Not a Present
Questo racconto partecipa al contest multiprofilo "Sliding Doors" - categoria Fanfiction - per il Pride Month 2021
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Non doveva entrare in quel negozio, lo sapeva: aveva ben tre esami da preparare e meno di una settimana per raggiungere il livello minimo di decenza, eppure appena la vide non riuscì a resistere. Si fiondò all'interno, trascinandosi dietro un recalcitrante Armin - che a differenza sua aveva molto più senso del dovere -, girando tra gli scaffali alla ricerca dell'oggetto dei suoi desideri. Non poteva lasciarsela sfuggire, ma perché non riusciva a trovarla? Era certo che fosse lì, da qualche parte...!
All'ennesimo giro di perlustrazione, l'amico perse la pazienza.
«Insomma, Eren! Si può sapere che stai cercando?»
«Come, non l'hai vista?!»
«Chi avrei dovuto vedere?» rispose, allungando il collo nel tentativo di individuare un volto familiare.
«T-shirt bianca, mezza manica, arcobaleno sul petto» replicò Eren, continuando la propria ricerca.
Armin aguzzò la vista, tentando di individuare la persona che corrispondesse alla descrizione, senza alcun successo.
«Forse è già uscita, non c'è nessuno che indossi quest-»
Finalmente Eren sembrò degnarlo di attenzione, voltandosi a fissarlo curioso. «Chi indossa cosa?»
«Ma sei scemo?! La persona che stai cercando, con la t-shirt bianca e l'arcobaleno!» L'altro allora rise, scuotendo la testa divertito.
«Non cerco una persona con la t-shirt, cerco LA t-shirt!» disse, indicando la vetrina dove un manichino grigio sfoggiava il capo incriminato.
Armin allora perse le staffe, i pugni sui fianchi e lo sguardo fiammeggiante. «Stiamo sprecando un intero pomeriggio di studio per una stupida maglietta?» sbottò, battendo un piede sul pavimento lucido.
«Tu non capisci, questo brand è sold-out praticamente ovunque! Ho provato su tutti i siti, dai più gettonati fino agli improbabili ma niente, zero assoluto!» esclamò, enfatizzando il concetto con un ampio movimento delle mani.
«È davvero così famosa?»
«È molto più di questo, Arm: questo marchio supporta le associazioni LGBT, capisci che significa? Indossarla sarebbe un ulteriore motivo di orgoglio, per me.» A quelle parole, l'irritazione di Armin scemò.
Eren non aveva mai nascosto la propria sessualità rifiutandosi - con giusta ragione - di considerarla una perversione, come tanti bigotti affermavano. Non si sentiva confuso, né la sua era una fase adolescenziale ribelle: era attratto da entrambi i sessi, non c'era niente di così difficile da comprendere.
Se le scuole medie erano state un supplizio, le superiori si erano rivelate un vero e proprio inferno: ogni giorno scoppiava una rissa, vuoi per qualche scherzo di pessimo gusto o un'offesa più o meno esplicita; sua madre Carla era certa che nessun genitore conoscesse a memoria il motivo della carta da parati della presidenza quanto lei. La donna, tuttavia, non aveva mai rimproverato il figlio per quella condotta: sapeva benissimo che la sua era pura difesa verso le angherie che subiva e i preconcetti che gli si incollavano addosso come fossero resina. Armin, impotente e rattristato, aveva assistito a quel calvario e solo una volta preso il diploma aveva potuto tirare un sospiro di sollievo. Il college che avevano scelto era stato una ventata fresca, col suo ambiente tollerante, aperto e soprattutto inclusivo. Si vociferava che anche uno dei docenti appartenesse alla comunità LGBT, ma nessuno aveva prove concrete sulla veridicità del pettegolezzo.
Una commessa, sommersa da una pila traballante di jeans, passò accanto a loro ed Eren ne approfittò.
«Scusa, cerco la maglia esposta in vetrina, quella con l'arcobaleno. Sapresti dirmi dove posso trovarla?»
Lei rispose con uno sbuffo: «Se non la vedi in giro vuol dire che è terminata.»
Stava già per allontanarsi quando la voce del ragazzo le impedì ancora una volta di liberarsi del pesante fardello.
«Quindi quella esposta è l'ultima?»
«Sì.»
«Che taglia è?»
«Sui manichini vanno solo le M.»
«Potrei provarla?»
La commessa lo guardò storto. «Non smonto mezzo allestimento solo per fartela provare. O la compri o niente.»
«La compro» rispose Eren senza esitare.
Lei lo squadrò da capo a piedi, masticando un chewing-gum. «Dammi un minuto e sono da te.»
Inutile dire che lo studente fosse al settimo cielo all'idea di poter stringere quel tesoro tra le mani. Per farsi perdonare del disturbo, si rese utile reggendo le braccia del manichino - che veniva denudato e rivestito con una scialba camicia color kaki - e la commessa gli rivolse persino un sorriso, augurandogli una buona serata.
Oltre alle tinte arcobaleno che rappresentavano l'intera comunità, impressa tra una striscia e l'altra in bella grafia, la strofa di un vecchio brano musicale - un incoraggiamento per chi lottava da una vita per non sentirsi diverso: You are beautiful, no matter what they say.
Eren giunse alla cassa praticamente volando e, con gli occhi brillanti d'emozione, afferrò il portafogli. O meglio, ci provò perché la tasca posteriore era vuota, ad eccezione di uno scontrino vecchio e stinto e una graffetta raccoglifogli tutta arrugginita. Iniziò a frugare nei jeans, poi nella tracolla col panico dipinto in volto, infine ricordò: lo aveva prestato a Sasha per andare alla macchinetta degli snack e, tra una chiacchiera e l'altra, si era dimenticato di farselo restituire. Il cassiere prese a tamburellare le dita sul ripiano scuro, la fila che si allungava, ed Eren si voltò speranzoso verso Armin.
«Potresti prestarmi i soldi? Te li restituisco domattina!» lo supplicò, le mani giunte in preghiera. L'amico però scosse la testa, sconsolato.
«Ho speso tutto in copisteria per le dispense, mi dispiace» replicò mogio.
«Allora, la paghi o no?» fece il cassiere, spazientito.
«Potete mettermela da parte?»
«Solo se lasci un acconto.»
Eren si passò una mano tra i capelli, frustrato, mentre il chiacchiericcio dietro di sé cresceva, aumentando quella sgradevole sensazione di impotenza. Una voce bassa e profonda, proveniente dalla fila accanto, lo fece trasalire. L'aveva già sentita, e più di una volta.
«Pago anche la sua.»
Il ragazzo sollevò il viso, incrociando le iridi plumbee dell'ultima persona che si aspettava di trovare: la sua cotta impossibile, il suo sogno erotico e al tempo stesso il suo incubo peggiore.
«Professor Ackerman» esalò, colto alla sprovvista, mentre l'uomo allungava la carta di credito alla giovane cassiera.
«Yeager» lo salutò, tornando a fissare l'addetta che inseriva l'indumento nel conto. «La metta in una confezione a parte, grazie.»
I due amici liberarono il posto al cliente successivo, il quale masticò un antipatico "Era ora!", seguendo il docente fuori dal negozio. Armin restò in disparte, mentre Eren afferrava la busta che il professore gli porgeva. Non sapeva cosa dire, rosso come un peperone, combattuto tra la vergogna che minacciava di ingoiarlo vivo e una punta di piacere nell'essere stato soccorso proprio da lui.
«La ringrazio, le restituirò i soldi il prima possibile, glielo garantisco!»
«Certo che lo farai. Io non regalo nulla, Yeager, voti compresi.» Eren deglutì. «Spero tu sia in bolletta perché stai sgobbando sui libri che hai comprato per il mio esame.»
Ovviamente era uno dei tre che doveva affrontare di lì a una settimana e che fino a quel momento aveva tralasciato in favore degli altri.
«S-sì, certo, non si preoccupi.»
«Infatti non lo faccio, Yeager. Buona serata.»
Senza aggiungere altro l'uomo si voltò, mettendo fine alla breve conversazione e, quando ebbe voltato l'angolo, Eren alzò gli occhi al cielo in cerca di un aiuto divino.
«Cazzo, cazzo, cazzo!»
«Sei nella merda.» Armin rincarò la dose e il ragazzo lo fissò in malo modo.
«Non mi aiuti, così!»
«Non è in mio potere farlo. Ti conviene correre a casa e studiare o puoi dire addio alla laurea» ed Eren giurò su quella maglietta che avrebbe preso il volto più alto nella (sua) storia scolastica.
-
Aveva accantonato tutto il resto pur di non fallire l'esame del professor Ackerman e, con somma soddisfazione, aveva preso una B-. Sapeva per certo che il docente si trovasse già nel proprio ufficio, ma Eren attese comunque l'orario di ricevimento; sapeva quanto tenesse alla puntualità e, dopo il gesto cortese di pochi giorni prima, non voleva contraddirlo in alcun modo.
Le lancette scoccarono il minuto e, preso un respiro profondo, bussò alla porta.
«Avanti.»
Il ragazzo entrò, aspettando che il docente gli facesse cenno di accomodarsi, posando la tracolla sulla moquette per poi sedersi di fronte a lui.
«Cosa vuoi, Yeager?» chiese Ackerman con tono piatto. «Hai superato il mio corso, puoi andare a disturbare qualche altro collega adesso.»
«N-non volevo infastidirla, sono qui per darle una cosa» disse, allungando entrambe le mani; gli sembrava di cattivo gusto offrirgli direttamente le banconote, perciò le aveva riposte in una busta di carta da biglietto, sperando di compiacerlo.
L'uomo sollevò lo sguardo dalla pila di fogli che stava sfogliando, guardandolo da sotto in su, le lenti da lettura che riflettevano l'immagine bluastra del monitor lì accanto.
«È quello che penso?»
Eren esitò, titubante. «Immagino di sì.»
Il professor Ackerman allora sospirò, poggiandosi allo schienale imbottito e rimuovendo gli occhiali, massaggiandosi il ponte del naso con fare stanco.
«Non credevo avresti avuto il coraggio di farlo.»
«Mi sembrava il minimo e poi, come ha appena detto, non ci saranno altre occasioni.»
L'altro riaprì gli occhi, osservandolo dalla testa ai piedi. Sembrava stesse riflettendo su cosa rispondere ed Eren si mosse sulla sedia, a disagio, chiedendosi dove avesse sbagliato.
«Ti aspetto Domenica prossima al Brooklyn Museum, nella sala del Rainbow Pickett, alle 10 in punto. Qualunque cosa ci sia nella busta me la darai quel giorno, ammesso che tu intenda presentarti.»
Eren sbatté ripetutamente le palpebre tre, quattro, dieci volte, a dir poco incredulo. Quello era un... un appuntamento, giusto? Quella mattina doveva essergli andato il caffè di traverso, era morto sul colpo e era finito dritto in Paradiso. Il suo sguardo sbigottito si alternava tra il docente e il piccolo involucro bianco ancora stretto tra le sue mani, domandandosi cosa avesse spinto l'uomo a fargli quella proposta. Forse credeva che gli stesse porgendo una... lettera? Una lettera d'amore?!
A quel pensiero, l'intero flusso sanguigno che aveva in corpo andò a concentrarsi sul suo viso; l'incarnato caramellato divenne color carminio ed Eren rischiò il collasso, lì e subito.
«I-io non vorrei metterla in difficoltà con il suo lavoro, voglio dire - mi piacerebbe tantissimo, davvero! - ma qualcuno potrebbe considerarlo inappropriat-»
«Non sono più il tuo professore e nel tempo libero posso vedere chi mi pare. Questo è quanto, Yeager, puoi andare» lo congedò, come se fino a quel momento avessero parlato del tempo e non di uscire insieme. Due persone qualunque, che si incontrano per un caffè...
Il ragazzo raccolse le proprie cose, fantasticando sulle possibili implicazioni di quell'invito, quando la voce dell'uomo lo bloccò col palmo già sulla maniglia.
«Ah, Yeager.»
«Sì, professore?»
«Indossa la maglietta che ti ho comprato.»
Eren allora sorrise. «Non le ho ancora restituito i soldi. Dovrei considerarla un regalo?»
«Io non faccio regali» rispose. «Stavolta però potrei fare un'eccezione. Dipende tutto da te.»
«Saprò meritarmela.»
«Lo spero. Per sicurezza, al tuo posto conserverei il cartellino.»
«Lo farò per scaramanzia.»
«Sloggia adesso, o credi di essere l'unico studente dell'intero college?!» lo scacciò stizzito ed Eren uscì, le labbra all'insù e gli occhi lucenti.
Rimasto solo, Levi si rilassò sulla poltrona. Il pensiero di non rivederlo più gli aveva appena fatto commettere una pazzia. Non era stupido: sapeva benissimo cosa Eren fosse venuto a fare, così come era conscio del modo in cui lo guardava da ben sei mesi; più volte si era trovato oggetto delle sue attenzioni e dei poco discreti sospiri.
La verità era che quel ragazzo gli era piaciuto fin dall'inizio, col suo temperamento deciso e un sorriso che avrebbe sciolto persino un iceberg, ma memore dei pregiudizi che lo inseguivano da sempre per l'uomo era molto difficile lasciarsi andare.
Si era diviso tra il buonsenso, che gli urlava di rispettare le giuste distanze sociali, e il desiderio di oltrepassare quel confine invisibile che si era imposto per non restare ferito.
Senza saperlo, Eren gli aveva dato la giusta dose di coraggio con quella t-shirt colorata: era ora di vivere la propria vita - senza rimpianti - e quale migliore occasione per mostrarsi al mondo, se non passeggiando col ragazzo più bello e ridicolmente impacciato che avesse mai incontrato?
Non vedeva l'ora che indossasse quella maglietta e, magari, di trovare una scusa per togliergliela...
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