Capitolo 17
Nel buio e barboso pianeta Terra... no, posate quel rasoio, non intendevo "barboso" in quel senso.
Dicevo, nel buio e noioso - per evitare malintesi, eh - pianeta Terra, più precisamente in Europa, e ancor più precisamente in Gran Bretagna, nella regione chiamata Scozia, e per essere proprio pignoli e ancora più precisini...
Va bene, basta giri di parole, un altro po' e qui ci mettiamo a discutere della morfologia di tutti i Paesi europei. Insomma, in quel tanto amato quanto pericoloso castello chiamato Hogwarts, la gioia aleggiava nell'aria, e si sentiva così tanto la sua presenza che la si poteva tagliare a fette e ci si poteva fare un bel panino.
Gli studenti erano veramente euforici per l'inizio delle vacanze di Natale, dopo tutti quei mesi lontani da casa e dopo quelle settimane piene di terrore. Anche se non sapevano della vera morte di Paula, infatti, avevano tutti letto sulla Gazzetta del Profeta l'operato di Lord Voldemort e dei suoi seguaci, avevano tutti letto cosa aveva fatto quel pazzo, con le varie stragi e le scomparse. I ragazzi erano spaventati anche solo al pensiero che qualcosa di simile potesse accadere a loro, ai loro familiari o a tutte le persone a loro care. Ora quasi tutti tornavano a casa, e finalmente potevano dirsi liberi dall'ansia.
Era la mattina della partenza. Il sole splendeva senza dare calore, gli alberi non facevano nulla se non muoversi al vento, gli uccellini ritardatari volavano allegramente a quel paes... in direzione dei posti caldi, sì, e come al solito in tutto il castello regnava la calma.
— I MIEI CALZINI, RIDAMMI I MIEI CALZINI!
Ma anche no.
— MA ANCHE NO!
Appunto.
Alice e Lily correvano per la Sala Comune, la rossa con, in mano, i calzini rosa a pois di Alice, e quest'ultima in pigiama che le correva dietro agitando le braccia. Lily, essendo già pronta con il suo maglioncino rosso e giallo - decorato da simpatiche piccole renne e fiocchi di neve candidi - regalatole dalla madre e i suoi adorati jeans azzurri, aveva deciso di dar fastidio alla propria amica e di fare il famoso gioco chiamato "Acchiappami perché ho rubato una cosa che in questo momento ti é di vitale importanza" che noi chiameremo acchiapparella per accorciare.
— Dai, Lily! — esclamò Alice, disperata, con i capelli biondi scompigliati. — Poi devo disfare tutto il baule per mettere quei calzini al loro posto!
— Arrangiati! — disse Lily, ridendo e saltellando per la sala.
Alcuni studenti, attratti dalle esclamazioni delle due ragazze, sbirciavano curiosi cercando di non farsi scoprire, mentre altri si godevano apertamente lo spettacolo - in prima fila, sulle poltrone, ma con il rischio di diventare a breve una pista di atterraggio - con in mano dei popcorn. No,non avete letto male: popcorn. Al caramello.
Mh, popcorn al caramello.
— Il potere dei calzini rosa é mio! — esclamò Lily, ridendo. — É il mio tesssssoro!
— Stai cercando di ridicolizzarmi davanti a tutti i Grifondoro, vero? — chiese Alice, adirata, ancora correndo. — Mostrandogli i miei calzini? Sul serio?
Lily si girò, e disse con un ghigno: — Ovvio.
Che bell'amica che ho, pensò probabilmente Alice in quel momento.
All'improvviso, la rossa svoltò, cosa che l'amica non fece. Si sentì un suono di scarpe strascicate sul terreno, e poi un tonfo. Ebbene, se non avete ancora indovinato Alice, non curvando come ha fatto Lily, era caduta a terra. A faccia in giú.
Un classico.
Si sentì un borbottio indistinto provenire dalla bionda, ma non ci voleva una laurea per capire che stava borbottando insulti su insulti in direzione di Lily. Insulti che, sinceramente, non posso trascrivere.
Ma andiamo avanti.
La sopracitata scoppiò a ridere, dimenticandosi di star ancora correndo e che forse esisteva altra gente nella Sala Comune. Quindi, visto che la ruota gira per tutti, Lily andò a sbattere contro una di queste persone, inciampando clamorosamente davanti a tutti e procurandosi un paio di lividi e un bernoccolo.
E questo, signore e signori, é ciò che succede quando si sfida la sorte.
— Così impari, Evans. — disse una voce divertita al di sopra della rossa, accompagnata da una risata. E fu soprattutto quella risata a far dannare Lily per il resto della giornata, perché lei poteva evitare fisicamente l'individuo da cui essa proveniva, ma non l'aveva fatto. E anche non guardando, con gli occhi chiusi e uno sbuffo infastidito, la rossa seppe riconoscere quello stesso individuo. E chi non sapeva riconoscerlo? La sua risata era entrata nella testa di tutti, che l'hanno sentita almeno una volta in vita loro, che sia alla guferia, al campo di Quidditch, nelle aule, nella Sala Comune di ogni casa, nella Sala Grande, nei corridoi e nel cortile. Rideva solamente quella persona.
Che sfiga fu il primo pensiero che il cervello di Lily riuscì a elaborare.
— Senti chi parla, Potter. — disse la ragazza, alzando gli occhi al ciel... cioè, all'orizzontalità del terreno. Poi spostò gli occhi verso James, già pronto con il suo baule e, secondo la rossina, con la sua immensa arroganza.
— Sei il primo che dovrebbe imparare qualcosa, qui. — aggiunse lei, rialzandosi e incrociando le braccia, mentre gli studenti li circondavano.
— Oh, io non ho bisogno di imparare nulla. — disse il moro, gonfiando il petto e passandosi una mano tra i capelli. — Sono perfetto e meraviglioso, e scommetto che su questo punto acconsentiranno molte delle ragazze in questa stanza.
A quel punto ammiccò alle ragazze che si trovavano nella Sala Comune, le quali iniziarono a gridare il nome di James come fossero impazzite.
— Che oche. — mormorò Lily, sbuffando. Poi lanciò i calzini rosa in faccia a James, che sobbalzò per la sorpresa.
— Tieni, Potter, ti affido il potere dei maestosi calzini rosa di Alice. — disse la rossa, sarcastica. — Intanto scusami, l'aria si sta contaminando dell'odore del tuo gel per capelli e devo fuggire prima che entri nel mio setto nasale e mi faccia diventare arrogante come te.
— Ti ho già detto che non uso mai il gel! — disse James, mentre Lily, incurante, si apprestava con la bacchetta a far levitare il proprio baule. — ...beh, tranne oggi.
— E l'hai usato anche altre volte,ci scommetto la mia spilla. — disse il Prefetto, con un ghigno, uscendo definitivamente dalla Sala Comune.
E lasciando James con la consapevolezza che no, non aveva avuto lui l'ultima parola.
— Lucy, tesoro, vieni qui!
— Theodore, aspetta!
— Ah, Eliza, quindi l'hai trovato il fidanzatino?
L'espresso per Hogwarts era già arrivato da un pezzo alla stazione di King's Cross,che come ogni anno brulicava di gente di ogni età e nazione. Molte voci si mescolavano tra di loro, voci di donne, uomini e bambini, creando tanta di quella confusione alla stazione che in confronto i concerti potevano essere paragonati a una biblioteca.
Le famiglie, alla luna che spiccava nel cielo, portavano i loro figli o nipoti che siano con loro per tornare a casa, piangendo, baciandoli su fronte e guance e abbracciandoli con forza, ed erano sia maghi che Babbani. Cos'altro vi aspettavate? Risse e urla? Ma quando mai. Le famiglie devono essere unite, volersi bene. E soprattutto, dopo tutto quel tempo che i loro figli erano stati lontano da casa, come pensate che le madri dovessero trattenersi dal dare allargate dimostrazioni di affetto in pubblico?
— Potresti almeno far finta di essere contenta di vedermi! — urlava Lily alla sorella, dopo un commento sarcastico di quest'ultima su di lei. — Sono mesi che non mi vedi e...
— Quattro mesi, sai che grande assenza. — rispose Petunia, con disprezzo. — Potevi pure rimanere alla tua stupida scuola, sai, assieme agli altri mostri che hai per amici.
Lily spalancò gli occhi, ferita.
— E tu potevi rimanere a casa, se tanto ti dò fastidio. — disse, incrociando le braccia.
— Certo, come se avessi avuto scelta. — disse la bionda, ridendo senza allegria. — Mi ha costretto papà.
Petunia fissò la sorella con odio, per poi aggiungere, sibilando: — E poi, ti avrei rivista comunque. Sarai per due settimane a casa, a rompere le scatole a tutti con i tuoi racconti idioti. "Oh, sapeste quant'é bella Hogwarts! Abbiamo fatto questo e quello, abbiamo fatto levitare oggetti a caso e abbiamo vissuto avventure fantastiche con gli unicorni belli belli! Ma aspettate... voi non c'eravate, siete solo Babbani".
Pronunciò la parola "babbani" come se fosse veleno per la sua lingua, con astio puro.
Lily la guardò, esterefatta.
— Allora é l'invidia il problema. — disse, socchiudendo gli occhi smeraldini e respirando profondamente. Calmati Lily, pensava, visto che stava quasi per picchiarla.
— Invidia? — disse Petunia, alzando le sopracciglia. — Di una gallina come te?
— Come mi hai chiamata? — urlò Lily, infuriata, facendo un passo in avanti. Petunia non si mosse. — Ma che cosa ti ho mai fatto?
— Cosa mi hai fatto? — urlò Petunia, irata, abbassando poi la voce per non attirare l'attenzione. — Te ne sei andata in quel... castello per pazzi, ad agitare la tua stupida bacchettina e lasciando me a sgobbare nella mia di scuola, a impegnarmi sodo per ottenere risultati eccellenti e di conseguenza ottenere almeno quel poco di attenzione che mamma e papà rivolgono a te!
I genitori delle due ragazze, intanto che loro litigavano, si erano intrattenuti con una famiglia di maghi piuttosto stramba che, dopo aver capito che Lily non fosse una normale Babbana, sparava loro domande a raffica sulla vita babbana e toccava loro capelli e viso, con l'indice, come fossero alieni. Quindi, sia per sfortuna - principalmente per quella - che per incapacità momentanea, i due coniugi non poterono bloccare la discussione delle figlie.
— "Agitare la bacchettina"? Ti rendi conto di quello che dici? — disse Lily, ancora più furiosa di prima. — Sai che devo sgobbare anch'io, essendo Hogwarts una scuola? Che se faccio male un incantesimo rischio di uccidermi, e che in generale tutto quello che si trova lì, da animali, piante e oggetti può farlo? Sai che un mago uscito di testa dà la caccia alle persone come me, quelle che non discendono dai maghi? Che vengo bullizzata da quelli che hanno i suoi stessi ideali? Sai che ho perso il mio migl... ex migliore amico per colpa di quello stesso mago, per colpa del fatto che quello che credevo un amico mi ha chiamata "Sanguemarcio" a causa del fatto che, appunto, non discendo da maghi? Ma no, che te ne importa. Tua sorella é un mostro, tanto.
Petunia parve stupita e affranta, per un secondo. Forse non si aspettava che la sorella avesse sofferto tanto? Si sentiva in colpa?
Poi, dopo quel secondo, le sue labbra si piegarono in un ghigno. E a Lily venne tanta voglia di spiaccicare la sua testa contro il muro perché diamine, non la sopportava.
— Oh, manda al tuo amico dei fiori da parte mia... credo che in fondo alcune cose ce le abbiamo in comune. — disse Petunia, sempre con quel ghigno malefico, mentre una grande crepa nel cuore della rossa si allargava e una lacrima le scendeva lungo la guancia. — Sai, in effetti il soprannome "mostro" é azzeccato, ora che ci penso: lo sei. Non sei una persona normale, "Babbana" come dici tu, per colpa della magia che sai praticare. Non sei una strega al completo, perché non hai maghi come discendenti... sei un vero e proprio aborto.
— Petunia! — esclamò la signora Evans, in tono di rimprovero, liberatasi finalmente dalla presa di quei maghi.
— Che c'é? Ho detto solo la pura verità. — disse Petunia, con una nota di malvagità nella voce. — É uno scherzo della natura la gente come lei.
La gente intorno non si era accorta del litigio, e continuava a camminare come se fosse una cosa normale sentire due sorelle litigare. Cosa che era, in effetti, normale.
Lily, intanto, era ferma sul posto, pietrificata dalle parole della sorella. Altro che Basilisco, gente.
Le parole di Petunia le rimbombavano nella testa, come un tormentone.
Non sei una persona normale, per colpa della magia che sai praticare. Non sei una strega al completo, perché non hai maghi come discendenti...
Lily tremò, mentre le si annebbiava la vista a causa delle lacrime.
Aborto. Mostro. Scherzo della natura.
— E io che credevo che ce l'avessi un briciolo di umanità. — mormorò la rossa, fissando la sorella Petunia con gli occhi verdi spenti e inespressivi.
Detto questo Lily scappò via, con il baule in mano e il cuore fatto a brandelli, verso la grande città che é Londra, mentre i suoi genitori urlavano il suo nome e piccole gocce di pioggia iniziavano a cadere, mescolandosi alle sue lacrime.
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