai avuta un'altra, quindi non so se è veloce. Ma noi stiamo insieme quando abbiamo tempo, dobbiamo rubare le notti un po' da una parte e un po' dall'altra, altrimenti non riusciamo a vederci. Secondo me non stiamo correndo. Io con te sto bene.»
Sospira di nuovo. Si è preoccupato per aver corso? Ha paura che la nostra storia portata alla ribalta possa segnare un nuovo acceleramento? Pensa che mia madre rischi di essere un problema anche con lui?
«Menomale. Mi sono preoccupato per questa mattina. Stanno succedendo tante cose insieme e il peso può essere tanto.»
«Io ora sto bene. So di aver preso la decisione giusta. Spero di trovare un posto, perché... non riesco a pensare di andare da mio padre. Ma non c'entra con te, cioè, sono due cose separate. Tu, invece, come stai?»
«Vorrei essere lì con te.»
Sorrido, ma non posso essere il centro del suo mondo. Non è giusto. «La squadra è più importante di me. Se Niko o Ethan dovessero avere problemi di falli? O se uno di loro dovesse farsi male? Devi essere lì per loro.»
Tace per un momento, ma potrei vedere da qui il suo sorriso. «Ho solo... solo paura di giocare male se Colucci dovesse buttarmi dentro. Sono stato molto preso da ciò che ci è successo negli ultimi giorni e... Ho avuto delle sensazioni negative.»
«Quali sensazioni? Se l'hai avute da me, sono solo sensazioni. Per me tra noi due è tutto a posto. Non possiamo fare altro per quel sito, abbiamo già denunciato.»
«Su di me. Quando Teo mi parlava...» esita, come se si stesse assicurando che nessuno possa udirlo. «Mi sentivo come se io fossi tornato a un anno fa e lui mi stesse dicendo le cose che avrebbe voluto dirmi allora.»
Un anno fa.
La sua depressione.
«Mike, io non lo so. Non so quanto Teo ci sia stato l'anno scorso, quanto abbia provato ad aiutarti...»
«No, amore, non per questo. Ho paura che lui abbia visto che rischiavo di ricadere in quel vortice.»
«Ma no, sei solo suo amico e voleva tirarti su. Può darsi che tu sia solo suggestionato e... vulnerabile?» Ho abbassato la voce per l'ultima parola. Non credo che un uomo vorrebbe sentirselo dire, non un giocatore di basket, visto che nello sport c'è una quantità abnorme di testosterone. Forse con un altro non avrei mai parlato così, ma ho imparato a conoscere Mike e lui è conscio delle proprie debolezze.
«Può darsi, anzi, lo spero. Non volevo preoccuparti, ma non sapevo con chi parlarne.»
«Non sono preoccupata. Anzi, mi fa piacere che tu voglia condividere con me questi pensieri.»
«Ti amo.»
Sorrido, ebete e felice. L'ho tirato su di morale? Sono riuscita laddove anche Teo ha fallito? L'ho rassicurato su sé stesso?
«Ti amo anch'io, cioccolatino.»
«Ah, devo dirti anche un'altra cosa, più leggera. Sabato viene mia madre. Cioè, credo domenica, non mi ricordo quando atterra.»
«Non vuoi che ci incontriamo?» ipotizzo.
«In realtà sì, lo voglio. Mi ha chiesto di sentirti suonare, quindi lunedì potremmo venire all'Oasi. Ti dispiace?»
«No, per niente. Mi imbarazza, ma tanto mi imbarazzano tutte le persone che mi applaudono.»
«Dovrai abituarti per quando uscirà la Sinfonia.»
«Sì, dovrò. Mi sto abituando piano piano.»
Lo sento sospirare, proprio mentre anch'io mi abbandono a un sospiro. Mi tolgo le scarpe e mi siedo sul letto, poggiando la schiena alla testata e allungando le gambe sopra al piumone.
«Mike, devi andare a una riunione tecnica o a cena?»
«No, per ora no. Perché?»
«Possiamo restare così? In silenzio, ma insieme?»
«Non sono bravo con queste cose. Preferisco abbracciarti.»
«Ora non si può. Ho bisogno di non sentirmi da sola.»
«E Alizée?»
«Lei non è te. E io voglio stare con te.»
«Stiamo rubando altri momenti per stare insieme?»
«Non vuoi?»
«Certo che voglio, cioccolatino. Lo voglio sempre.»
Restiamo per almeno mezz'ora al telefono, senza dire granché, scambiandoci mezze frasi, sospirando... Ma sentendoci. Riesco a sentire Mike, il fiato che esce dalla sua bocca, potrei vedere il suo viso quando mi dice che è arrivato Pala in camera e che si è chiuso in bagno – immagino per dargli un po' di privacy –, la sua espressione distesa quando di punto in bianco mormoro che lo amo, come se anche lui sapesse che esprimerlo a voce non è abbastanza. Vorrei che arrivi presto giovedì sera, vorrei stringerlo a me e perdermi nel suo abbraccio di cioccolata, inspirare il suo profumo al pino silvestre e sentirmi al sicuro.
«Ora devo andare a cena. Ti scrivo dopo.»
«A dopo, amore mio.»
Percepisco il suo sorriso, così attacco prima che possa rispondere. Non l'ho mai chiamato "amore mio" e io stessa mi sono sentita sdolcinata. Troppo. Mi sono sentita troppo grande, troppo matura. Lo sono sempre stata, ma se ora fosse questo il mio problema? Che il mio essere troppo adulta dentro si sposi male con la mia età reale?
Oh, no, non volevo altri pensieri. Volevo solo essere dolce con Mike.
Per fortuna mi salva Alizée, che sbuca sulla soglia per chiedermi se va bene una pasta in bianco. Qualsiasi cosa è perfetta per spegnere il cervello, anche cucinare con lei.
Spazio autrice
Vi eravate chiesti come stesse andando la vita di Alizée dopo la fine della sua storia? Bene, qui c'è un piccolo scorcio ;)
Vogliamo parlare di quanto sono dolci i Mikvinia?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, per me è stato molto bello da scrivere e da correggere <3
Baci a tutti,
Snowtulip.
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