Capitolo 30

~Lily~

La mia vita è una continua successione di disgrazie. Non solo ho una sorella psicopatica con un fidanzato che sembra una palla da bowling dimensione uomo, non solo un idiota palestrato mi perseguita. Per mia sfortuna, oltre quello, compio gli anni in periodo scolastico.
Molti direbbero: "In questo modo un sacco di gente ti fa gli auguri!". Appunto, è quello il problema. Un sacco di gente viene a rompere, a scartavetrare, a frantumare i Boccini perché è il mio compleanno, e no, non posso urlare loro in faccia o ucciderli in un modo lento e doloroso, purtroppo, perché sembrerebbe piuttosto maleducato. Poi ci sono tutte quelle scartoffie da compilare... uno strazio, in pratica.
Ad aggiungersi a questo c'è il fatto che Potter è compreso tra quelle persone, e che ogni singolo anno se ne esce con un'idea nuova.
Il primo anno, appena entrai nella Sala Grande, mi rovesciò un secchio di marmellata addosso. Non piansi, questo perché lui venne messo in punizione per due settimane, a lucidare tutti i pavimenti del primo piano del castello, e la mia soddisfazione superò di gran lunga le mie ghiandole lacrimali.
Il secondo anno, invece, non contento, mi lanciò un gatto addosso. Ho ancora alcune cicatrici sul braccio.
Il terzo anno, infine, decise che era ora di iniziare seriamente a farmi sprofondare nel terreno, e saltò sul tavolo dichiarando a tutti di volersi regalare a me, perché lui è fantastico, meraviglioso e tutte quelle cavolate varie, e che accettava molto volentieri "l'invito che gli avevo rivolto pregandolo in ginocchio". Certo, come no.
Così, sempre allo stesso modo, era successo anche negli anni seguenti. Ormai non ci faccio più caso. Semplicemente, scendo dalla panca e me ne vado, mentre lui resta lì a parlare da solo. Nessuno ci fa più caso, in effetti. Nemmeno la McGranitt. Silente ride sotto i baffi, mangiando il suo adorato sorbetto al limone.
Quest'anno, tuttavia, sono un po' in ansia.
Ora che conosco il segreto dei Malandrini, posso dirmi "parte passiva" del loro gruppo, e vista questa situazione non ho assolutamente idea di cosa farà il moro in quest'occasione.
È ora di scoprirlo, dunque.
La mattina, appena sveglia, sento il mio cuore ballare la conga perché probabilmente, dopo diciassette anni, è felice di non essere ancora uscito strisciando dal mio corpo esanime per tutta l'acidità repressa che contengo. Sono una bomba chimica, in pratica.
Avverto lo spirito del compleanno scorrere per tutto il mio corpo, anche per i vasi sanguigni -anche se quello è più tè che spirito -, e una strana sensazione percorre la mia pelle, e so già da adesso cosa mi aspetta. Avverto anticipatamente la pressione sul mio corpo, il peso della gravità.
Come se il mio pensiero fosse stato un richiamo, sento l'urlo ultrasonico di Mary e Alice. Sempre più vicino. Dei passi. Un tonfo.
Il mio gemito straziato.
— Oh, per Godric Grifondoro. — mormoro, con un fil di voce, come se fossi una morente. — Smettetela di saltarmi addosso, ve ne prego.
Ora che lo noto -come riesco minimamente a notare qualcosa con due ammassi di carne che tentano di soffocarmi?-, quest'anno mi ritrovo schiacciata da della gente più volte di quanto io voglia ammettere.
BUON COMPLEANNO! — urlano le due, trapanandomi i timpani.
Può sembrare strano che loro mi parlino come se nulla fosse successo, dopo la vicenda dell'infermeria, ma abbiamo fatto pace alla fin fine -non che avessimo litigato poi tanto-, quindi ora va tutto bene. Certo, a volte cercano di sottrarmi qualche informazione, ma non ci riescono. Nonostante i loro metodi che non rendono assolutamente palese il motivo della loro domanda, sono riuscita a non cedere e a cavarmela.
Dev'essere Remus a dirglielo.
E Remus ha detto che glielo dirà presto, quindi credo alla sua parola.
— Allora, Lily... — dice Alice, non curante, osservandosi le unghie perfettamente limate. — Visto che siamo che siamo qui, parliamo? Magari vuoi dirci qualcosa.
Lo sapevo.
Ancora una volta, la mia vita è una disgrazia. Perché devono mettermi in difficoltà? Perché non possono lasciarmi in pace?
Un momento, no. Perché non può lasciarmi in pace. Alice. Perché è solo lei ad insistere. Mary ha rinunciato al primo tentativo, buttandosi a capofitto nel baratro della confusione.
Ho giurato solennemente che dalla mia bocca non uscirà nemmeno una parola su ciò che era successo, a meno che Remus non gliel'abbia già detto. Possa io avere un infarto proprio adesso su questo letto, ma non lo farò.
— Alice. — ringhio, irritata sia per la domanda che per lo sforzo. — Ne abbiamo già parlato, non ho nulla da dirvi. E ti prego, piantala almeno oggi.
— Certo, pianterò una Mandragola.
Sto in silenzio, e la voglia di sbattermi una mano in fronte cresce, ma fortunatamente non posso perché è schiacciata sotto le coperte.
Riassunto della mattinata: due persone cercano palesemente di soffocarmi il giorno del mio diciassettesimo compleanno, una di queste persone cerca di portarmi oltre questo all'esaurimento nervoso e, inoltre, lo fa con delle freddure. Va bene. Anzi, benissimo.
Oh, un attimo.
Solo in questo momento - visto che ho la velocità di pensiero di un bradipo - realizzo una cosa. Ecco a cosa era dovuto il vuoto, diciamo, sulla pelle.
La Traccia magica è assente.
Ho diciassette anni.
Con una forza che nessuno sa da dove io abbia preso, scaravento Mary e Alice giù dal letto, alzandomi in piedi sul suddetto.
Saltello leggermente, entusiasta come una bambina. Il mio sguardo vola sulla sveglia accanto al mio letto: le otto di mattina.
Nonostante sia domenica e quasi ogni singolo studente a quest'ora dorme - poi ci sono i mattinieri che vengono a rompere le Pluffe a tutti, ma è un discorso a parte -, me ne sbatto, perché se Lily Evans è sveglia alle otto di mattina il giorno del suo compleanno allora, in qualche modo contorto, saranno svegli tutti. Tanto vale quindi affrettare le cose.
— HO DICIASSETTE ANNI! — urlo a pieni polmoni, ridendo come una pazza. Ora Petunia la pagherà per ogni singola cosa che mi ha fatto, anche se non credo che sarò così drastica. Semplicemente, qualche pozioncina preparata sul momento non gliela toglierà nessuno.
Sento i primi gemiti dalle stanze affianco, e in effetti non me ne frega un accidente. La mia felicità supera di gran lunga i sensi di colpa, che sicuramente raggiungeranno il mio cervello solo domani e non prima.
I gemiti provengono anche dal basso, e vedo Mary e Alice massaggiarsi ognuna il proprio fondoschiena, certamente dolorante. Scendo subito dal letto, e le aiuto a rialzarsi, chiedendo scusa. Non che io senta sensi di colpa, appunto, ma l'educazione è sempre al primo posto.
— È già la seconda volta quest'anno... — borbotta Mary, infastidita dal fatto, mentre io continuo a saltellare, contenta.
Quando ero ancora minorenne nel mondo magico, mi sembrava di avere qualcosa di pesante addosso. Era una sensazione alquanto strana, come quella che si prova quando si viene osservati da qualcuno. Ventiquattr'ore su ventiquattro. Sette giorni su sette. Per tutti i miei sedici anni. Era come se mi avessero legato con delle catene, bloccando me e la mia libertà.
Ora, invece, mi sento più leggera di quanto non mi fossi mai sentita prima.
Ovviamente, sto esagerando. Non è esattamente così che si sentirebbe un qualunque mago o strega una volta maggiorenne, ma per una persona che non aspettava altro nella vita è fantastico. Penso che potrei salire persino in sella a una scopa, tanta è l'adrenalina che mi sento scorrere nel sangue.
Anzi no, l'ultima affermazione cancelliamola.
In sella a una scopa mai. L'ultima volta che l'ho fatto - ovvero al primo anno - non è finita molto bene: sono rimasta appesa in cima a un albero per circa un'ora prima che qualcuno mi ritrovasse.
Quindi, evitiamo.
— Mary, come fai a pensare al dolore! — esclamo, con tono gioioso. Probabilmente qualcuno potrebbe pensare che ho assunto una qualche sostanza illegale per essere così felice, ma non è così. — Non senti la vitalità che scorre nell'aria?
— No. Sento solo un unico segnale provenire dal mio fondoschiena: "Ahi". — replica la riccia, lanciandomi un'occhiataccia. Poi però sorride, e capisco che non è veramente arrabbiata.
— Per oggi ti perdoniamo, però! — esclama Alice, avvolgendomi le spalle con un braccio. — Su, ora preparati, andiamo a fare colazione.
La guardo stranita, corrugando la fronte.
— Ma come? Oggi è domenica, la colazione inizia più tardi.
— Non è che inizia più tardi, siamo noi che ci svegliamo alle nove. — risponde Mary, sbadigliando. — Ali, ricordi quella volta in cui sei andata più presto del solito in Sala Grande?
— Oh, sì. Era fantastico.
Alice sembra quasi sognante, e io mi chiedo cosa ci sia di tanto speciale in Sala Grande, di domenica, alle otto di mattina.
Senza replicare, afferro la divisa e mi fiondo nel bagno.
Non sembro cambiata di molto, osservo guardandomi allo specchio. In senso, non che mi aspettassi chissà quali cambiamenti, anche perché è improbabile. Non posso svegliarmi un bel giorno e improvvisamente apparire come una completa sconosciuta.
Però pensavo di apparire un po' più matura, in viso. Ho sempre avuto quella speranza innocente, fin da bambina, di sembrare più grande il giorno del mio compleanno. Ahimè, però, la faccia di ieri è la faccia di oggi.
Quindi lascio perdere, preparandomi in fretta e furia, e non appena dischiudo la porta il mio sguardo vola sullo spazio vuoto dove, poco prima, c'erano Mary e Alice. Saranno già scese.
Traditrici!
Scendendo, noto la desolazione della Sala Grande. Non c'è nessuno, se non un paio di corpi accasciati sui divani in posizioni improbabili e le mie due amiche. I Grifondoro, come da abitudine, staranno sonnecchiando nelle loro stanze, malgrado le mie urla mattutine. Oh, ma tanto si sarebbero svegliati comunque.
— Eccomi! — esclamo, appoggiandomi teatralmente a una ringhiera e ammiccando. Alice ride, mentre Mary sorride. So che sta pensando cose come "SBRIGATI, HO FAME". Ne sono certa al 99,9999%. Ci scommetto la mia vita: che io muoia nei prossimi anni se non è così.
Dopo un breve dialogo, fatto di frasi come "mh, credo che prenderò del budino", usciamo frettolosamente dalla Sala Comune, e per tutto il tragitto continuo a saltellare come una bambina. Nulla potrà rovinare questo giorno fantastico. Nulla.
Tranne, certo, il pensiero su Potter che mi tormenta. Non ho idea di quello che possa fare oggi quella canaglia, di cosa possa inventarsi, e questo mi preoccupa. Non c'è persona al mondo che possa sfuggire al mio controllo, tranne lui. È imprevedibile, ribelle ed è universalmente conosciuto come un pericolo pubblico. Ma è sempre stato così, quindi in teoria non dovrei preoccuparmi. Giusto?
A furia di scervellarmi per questo, ho smesso di saltellare, e vedo che Alice mi guarda in modo strano. Deve aver notato che qualcosa non va. Dà una gomitata a Mary, e mi indica pensando che, anche se la sto guardando - di sfuggita, certo -, io non possa vedere quel gesto.
— Lily, qualcosa non va? — chiede Mary, corrugando la fronte. Continuiamo a camminare. Sospiro.
— Va tutto assolutamente e perfettamente bene! — esclamo, tirando su un sorriso più falso delle tante riproduzioni della Monna Lisa. — Non mi sto assolutamente chiedendo se Potter mi lancerà addosso un gatto rosso o uno nero quest'anno!
Alice sbuffa, mentre Mary sembra voler dare una testata al muro.
— Lily, è successo al secondo anno! — esclama una, esasperata.
— E, cosa incredibile, dopo quattro anni ho ancora le cicatrici addosso.
— Quei miseri graffietti? Beh, c'è di peggio.
— Tipo?
Le due esitano, e sappiamo tutte e tre cosa c'è di peggio. Remus ha delle cicatrici da far invidia a uno che ha fatto un incidente automobilistico volando fuori dal finestrino e sbattendo contro un albero scheggiato, con i pezzi di vetro conficcati in faccia.
Però, l'unica differenza, io so perché e loro no.
Continuiamo a parlare, e io continuo a stressarle sulla zona Potter, quasi fossi ossessionata da questo pensiero.
Ma non lo sono, sul serio.
Proprio mentre sto per replicare a un'ennesima delle loro risposte annoiate, e proprio all'ingresso della Sala Grande, sento una voce che non volevo sentire, almeno non oggi, e un brivido mi percorre la schiena.
— Lily.
È Severus.

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