Capitolo 40

~Lily~

È dura osservare qualcuno cadere nel vuoto da più di venti metri di altezza e non avere nemmeno una vaga idea di come comportarsi. Non solo è dura, ma devo dire che è anche imbarazzante nel mio caso, visto che non appena uscirò da Hogwarts ho intenzione di iniziare a studiare per diventare Auror, quindi dovrei saperle gestire già da adesso certe situazioni.

Non appena Potter si era piegato di lato, scivolando come una marionetta abbandonata a sè stessa, sapevo già quello che sarebbe successo.

Tutti intorno a me saltano contemporaneamente in piedi, chi urlando nomi a me sconosciuti, probabilmente nel tentativo di trovare qualcuno che possa aiutarlo, chi sbattendo i piedi, chi cercando di trovare una via di uscita per non dover assistere a quello spettacolo.

Io, in tutto questo, rimango seduta. Ciò che dovrei sentire, vedere e percepire è al di fuori di quella bolla in cui mi sembra di essere rinchiusa, attutito rispetto alla sua reale intensità. Non avverto le spinte delle persone da ogni direzione. Non avverto il tremare delle tavole di legno sotto le mie scarpe. Il vento che fino a pochi secondi fa mi dava così tanto fastidio, sferzandomi il viso, non è che una carezza. Persino il tempo sembra scorrere in modo diverso ai miei occhi.

Sento il mio stomaco stringersi e bruciare come se qualcuno ci avesse versato dentro dell'acqua bollente; la bile mi sale in gola, e sento che sto per vomitare - il che è divertente, considerando che non sono io quella che sta cadendo.

Quando riesco finalmente a riprendere il controllo di me stessa, uscendo da quella trance in cui mi ero ritrovata, la bolla esplode e la realtà mi colpisce come uno schiaffo improvviso.

Cerco la bacchetta nel mio cappotto, tastando ogni tasca: quando finalmente la mia mano tocca una superficie più solida, rischio di strappare la stoffa tanta è la forza che uso nel tirarla fuori. Sento che la testa sta per esplodermi, visto che ci sono molte informazioni che devo processare; senza badare a ciò, però, mi butto in mezzo alla gente, cercando di raggiungere l'estremità degli spalti.

Potter è ancora in caduta, con il viso rivolto verso il terreno, a poco meno di dieci metri da terra.

Nonostante io sia tra gli studenti migliori del mio anno, non trovo le parole per pronunciare l'incantesimo. Dovrei saperlo fare, no? Ho visto di peggio.

Ho visto gente rompersi un braccio, affrontare creature magiche la cui pericolosità va da "puoi prenderci un tè insieme" a "fingersi morto non serve, ti prenderà comunque", affrontare i rami furiosi del Platano Picchiatore e sfuggirvi per un pelo.

Perchè questo invece mi fa un simile effetto?

Cinque metri.

La mia lingua sembra essersi attaccata al palato, rifiutandosi categoricamente di smuoversi, e un fiotto inesauribile di pensieri continua a riversarsi nella mia mente, mischiando parole, incantesimi e maledizioni e in generale rendendomi la vita impossibile. Volgo gli occhi da una parte all'altra cercando di ricordarmi qualsiasi cosa che possa aiutarmi, invano. Non posso aiutarlo.

Quando lui è a mezzo metro dal suolo e quando finalmente apro bocca - forse per prendere aria più che per poter essere effettivamente utile - lui si ferma, e le sue braccia oscillano da un lato a un altro mentre il resto del suo corpo rimane immobile.

Abbasso lentamente la bacchetta, con la mano tremante. Ogni rumore si è placato, e ora l'unica cosa che riesco a sentire è il pulsare del mio sangue nelle orecchie e il mio respiro, veloce, che crea delle nuvolette nell'aria.

Non sono stata io. Non posso averlo fatto fermare io.
Non ho nemmeno pensato a quell'incantesimo, figuriamoci se l'ho pronunciato.

Incerta sulla sua provenienza alzo quindi gli occhi, che fino a questo momento ho tenuto fissi sul pavimento, spostando lo sguardo tra la folla. A un certo punto, questo ricade sulla tribuna dei professori: sono tutti tesi, con le mani sulla bocca, sul petto, unite, chini in avanti come se stessero cercando di vedere meglio, senza realizzare che il Creatore ha fornito loro il dono delle gambe e possono alzarsi. Solo uno di loro si trova effettivamente in piedi, ovvero la professoressa Wilson, ritta, con la bacchetta sguainata e puntata nella stessa direzione verso cui ho cercato di mirare anch'io pochi momenti fa.

Mentre la abbassa, nonostante si trovi molto lontano dalla tribuna dei Grifondoro, riesco comunque a vedere i suoi occhi che mi puntano. Non mi é difficile, li potrei sentire su di me anche voltata di spalle: negli ultimi mesi, il suo sguardo indagatore mi ha accompagnata come quello di un avvoltoio.

Fino a poco tempo fa la ritenevo una figura a cui potevo rivolgermi senza paura, quasi al pari della McGranitt, ma negli ultimi tempi il suo atteggiamento mi ha stranita sempre di più.

Sotto i suoi occhi si andavano a formare dei segni neri sempre più profondi e marcati, e sembrava pronta a collassare da un momento all'altro. Camminava sempre nel suo solito modo elegante (schiena dritta, mento in alto), ma ogni tanto pareva quasi che tremasse, come se si stesse consumando solo per fare quello. Il suo sguardo era veloce e sfuggente, tranne quando io le passavo accanto: in quel caso lo fissava su di me, senza dire nulla.

Sarà pur comprensibile, quindi, che io non la ritenga esattamente una persona rassicurante.

Mi volto, cercando di portare lo sguardo il più lontano possibile da lei, e mi concentro su altro: giù al campo si sta raccogliendo una folla sempre più grande, raccolta a semicerchio intorno al punto dove Potter si é bloccato e, possibilmente, é caduto, a incantesimo disfatto.

Li ispeziono, uno a uno, cercando di capire dalle loro facce quale sia la situazione lì; però nemmeno avere una vista perfetta, a quanto pare, basta per vedere l'espressione di qualcuno a una simile distanza. Alcuni però stanno esultando, il che, suppongo, è una buona cosa.

Presto, le scale sono completamente sgombre, visto che una persona infortunata, a quanto pare, interessa enormemente un pubblico che si è appena dovuto sorbire due ore e mezza di partita senza grandi colpi di scena; sono quindi l'unica che è rimasta in piedi ma non è scesa.
Non me la sento di unirmi alla folla.

Scendo molto lentamente le scale che portano all'uscita, con lo sguardo fisso in avanti, e un paio di volte sono quasi sul punto di inciampare e cadere a terra. Dopo essermi ritrovata fuori dallo stadio di Quidditch però inizio a correre, cercando di raggiungere il castello il più in fretta possibile.

Sul sentiero non c'è quasi nessuno, o almeno è ciò che credo - ogni dettaglio mi passa di fianco senza essere visto. Supero il lago, degli alberi e dei cespugli, figure confuse, fantasmi. Non mi fermo al cancello, aperto perchè è giorno, e nemmeno all'ingresso, che attraverso fiondandomi verso un corridoio qualsiasi.

Gli unici suoni che sento sono lo scricchiolio delle mie scarpe sul pavimento e il mio respiro che sembra farsi sempre più pesante. Non c'è nessun'altro lì.

A un certo punto mi fermo, appoggiandomi a un muro e cercando di riprendere fiato.
La mia testa si piega verso il basso, per poi alzarsi di scatto. Traggo un respiro profondo, con il volto rivolto al soffitto.

— Non è una bella giornata, eh?

Mi giro di scatto, incerta su chi abbia parlato.

Dopo pochi secondi fisso lo sguardo sul quadro di una donna che, a quanto pare, è vissuta in epoca vittoriana, e che tra l'altro non credo di aver mai visto. I suoi vivaci occhi verdi mi stanno fissando, quindi suppongo che sia stata lei.

— Non proprio, — dico, incrociando le braccia, — Un ragazzo ha rischiato di farsi molto male durante la partita.

— Ah, mi ricordo di quando anch'io ero una studentessa, — dice, con un sorriso sulle labbra che non dovrebbe essere così grande, considerando ciò di cui stiamo parlando, — Le misure di sicurezza non erano così ferree, e c'erano almeno tre feriti ogni settimana! — Si sistema un ciuffo sfuggito alla sua acconciatura, sospirando. — Cielo, bei tempi. Al giorno d'oggi siete dei tali fifoni...

— Beh, sa com'è, vorremmo arrivare almeno ai quarant'anni.

Un risolino sfugge dalle sue labbra. — Che noia. Che gusto c'è poi?

Osservo la donna con evidente confusione. Dal quadro sembra avere sui trent'anni, e suppongo (sia da quello, sia da ciò che ha detto) che forse ai quarant'anni lei, effettivamente, non è arrivata.

— Come mai qui, tesoro? — chiede, — Sembri più in pena tu di quanto probabilmente lo sia quel giovane adesso. — A quel punto alza le sopracciglia, e un sorrisino malizioso le si dipinge sul viso. — È forse il tuo ragazzo?

— Cosa? No, per Morgana! — replico, subito disgustata all'idea e, in parte, imbarazzata. — Non mi preoccupo per lui, se l'è cercata. E comunque ora sta bene, credo. Il fatto è che... — Continuo a torcere il lembo della mia giacca. — Quando... stava cadendo, perché è questo che è successo, volevo farlo fermare con un incantesimo, ma non ce l'ho fatta. Mi ero bloccata.

L'espressione della donna si fa improvvisamente seria, e il suo sorriso ora ricorda più quello che si ha quando si vuole dare un consiglio che quello di un'appassionata di sadismo. — Ti è mai successo prima?

— No, credo di no.

— E quel ragazzo... è tuo amico?

— Più o meno...? — dico, titubante, — Insomma, di solito non andiamo molto d'accordo, ma c'è stata qualche eccezione e in quei casi si è rivelato essere una persona... — Ho un flashback di un Potter quattordicenne che scivola sul corrimano delle scale insieme a Black per scappare dalla McGranitt, che li insegue furiosa. — ...abbastanza seria.

— Forse so qual è il problema allora, — afferma, — Sei andata nel panico.

— Grazie tante, Sherlock! — esclamo, alzando le braccia, —  Sapresti dirmi perché?

Lei mi lancia un'occhiata torva, non prima di essersi fermata per chiedersi, probabilmente, chi fosse questo Sherlock. — Ci stavo arrivando. Il fatto che tu abbia un legame con quel giovane... — Fa una pausa, come per riflettere. — ...ti ha impedito di pensare. — Passa poi una mano sui capelli elegantemente acconciati, con un sospiro esageratamente drammatico. — Per quanto la tua aria da studentessa modello ti faccia sembrare lucida e fredda, con la cravatta ben sistemata e un libro di Difesa contro le Arti Oscure nella borsa...

Cerco di spingere il tomo più giù, di riflesso. Che c'è? Pensavo di annoiarmi alla partita.

— ...sei terribilmente irrazionale. Non riesci a distaccarti dalle tue emozioni.

Alzo le sopracciglia, allibita in parte per ciò che ha detto e in parte perché mi sto facendo dare consigli da un quadro.

— Incredibile, — commento, con una risatina vuota, — Voglio diventare un Auror, eppure non so fare quello che dovrebbe fare un Auror.

— Per imparare a farlo ci vuole del tempo.

Sento il cuore salirmi in gola.
Non avevo sentito dei passi dietro di me, prima, distratta com'ero da quel discorso, ma ora riesco a sentire distintamente il suono di tacchi di stivale che si avvicinano e, quando mi volto, davanti a me c'é la Wilson.

Mi sento improvvisamente molto, molto più piccola. — Io non-

— Hanno portato qui il signor Potter, e gli altri gli sono venuti dietro. Non si è fatto nulla, per sua fortuna, ma ha comunque bisogno di cure, — dice, interrompendomi, e un'accenno di disappunto le colora il volto, — Ha una brutta febbre, l'avrà presa sicuramente per le piogge di ieri.

Mi ricordo dello stato in cui era prima della partita, e di Amanda che accennava a un "raffreddore" o a qualcosa del genere. — Incosciente, — dico, considerando momentaneamente l'idea di fargli una ramanzina di due ore, quando poi mi ricordo che 1) non sono sua madre e 2) ce le ha già due madri, ovvero la sua vera madre, che probabilmente appena saprà ciò che è successo preparerà il mattarello per accoglierlo come si deve, appena tornerà a casa, e Remus, che a quanto pare è diventato la madre di tutti i Malandrini.

Oh, Potter se la vedrà male.

— È per quello di cui parlavi prima che sei scappata? — chiede la professoressa, inclinando appena la testa. I suoi occhi chiari sembrano scavare nella mia mente, cercando di trovare una risposta, e mi trovo costretta a distogliere lo sguardo.

Stringo le labbra, con le braccia conserte, facendo spallucce.

— Capisco. — Mi mette una mano sulla schiena, come per condurmi avanti, facendomi sobbalzare per la sorpresa come se fossi stata folgorata. Allora toglie la mano, continuando però a camminare. — Non è insolita come cosa e, come ho detto, per imparare certe cose ci vuole tempo e pazienza. Nemmeno i professionisti sono perfetti.

Le so queste cose. Ciò che lei mi sta dicendo in questo momento è già passato per i miei pensieri e ne conosco la verità.

Ma un conto è conoscere qualcosa, un altro impiegare nella pratica questa conoscenza - e io non l'ho mai saputo fare. Ho sempre creduto di dover essere costantemente impeccabile, che se non fossi stata perfetta ci sarebbero state conseguenze gravissime, e nessuno mi ha mai convinto del contrario.
È come essere su una torre altissima senza scale - ogni folata di vento ti spaventa perché hai l'impressione di poter cadere giù, e non sai che in realtà non può succedere, visto che la ringhiera ti arriva al petto.

— Sì, però... — mormoro, incerta su cosa dire, — Voi insegnanti... voi adulti, in generale, sembrate tutti così preparati. Sembra impossibile non avere aspettative altissime nei propri confronti con modelli così.

Lei ridacchia, scuotendo la testa. — Preparati? Non sappiamo nemmeno quello che facciamo per metà del tempo. Dentro siamo ancora degli adolescenti a cui sono state date le redini del mondo, senza alcuna istruzione su cosa fare. — Per un momento riesco a sentire solo il clic clac delle sue scarpe sul pavimento. — Non so gli altri, ma io combino tanti casini, dietro le quinte. Sapessi quanti incantesimi sono andati male! E prima ancora di diventare insegnante? Accidenti, a malapena riuscivo a prendere un Accettabile in Difesa.

La guardo, e cerco di collegare tutte quelle informazioni. — Davvero?

Alza un sopracciglio. — Ne sei sorpresa?

— Direi di sì, considerando che lei questa materia la insegna.

La professoressa mette una mano davanti alla bocca, e realizzo solo dopo qualche istante che sta ridendo. — Beh, non posso darti torto, è strano, — dice, continuando ancora a ridacchiare. Io, intanto, sto iniziando a chiedermi se il corridoio sia veramente così lungo. — Però è successo; non sapevo tenere in mano una bacchetta, motivo per cui avevo problemi anche in altre materie. Poi, un po' con l'aiuto di mio fratello e un po' perché ero solo al secondo anno e non avevamo fatto nulla di estremamente complicato, alla fine sono riuscita ad arrivare a un buon livello, al punto che mi sono appassionata allo studio.

— Aveva un fratello? — chiedo, incuriosita. Non aveva mai detto di avere fratello: certamente sembrerà ovvia come cosa, visto che di solito i professori non tengono conversazioni casuali con i loro alunni, ma nonostante la sua recente segretezza la Wilson tende sempre a parlare con noi durante le lezioni, soprattutto mentre ci esercitiamo, ed è proprio così che siamo venuti a sapere che ha tre gatti e una tartaruga che si chiama Gerald.

Sembra sorpresa dalla domanda, e riesco anche a scorgere un velo di amarezza sul suo viso. — Oh, sì, avevo un fratello, un fratello maggiore. Si chiamava Michael. — Prende i gomiti nelle mani e la sua testa si abbassa, quasi come se la mia domanda avesse riportato sulle sue spalle un peso che per molto tempo aveva cercato di scrollarsi di dosso. — Era un genio, un grandissimo pozionista. Passavamo molto tempo insieme, visto che mamma e papà erano sempre al lavoro, ed era lui a prendersi cura di me.

— Cosa gli é successo? — Il fatto che abbia usato i verbi al passato mi ha insospettita. Solo dopo aver fatto la domanda, però, mi accorgo che forse non sono stata molto delicata. — Non intendevo-

— Non preoccuparti, è normale essere curiosi, — mi dice, con tono rassicurante. Non mi guarda, piuttosto ha gli occhi puntati davanti a sé. — É morto quando aveva ventisei anni, in un incidente. Io ero al mio terzo anno.

Allora è il mio turno di distogliere lo sguardo, e mi ritrovo a guardare il pavimento, come se fossi particolarmente interessata alle crepe nel marmo. Non ho idea di cosa io debba dire - non so mai cosa dire, nonostante il fatto che troppo spesso, ad Hogwarts, ci sia qualcuno in lutto per un familiare o un amico che è stato ucciso dalle forze oscure. Io stessa, nel buio della notte, vedo ancora il viso pallido e stanco di Paola, accasciata accanto a una statua, abbracciata dalla morte.

— La ragione per cui ti ho detto tutto questo, — sento dire dalla Wilson, mentre tira su col naso, — È perché tu ricordi che noi esseri umani siamo macchine imperfette, sia che si tratti di abilità pratiche sia che si tratti di gestire i nostri impulsi e le nostre emozioni. Ci vuole pazienza e costanza per abituarsi a situazioni come quella di oggi, che in fondo era ben poca cosa rispetto a quello che c'è la fuori, e se possibile ci vuole anche qualcuno che ti indirizzi.

Siamo quasi arrivate al corridoio principale, e riesco già a scorgere qualche studente in giro. Alcuni, ancora con la giacca addosso, scambiano qualche parola tra di loro, sicuramente riguardo alla partita.

La professoressa Wilson mi sorride, nonostante gli occhi lucidi. — Io posso essere quel qualcuno, se vuoi.

Automaticamente, i miei occhi si allargano per la sorpresa. Sento il mio cuore agitarsi nel petto, mentre già penso a quanto potrei migliorare con il suo aiuto. Prima ho detto che non mi fidavo più della Wilson, e in parte è ancora così; tuttavia sarebbe da idioti lasciarsi scappare l'opportunità di allenarsi con una professoressa, soprattutto con una del suo livello. — Lo farebbe?

— Certamente. Tutti i professori vedono il tuo grande potenziale, e potresti essere uno dei migliori Auror di questa generazione, a mio parere. — Un altro sorriso. Arrossisco per il complimento, sentendo il mio cuore scaldarsi. — Ma in cambio mi servirebbe il tuo aiuto in qualcosa.

Ed ecco la fregatura.

— Cosa devo fare? — chiedo, comunque; di nuovo, sarebbe da stupidi tirarsi indietro.
E poi, cosa potrebbe mai chiedermi di fare di tanto difficile?

— Mi servirebbe che tu convinca Lumacorno a darmi degli ingredienti che non si trovano ad Hogsmeade, ma che mi servono per una pozione molto speciale. Diciamo che... lui non vuole farlo.

La mia voce trema, tradendo la mia preoccupazione. — Come mai?

— Secondo lui, — dice, fissandomi, — Combinarli potrebbe generare un intruglio molto pericoloso. Un esplosivo.

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Dovrei smetterla di fare questi hiatus giganteschi, visto che io stessa so quanto sia brutto dover aspettare per mesi l'aggiornamento di una fan fiction, senza alcuna speranza all'orizzonte. Ho letto tutti i commenti che avete scritto nel frattempo, comunque, e volevo ringraziarvi per la vostra pazienza, oltre che scusarmi per questa "pausa" che mi sono presa!
Spero di riuscire ad aggiornare regolarmente almeno per quest'estate, anche se a questo punto non so che valore possano avere le mie promesse. Per fortuna ho quasi finito l'altro capitolo, quindi aspettatevi un aggiornamento molto presto!
Penso che mi orienterò su un aggiornamento ogni due settimane per ora.
Intanto spero anche che stiate bene e che abbiate trovato il modo di tenervi occupati, in questi mesi!

A presto!

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