Family
-Vostra Bassezza che mi chiama? Quale onore!-
-Quattrocchi stai zitta e vieni in ospedale quando puoi, Isabel ha una malattia terminale.-
-Co...- metto giù, troppo scosso ed agitato per parlare al telefono.
-Cazzo muoviti!- so che urlare al semaforo non servirà a niente ma l'ansia mi sta divorando anima e corpo.
Con mia grande fortuna becco tutti i semafori rossi così da arrivare all'ospedale in venti minuti invece che nei soliti dieci.
Scendo dalla macchina parcheggiata malamente e corro verso l'entrata dove trovo Farlan ad aspettarmi.
-Levi, finalmente!- ha gli occhi rossi e gonfi e le sue guance sono ancora umide. I capelli sono tutti in disordine ma non ci faccio caso.
-Dov'è lei?- mormorò muovendosi sul posto, incapace di stare fermo.
-Vieni.- mi guida tra i corridoi bianchi dell'ospedale che non fanno altro che aumentare la mia angoscia.
Sembra essersi calmato rispetto a quando era al telefono.
All'improvviso si ferma davanti ad una porta.
-È qui dentro.- prende un respiro profondo prima di entrare.
Prendo fiato per tre secondi prima di compiere quel passo così piccolo ma così difficile ed entro.
Una musica soave mi giunge alle orecchie e prima di rendermene conto i miei occhi raggiungono l'immagine del moccioso, del mio moccioso, che balla con una ragazza che riconosco essere Isabel.
Lei sta piangendo e si lascia trasportare con un'espressione sconvolta mentre Eren...
Eren è stupendo.
Ha gli occhi chiusi e coperti leggermente dai capelli che ricadono sulla fronte, il suo corpo si muove con una grazia tale da ammaliare il più aggressivo dei leoni.
La mia mente sostituisce la figura snella di Isabel con la mia e il desiderio di vedere quell'immagine per sempre diventa sempre più forte.
Ma lei non è me.
La persona tra le braccia di Eren non sono io.
Immediatamente il mio braccio scatta e afferra quello del moccioso, portando il suo corpo accanto al mio.
-P...Professore!- sembra terrorizzato ed è rosso in volto.
Non faccio caso a lui vedendo Isabel cadere in ginocchio a terra, tremante.
Farlan la soccorre immediatamente, preoccupato.
-I...Io...- balbetta, alzando lentamente lo sguardo verso Eren. Lui distoglie il suo e a quel punto Isabel abbraccia Farlan. -Mi dispiace così tanto!- grida, soffocando la sua voce sulla spalla del marito.
Io guardo la scena perplesso allentando la presa sul braccio del moccioso.
Pessima scelta, perché lui raccoglie due mazzi di fiori che erano a terra di cui prima non mi ero accorto e si libera dalla mia stretta, iniziando a correte via.
-Eren!- lo chiamo, ma lui mi ingnora continuando ad allontanarsi da me.
Guardo il punto in cui è sparito per poi spostare lo sguardo sui miei due amici d'infanzia.
È forse la scelta peggiore ma è quella più giusta.
Mi avvicino a Isabel e faccio per posarle una mano sul capo ma lei mi ferma.
-Vai da lui.- mormora tra i singhiozzi, guardandomi con i suoi occhioni verdi così simili a quelli di Eren. -Vai.-
-Ormai è troppo lontano Isabel.- cerco di dissuaderla e stranamente acconsente.
-Tanto tornerà domani.-
-Isabel tu come...- Farlan è geloso di Eren e non posso dargli torto.
-Mi ha detto tutto lui. Mi deve aver vista piangere perché è venuto da me.
Ero seduta su quelle sedie quando mi si è inginocchiato davanti. Mi ha detto "sa che i miei genitori mi- un singhiozzo la interrompe, violento. -mi picchiano?" e ha iniziato a parlarmi della sua situazione familiare. Lui... Lui l'ha fatto perché piangevo... È un bravo ragazzo e... E poi dopo avermi parlato di lui mi ha preso la mano ed ha messo una canzone dal mio telefono, la nostra canzone, Farlan. E mi ha costretta a ballare. Io... Levi ti prego, tu lo conosci, lo hai chiamato per nome! Domani tornerà qui, mi ha detto che viene ogni singolo giorno! Ti prego fai qualcosa, seguirlo o quello che vuoi ma fa qualcosa!-
Non appena la mia mente registra tutta la frase mi si mozza il respiro.
Mando giù il groppo formatomi alla gola ed inizio a respirare piano e profondamente.
Eren, picchiato dai suoi genitori.
Mi copro gli occhi con una mano e mi inginocchio a terra poggiandomi sui talloni.
Ma certo.
Era così ovvio.
Quell'occhio nero era opera dei genitori.
Il motivo delle tante assenze era a causa dei genitori.
La ragione per cui lasciava che Erwin approfittasse di lui era per non far scoprire ai suoi genitori dei brutti voti e della cattiva condotta.
Jean... Jean era l'unico a saperlo ed inscenava il suo odio con lui per non destare sospetti sulla situazione del moccioso.
Eppure rimangono ancora tanti interrogativi.
Come mai Eren non denuncia i suoi genitori? Perche va ogni giorno in ospedale? Perché Jean è l'unico a sapere della sua situazione?
-Levi...- mi alzo di scatto, deciso a seguirlo, ed ignorando i richiami di Farlan corro via da lui, da Isabel.
Mi scontro con qualcuno ma non ci faccio caso. Borbotto qualche scusa e faccio per continuare a correre ma la persona mi blocca per un braccio.
Mi volto incrociando gli occhi castani di Hanji.
-Levi, tu non chiedi mai scusa, normalmente avresti iniziato ad insultarmi. Che succede?-
-Non c'è tempo quattrocchi, mollami.- con uno strattone riesco a liberarmi e riprendo a correre.
Esco dall'ospedale e mi volto in ambedue le direzioni per scorgere il castano.
Lo vedo all'angolo intento a girare ed immediatamente cerco di raggiungerlo.
Non appena volto l'angolo lo vedo entrare nel cimitero della città.
Ecco a cosa servivano i fiori. Sarà venuto a trovare i suoi nonni, probabilmente.
Con altri mille interrogativi vi entro anch'io.
Il moccioso è già scomparso.
Lo cerco in tutto il cimitero, incrociando talvolta persone dallo sguardo basso o bambini che piangono perché vogliono giocare sulle tombe, e finalmente lo vedo.
È seduto a terra, davanti a due lapidi sulle quali sono appoggiati i fiori.
I suoi nonni sono stati seppelliti vicini.
-...lui sta bene, è meno pallido del mese scorso sapete? Grisha dice che è inutile e che non si sveglierà mai ma io sono sicuro che presto o tardi ce la farà. Magari Grisha lo dice solo per tenermi sotto controllo. In fondo, devo o non devo "soffrire per il mostro che sono"? Cavolo, pa...Grisha ha proprio ragione a chiamarmi mostro.-
Poggio una mano sulla sua spalla, ogni parola è stata una fitta al cuore.
-Eren...- mormoro, attirando il suo sguardo leggermente spaventato su di me.
-Pro...-
-Levi.- lo interrompo, lui annuisce. Distoglie lo sguardo dal mio, posandolo a terra.
-Levi...ti presento i miei fratelli, Zeke Jeäger e Mikasa... Mikasa Ackerman.- mormora con voce rotta, abbassando la voce alla fine.
-Ackerman?- chiedo, capendo che no, non sono i suoi nonni ad essere morti.
-Sì.- conferma lui, la voce e lo sguardo sempre bassi. -Si ricorda che all'inizio dell'anno la odiavo? E le rispondevo sempre a tono?- annuisco, mi viene da sorridere al ricordo dei primi giorni. -La odiavo per il suo cognome. Mikasa era la mia sorellina adottiva, era con noi da quando avevo quattro, forse cinque anni. Stavo andando in giro con il mio migliore amico, Armin, e l'abbiamo trovata sotto ad un ponte. Armin ha sempre vissuto solo con suo nonno e non poteva portarla con sé, così l'ho presa io. Parlava poco ed aveva uno sguardo spento... Era praticamente uguale a lei. Nel sonno farneticava sempre qualcosa a proposito della sua famiglia ma non ho mai capito bene cosa. Lei divenne iperprotettiva nei miei confronti, dicendo che me lo doveva dato che io l'avevo salvata dalla strada, che era grazie a me se lei poteva conoscere la vita e la felicità. Non mi dava fastidio, anzi. Se a volte mi metteva nei guai con mia madre spesso me ne toglieva con la scuola o con i bulletti della zona che prendevano sempre di mira Armin. Io, Mikasa ed Armin diventammo inseparabili. Poi lei morì. È per questo che la odiavo sa? Ma in fondo che diritto ha una persona che odia sé stessa di odiare gli altri?-
-Eren...-
-Non... Non dica niente.- faccio come mi chiede ed inizio a riflettetere su ciò che mi ha detto.
La mia attenzione ricade immediatamente su un verbo.
Mi odiava.
Significa che ora non mi odia più.
Eppure non riesco ad essere pienamente felice.
Sarà colpa dello sguardo di Eren, completamente perso nel vuoto, o della sua voce seria quanto triste?
Perche sua sorella è morta? Ed Armin chi è, che fine a fatto?
-E... Che è successo a Mikasa?- chiedo, timoroso di farlo piangere. Lui sobbalza, sgranando gli occhi. -No no! Se non vuoi non fa niente, mi va bene! Scusa, non era mia intenzione spaventarti.-
-Era il trenta marzo. Il giorno del mio compleanno. Quella mattina mi ero svegliato felice, compivo undici anni. Mi preparai più velocemente del solito e scesi giù dalle scale per andare dai miei genitori. Loro però si comportavano come sempre. Mamma ai fornelli e papà che leggeva il giornale seduto a tavola. Li salutai, deciso a non abbattermi. Non sembravano ricordarsi che giorno fosse però. Neanche Mikasa, che arrivò poco dopo di me dato che faceva la doccia ogni mattina, sembrava ricordarsi. Lei, così attaccata a me. Feci colazione ed andai a scuola mogio mogio. Andavo sempre con Jean, il mio vicino di casa. Neanche Armin o Jean sembravano ricordarsi di che giorno fosse quello.
Quando finì la scuola io ero tristissimo, non avevo sorriso nemmeno una volta quel giorno e persino le insegnanti se ne accorsero. Fu l'unico giorno in tutta la mia vita in cui non disturbai la lezione per un'intera giornata. Zeke mi venne a prendere come ogni giorno, portando su anche Mikasa ed Armin. Quel giorno c'era anche Jean perché caso volle dovevamo svolgere una ricerca a coppie. Io con lui ed Armin e Mikasa insieme. Nemmeno Zeke, che la mattina non lo vedevo mai, mi fece gli auguri. Zeke lasciò me e Jean a casa mia e andò con Armin e Mikasa a casa del mio migliore amico. Io e Jean iniziammo subito a lavorare, non gli offrii neanche una partita ai videogiochi per la tristezza. Lui però sembrava non accorgersene o peggio, faceva finta di niente. Non passò molto tempo che arrivò mia mamma, tutta trafelata, in camera mia. Mi disse "Eren, Zeke e i ragazzi hanno fatto un incidente". Aveva le lacrime agli occhi e spesso qualcuna sfuggiva al suo controllo. Era bella anche così, bella da far paura.
Andammo all'ospedale e lì ci spiegarono la situazione. Erano in macchina, Zeke e Mikasa davanti, Armin dietro. Un pirata della strada li aveva presi in pieno. Zeke e Mikasa erano morti sul colpo mentre Armin aveva subito una brutta botta. Per riprendersi il suo corpo era entrato in coma. Questo dissero i dottori. E diamine, quanto piansi. I miei genitori non si fecero vedere tutto il giorno. Contai sull'appoggio di Jean, che mi diede, consolandami. Venni a sapere che la storia della ricerca era una balla, inventata solo per potermi tenere lontano dalla casa di Armin, abbastanza grande per... Per una festa a sorpresa...
Jean venne a casa con noi. Avvertì i suoi genitori che sarebbe rimasto a dormire da me. Quella notte però non dormii. E non per il dolore. Cioè, sì, anche per il dolore, ma era un dolore fisico.
Fu la prima notte in cui i miei genitori mi picchiarono. La notte del mio undicesimo compleanno i miei genitori divennero violenti, iniziando a picchiarmi e ad abusare sessualmente di me.
Jean stette a guardare tutto, imponente. I miei avevano chiuso a chiave la porta.
Mi insultarono, dicendo che era colpa mia, che ero un mostro e che da tale dovevo soffrire.
Me l'hanno ripetuto così tanto volte da quel giorno che ormai ci credo pure io.
Mio padre, Grisha, è un dottore e come tale si prese la piena responsabilità di Armin, in coma. Mi minacciò, dicendo che se provavo a denunciarli o a suicidarmi lui avrebbe fatto sì che Armin morisse, inventandosi qualche balla o uccidendolo lui stesso.
Io sto solo aspettando il giorno in cui Armin si sveglierà. Così potrò finalmente liberarmi dei miei genitori e... E magari... suicidarmi.-
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